Ottanta anni fa, il 26 giugno 1940, il governo romeno riceve un ultimatum dall’Unione Sovietica: deve ritirarsi al più presto dalla Bessarabia e dalla Bucovina del Nord. In seguito a un tentativo di negoziazione, la Romania è costretta ad accettare. L’occupazione avrà luogo tra il 28 giugno e il 4 luglio 1940.
Contesto storico e antefatti
Il 23 agosto 1939, pochi giorni prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, viene firmato a Mosca il patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica. È il patto Molotov-Ribbentrop, comprendente un protocollo segreto aggiuntivo che definisce le aree d’interesse delle due potenze. L’articolo III di tale protocollo sancisce che la Germania non ha alcun interesse verso la Bessarabia e lascia quindi ai sovietici la libertà di rivendicare il territorio. Cosa che non tardano a fare.
Si tratta di aree dell’Europa orientale, storicamente e culturalmente legate alla Romania, già d’interesse russo a partire dal XVIII secolo. Per lunghi periodi queste realtà avevano fatto parte dell’impero zarista e c’era già stato nella regione un lungo processo di russificazione, specialmente dal punto di vista ecclesiastico. È solo in seguito alla Rivoluzione russa del 1905 che inizia a prendere forma un’idea di coscienza nazionale tra i bessarebeni, che si svilupperà ulteriormente in seguito al crollo dell’Impero nel 1917.
A quel punto sia la Russia che l’Ucraina esprimono la loro intenzione di voler annettere la Bessarabia, ma questo non avviene. Il 24 gennaio 1917 viene infatti istituita la Repubblica democratica moldava, che il 27 marzo dell’anno successivo entrerà a far parte della Grande Romania. La decisione avviene in Parlamento, dove i favorevoli all’unione sono 86 su 125; i contrari sono i rappresentanti delle minoranze.
Tale unione, riconosciuta formalmente il 28 ottobre 1920 col Trattato di Parigi, non è mai stata accettata dall’Unione Sovietica. Viene arrestato l’ambasciatore romeno e vengono confiscate le riserve auree romene che per motivi di sicurezza erano state trasferite a Mosca durante la Prima guerra mondiale (la questione resta irrisolta ancora oggi). In quel periodo, Bucarest deve far fronte a una situazione interna articolata e complessa; i sovietici provano a inserirsi in questo contesto in diversi modi, utilizzando vari strumenti di propaganda, con l’intento di provocare disordini.
Fondamentale all’interno del progetto propagandistico sovietico è la creazione nel 1924 della Repubblica Autonoma Socialista Sovietica Moldava a sinistra del fiume Dniestr, comprendente la Transnistria e alcuni territori ucraini. L’uso del toponimo Moldavia è significativo, perché questi territori non avevano mai fatto parte dell’antico Principato di Moldavia e vuole dunque marcare un legame tra queste terre e la Bessarabia.
Così come sostanziale è la creazione ex novo della lingua moldava. L’intenzione è quella di creare un’identità che sia distaccata da quella romena e per farlo i sovietici realizzano un preciso progetto di pianificazione linguistica. Ricordiamo inoltre, che nonostante le varie controversie, ad oggi la comunità scientifica non riconosce il glottonimo “lingua moldava”, che dal 2008 è stato privato del suo codice identificativo; viene infatti riconosciuta come una variante della lingua romena.
L’occupazione sovietica e gli anni successivi
In seguito allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Mosca rivendica i territori della Bessarabia e della Bucovina del Nord perché ritiene che la Romania glieli abbia sottratti illegalmente; sostiene altresì che questi territori siano abitati prevalentemente da ucraini. In realtà la rivendicazione sovietica non ha alcun fondamento giuridico; la maggior parte degli abitanti, inoltre, sono in realtà romeni.
