Da quasi un mese si rincorrono le voci di un possibile intervento russo a sostegno del regime di Lukašėnka, nonostante gli screzi passati tra questi e il suo omologo del Cremlino. Una sola certezza: la Bielorussia non è “sacrificabile”.
A quasi un mese dalle elezioni del 9 agosto, la tensione resta alta in Bielorussia, con il presidente Lukašėnka che non intende cedere di un passo. Nonostante la repressione messa in atto le proteste non accennano a scemare, e scioperi e defezioni hanno coinvolto anche i tradizionalmente fedelissimi apparati di sicurezza, di cui per altro Lukašėnka si è premurato di cambiare i vertici. È stato forse questo il fattore determinante nel convincere Lukašėnka a chiamare in aiuto la Russia proprio il giorno successivo alla traumatica “deposizione degli scudi”, il 15 agosto, con una telefonata nella quale Putin, seppure in tono vago, dichiarava la sua disponibilità a intervenire in aiuto dell’omologo bielorusso. Tale intervento sarebbe naturalmente decisivo sia per le sorti del Paese che per quelle di Lukašėnka, ma diversi sono gli scenari possibili, e diverse le modalità di intervento che la Russia potrebbe adottare. Ammesso che davvero voglia intervenire in favore di Lukašėnka.
Successivamente alla telefonata del 15 agosto, si è atteso quasi due settimane perché fossero visibili ulteriori sviluppi nell’atteggiamento di Mosca. Ed è accaduto giovedì 27, con un’intervista rilasciata alle 14.00 di Mosca, nella quale il presidente russo Putin veniva interrogato da Sergej Brilev su diversi “temi di attualità”, fra i quali “anche” la Bielorussia.
Se la gente scende in piazza, dice Putin a Brilev, bisogna tenerne conto. Infatti, aggiunge, Lukašėnka ha acconsentito a indire nuove elezioni – parlamentari e presidenziali – da tenere successivamente a una modifica costituzionale; ma la creazione di organi non previsti dalla legge [Il “Consiglio di coordinamento” inaugurato dall’opposizione a metà agosto] – come ha stabilito la Corte bielorussa – è inaccettabile. Una difesa dell’operato di Lukašėnka, dunque, che insieme con il commento sulla faccenda dei contractor Wagner (“un’operazione dei Servizi ucraini in collaborazione con gli americani”) spazza via gli attriti della prima ora, quando Lukašėnka puntava il dito contro il Cremlino, agitando il complotto delle potenze straniere, in particolare la Russia.
E poi, spiega il presidente russo, Lukašėnka ha chiesto che venisse creata una riserva speciale russa, in caso di necessità di intervento, alla quale egli ha acconsentito, ma sottolineando che “sarà utilizzata solo nel caso in cui la situazione dovesse sfuggire di mano”. Ovvero se “elementi estremisti” dovessero iniziare a danneggiare automobili, banche, a cercare di occupare edifici amministrativi, etc. Il CSTO e l’Unione degli Stati costituiscono la cornice di diritto entro la quale – Putin conferma – la Russia ha l’obbligo di intervenire in aiuto alla Bielorussia, qualora venissero messe a repentaglio la sovranità, l’integrità dei confini e la stabilità del Paese.
Queste dichiarazioni hanno agitato non poco le cancellerie d’Europa e l’opinione pubblica internazionale, mentre trapelano indiscrezioni riguardo alla preparazione della forza speciale in questione – che andrebbe avanti da una settimana – e da Minsk arrivano ulteriori restrizioni all’attività giornalistica. Intanto, nonostante la situazione, domenica 30 agosto sono stati inaugurati a Brest i giochi ArMI2020, competizione in occasione della quale le forze russe hanno partecipato con quelle bielorusse allo “Shturm zdanija” – assalto edifici – uno degli esercizi più complessi, che implica l’utilizzo di elicotteri e la lotta corpo a corpo.
Se questi nuovi elementi possono far presagire una maggiore probabilità di intervento diretto da parte della Russia, non bisogna però tralasciarne altri, che potrebbero indicare diversamente. Intanto, alcuni capisaldi strutturali, la cui valenza esula dalla cronaca.
Il CSTO e l’Unione degli Stati costituiscono la cornice di diritto entro la quale – Putin conferma – la Russia ha l’obbligo di intervenire in aiuto alla Bielorussia, qualora venissero messe a repentaglio la sovranità, l’integrità dei confini e la stabilità del Paese.
