Ritratto del padrone della Bielorussia, giunto al sesto mandato presidenziale quasi senza batter ciglio. Un potere fino a qualche mese fa incontrastato, gestito con spregiudicatezza in patria e accortezza all’estero.
Grande appassionato di hockey sul ghiaccio, nonché ammiratore e devoto del lavoro della terra e dei campi: questi sono i due tratti della personalità di Lukašėnka ‘uomo’ che si accompagnano a quella di Lukašėnka ‘ultimo dittatore d’Europa’. Noto per il suo carisma, i baffi tipici, l’eccentricità, l’autopromozione di ‘uomo del popolo’, uniti al culto della personalità e alla sua politica fortemente autoritaria e sicuramente anacronistica negli anni Duemila, Lukašėnka ha costruito un regno che dura da poco più di un quarto di secolo. Per capire come si sia arrivati alle proteste post elettorali delle ultime settimane e alle dichiarazioni da parte delle istituzioni europee di invalidità delle elezioni stesse, cercheremo di evidenziare i principali momenti della vita politica di Lukašėnka.
Laureatosi presso l’Università Pedagogica Statale di Mogilev intitolata a A.A. Kuleshov nel 1975, e successivamente nel 1985 all’Accademia agricola bielorussa, dal 1975 al 1977 Aleksandr Lukašėnka ha insegnato Affari Politici nel distretto del confine occidentale. Nel 1977-1978 ha lavorato come segretario del comitato Komsomol del dipartimento del commercio alimentare di Mogilev.Tra il 1978 e il1990 ha ricoperto incarichi dirigenziali e di partito presso fattorie collettive e statali: è stato il segretario esecutivo dell’associazione Znaniye della città di Shklov, vice comandante per il lavoro politico in un’unità dell’esercito, vicedirettore dell’impresa agricola Udarnik, direttore dell’azienda agricola Gorodets.
Se volessimo, infatti, individuare un elemento che al meglio definisca Lukašėnka, questo sarebbe sicuramente la terra. Anche durante i mesi più acuti della pandemia globale di quest’anno, il presidente ha in più occasioni ribadito che la cura al virus è il lavoro della terra, unito a qualche goccia di sana vodka. Provocazione (unita a scarsa ironia) o meno che sia, l’atteggiamento di profondo cinismo è ciò ha sempre contraddistinto Lukašėnka fin dalla sua prima elezione.
Eletto al parlamento della Repubblica di Bielorussa nel 1990, è stato l’unico deputato ad opporsi all’accordo del dicembre 1991 che ha portato allo scioglimento dell’Unione Sovietica. Poiché ha sempre supportato un rafforzamento dei legami con la Russia, nel 1994 chiese alla Duma russa la formazione di una nuova Unione degli Stati slavi. E dopo esser stato eletto presidente (il 10 luglio 1994) con una schiacciante vittoria alle urne (l’80,3% dei voti) ha da un lato lavorato al consolidamento dei legami con Mosca per realizzare un’unione tra i due paesi, dall’altro convinto gli elettori ad approvare, nel 1996, una nuova costituzione che gli conferiva ampi poteri aggiuntivi – come il diritto di prolungare il suo mandato, di governare per decreto e di nominare un terzo della camera alta del parlamento. Con autoritarismo ed imprevedibilità, ha represso il dissenso nei media e tra la gente e ha portato la Bielorussia all’isolamento dai suoi vicini europei e dalla comunità internazionale.
Per tutti gli anni Novanta i punti di forza che gli hanno, sicuramente, garantito il successo e il perdurare del suo potere sono stati l’indipendenza di un uomo politico sganciato da qualsiasi altra forza, la lotta alla corruzione tipicamente figlia dell’URSS e l’eliminazione della privatizzazione, ovvero la vendita di industrie statali ad investitori privati. La privatizzazione sovietica aveva gravemente danneggiato il cittadino medio, consentendo, però, la nascita di una nuova classe dirigente, gli oligarchi.
Contro ogni aspettativa, Lukašėnka si è sempre ricandidato alle elezioni presidenziali. Nel 2001 è stato rieletto con il 75,6% dei voti, nel 2006 con l’83% e nel 2010 con il 79,6% dei voti. In tutti e tre i casi, non sono mancate né le accuse di brogli e irregolarità né le condanne da parte di Unione Europea ed altre organizzazioni internazionali che, tuttavia, non hanno destabilizzato il presidente. Anzi, proprio nel 2004 quest’ultimo ha ottenuto, grazie ad un emendamento approvato, la possibilità di candidarsi per un terzo mandato. A nulla sono serviti i divieti che per alcuni anni hanno imposto sia l’UE che altri Stati all’ingresso di Lukašėnka e dei suoi funzionari. Tali divieti sono durati molto meno dei suoi mandati presidenziali.
Lukašėnka si è distinto come protagonista in una delle crisi internazionali più significative degli ultimi anni, quella ucraina del 2014. Sono stati ospitati, infatti, proprio a Minsk alcuni vertici decisivi come quello in cui Putin e Poroshenko decisero per il cessate il fuoco. Ma, indipendentemente dall’evolversi degli eventi in Ucraina, c’è chi ha creduto che il ruolo giocato da Lukašėnka in qualità di mediatore regionale potesse condurre ad uno smussamento dell’autoritarismo sul piano interno. E sembrava che la liberazione di alcuni prigionieri politici e la disponibilità ad accogliere osservatori internazionali sul territorio bielorusso portassero verso quella direzione. In verità, tali decisioni politiche vanno lette nell’ottica di preparazione alle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute nel 2015, giudicate dall’OSCE piene di profondi problemi.
Sono questi trascorsi politici che hanno fatto sì che il presidente bielorusso si presentasse alle elezioni presidenziali del 2020 con una eccessiva convinzione che non gli è stata, tuttavia, tanto utile. La quasi inesistente gestione dell’epidemia di Covid-19, l’interferenza nelle elezioni e l’incarcerazione dei candidati dell’opposizione hanno generato la più grande manifestazione di dissenso in Bielorussia dai tempi dell’URSS.
Sembrerebbe, in altre parole, che il potere presidenziale gli sia stato donato per volere divino e che nessuno abbia né il diritto né le capacità di sottrarglielo, quasi fosse un vecchio monarca assoluto. Si potrebbe dubitare che nel lontano 1975 abbia sposato la sua fidanzata del liceo, Galinka e che, invece, abbia sposato proprio la Bielorussia. D’altronde Lukašėnka ha sempre badato a tenere vita privata e vita politica profondamente separate, così separate che la moglie vive da anni in una fattoria lontana da Minsk e lontana dai flash dei paparazzi che, invece, immortalano spesso il presidente in compagnia di una bellissima ventenne. Un lato della sua vita privata che lo rende più che mai vicino ad alcuni leader occidentali…
Cristiana Ruocco