La Romania è sola. L’ultimatum, infatti, arriva poco dopo la sconfitta dei francesi, garanti dei confini romeni, e solo la Turchia si rende disponibile ad intervenire militarmente. Bucarest tenta di negoziare, ma una nota arrivata meno di 24 ore dopo l’ultimatum, stabilisce il 28 giugno come data dell’ingresso sovietico in Bessarabia; le truppe romene hanno quattro giorni per l’evacuazione. È un grave colpo per il regime romeno e tra la popolazione si diffonde un sentimento di malcontento e frustrazione.
Durante l’avanzata, inoltre, l’Armata rossa occupa anche il distretto di Herța, mai appartenuto all’impero russo e abitato quasi totalmente da romeni. Questo è dovuto alla sua posizione di zona cuscinetto tra i due territori d’interesse sovietico. La Romania perde quasi quattro milioni di cittadini. Decine di migliaia di persone sono costrette ad abbandonare tutto in tempi strettissimi; molti ufficiali romeni vengono inoltre arrestati dalle truppe sovietiche che non rispettano le tappe di evacuazione stabilite. Numerosi funzionari pubblici e membri del clero non riescono a lasciare i territori nei tempi statuiti.
Una volta acquisiti i nuovi possedimenti, bisogna deciderne gli assetti. L’Ucraina ottiene i distretti di Hotin, Cetatea Albă e Ismail, più due terzi della R.A.S.S. Moldova; in questo modo circa 300 mila romeni diventano abitanti dell’Ucraina. Le restanti aree vanno a costituire la Repubblica Socialista Sovietica Moldava, in cui riprende un intenso processo di russificazione e sovietizzazione.
Successivamente, sono in molti a tentare di ricongiungersi con le proprie famiglie in Romania, varcando i confini. I sovietici reagiscono duramente e in vari modi. Tra gli episodi più gravi c’è quello che passerà alla storia come il Massacro di Fântâna Albă (fontana bianca), avvenuto il 1° aprile 1941.Circa 3000 persone si dirigono verso la frontiera romeno-sovietica in maniera pacifica e portando con sé una bandiera bianca e insegne religiose. Le truppe al confine aprono il fuoco uccidendo e ferendo molti civili; parecchi vengono torturati. Ancora oggi non si conosce il numero esatto delle vittime. In seguito a questo episodio molti romeni vengono deportati in Siberia e in Kazakhstan e inizia una forte repressione nei loro confronti.
Il 27 giugno 1941, in alleanza con la Germania nazista, la Romania riesce a recuperare i territori che aveva perso; nelle settimane successive le truppe romene riescono ad entrare anche in Transnistria. Quando entra in Bessarabia, l’esercito romeno è accolto con gioia dalla maggior parte della popolazione, che lo vede come l’esercito liberatore. Chi non gioisce sono gli appartenenti alle minoranze, e non a torto. Tra il 1941 e il 1943 si verifica un vero e proprio genocidio, a danno principalmente di ebrei e zingari.
A partire dal 1944 vengono ristabiliti i precedenti confini romeno-sovietici del 1940; la cessazione verrà poi formalizzata con i Trattati di Parigi nel 1947. La Bucovina del nord e tre distretti della Bessarabia meridionale entrano a far parte della Repubblica socialista sovietica ucraina. Da quel momento i confini rimangono pressoché immutati e nel 1991 la R.S.S. Moldava dichiara la propria indipendenza, chiamandosi, a partire da quel momento, Repubblica di Moldavia.
Interpretazioni storiografiche
Conoscere la storia moldava è importante per comprendere la situazione attuale all’interno della Repubblica, dove non regna sicuramente l’unità.
Ancora oggi continuano ad esserci varie interpretazioni dei passati avvenimenti. Se la maggior parte degli storici tende a confermare il fatto che quella sovietica è stata una vera e propria occupazione, altri parlano invece di liberazione sovietica dal giogo romeno. Quello che sappiamo con certezza è che in Moldavia, nel 2010, per un periodo il 28 giugno è stata la giornata scelta per commemorare le vittime dell’occupazione sovietica e del regime totalitario comunista (l’azione è stata condannata da Mosca e successivamente anche dalla Corte Costituzionale moldava). In Transnistria, intanto, sventolano ancora le bandiere sovietiche.
Jessica Venturini