Cupcake Ipsum, 2015
1. Lukašėnka, che conosciamo ormai da ventisei anni. E in ventisei anni, non solo abbiamo visto come il suo rapporto personale con Putin non sia affatto roseo, ma anche come la sua politica estera abbia vieppiù osato in termini di multivettorialità, creando grossi fastidi al Cremlino. Non solo, dunque, il grande rifiuto dell’integrazione con la Russia, che nei sogni di Mosca sarebbe dovuta avvenire sulla base di quel trattato dell’Unione degli Stati mantenuto asfittico dal leader bielorusso finché ha potuto. E che adesso, invece, è tornato alla ribalta – dimostrando come Lukašėnka sia ben più interessato alla propria sorte, che all’indipendenza bielorussa come valore in sé.
Inoltre, benché lo spazio di manovra a disposizione della Bielorussia sia oggettivamente limitato, al di là dei numerosi ma poco incisivi flirt con l’Unione Europea, è a febbraio che possiamo collocare il maggiore incidente con Mosca, la visita del segretario di Stato Usa Mike Pompeo a Minsk. Una missione che non si limitava alla sostanziale ripresa dei rapporti diplomatici ma, pragmaticamente, andava oltre con il tentativo di giocare la partita energetica – Mosca dal 2018 ha ridotto le agevolazioni nelle forniture a Minsk – con la promessa statunitense di fornire il 100% del gas e del petrolio necessario alla Bielorussia. Insomma, sostituirsi a Mosca nel singolo settore tradizionalmente più prezioso nei rapporti fra la Russia e gli Stati ex sovietici. Molti hanno considerato l’ipotesi improbabile, perché Minsk non avrebbe potuto pagare. Ma l’idea che qualche prestito valga una politica estera efficace non è certo aliena a Washington. Un leader imprevedibile e non acquiescente Lukašėnka, dunque, nei confronti di Mosca, e per di più poco simpatico al sanguigno Putin.
2. Lo stile di Mosca, e la situazione interna alla Russia. Andiamo in Oriente, dove a Khabarovsk le proteste iniziate in seguito all’arresto del governatore Furgal, continuano a tutt’oggi, esacerbate dal caso dell’avvelenamento del blogger anti-corruzione Naval’nyj. Qualora le proteste nella vicina Bielorussia dovessero aver successo nell’intento di rovesciare Lukašėnka, ciò costituirebbe un esempio e rafforzerebbe il morale dei manifestanti nell’Oriente russo. D’altro canto, le manifestazioni bielorusse non propongono alcun posizionamento geopolitico differente da quello attuale, e non sono, da nessun punto di vista, anti-russe.
Un intervento diretto di Mosca per farle tacere, dunque, sarebbe controproducente per troppi motivi: la Russia si alienerebbe la neutralità d’animo dei bielorussi nei suoi confronti e Putin andrebbe incontro a ulteriore dissenso a livello domestico. D’altra parte, una “rivoluzione colorata” con esito positivo in Bielorussia sarebbe vista con orrore da un governo già in difficoltà a causa della crisi economica, della pandemia e del dissenso sempre più spesso manifesto della popolazione.
3. La geopolitica della Bielorussia, il suo posizionamento geografico fra la Russia, l’Ucraina e l’Unione Europea, e la sua porta su Kaliningrad costituita dal breve, quanto strategico corridoio di Suwalki, che in caso di occupazione strozzerebbe l’unico accesso di terra alle Repubbliche Baltiche da parte degli altri membri NATO.
Considerando gli ultimi due fattori, risulta naturale la postura possibilista ma attendista assunta pubblicamente dal Cremlino in seguito alla telefonata del 15 agosto. Mentre, come comincia a venir fuori, probabilmente qualcosa è stato fatto in meno pubblicizzati ambiti – l’essenziale, come sappiamo, è invisibile agli occhi –, la Russia ha avuto modo di osservare cosa sarebbe stata disposta a fare l’Unione Europea e come avrebbe potuto reagire la NATO, inoltre ha potuto studiare il comportamento dei manifestanti e dell’opposizione. E ciò che ha visto sono state, rispettivamente: sanzioni; cauto riserbo; nessun accenno a desistere; rassicurazioni di circa le intenzioni nei rapporti con la Russia – perché nessuno vuole dire o fare ciò che potrebbe poi essere definito come una provocazione tale da sollecitare l’intervento di Mosca.
Ma se un rapporto stretto con la Bielorussia è imprescindibile per la Russia, Lukašėnka non è affatto insostituibile, e fra gli altri leader dell’opposizione – quelli originari – per ora congelati in un silenzioso esilio, ci sono elementi che potrebbero risultare molto più graditi a Mosca dell’ormai bruciato Lukašėnka.
Claudia Palazzo