Questo articolo è stato scritto per NucNet – The Indipendent Nuclear News Agency ed è stato pubblicato originariamente su www.nucnet.org.
La traduzione è ad opera dell’autore.
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La Russia sta affrontando un dilemma energetico spinoso, pressata dalla sua forte dipendenza dall’export di gas e petrolio e il declino dei prezzi di entrambe le risorse. Il gas naturale, infatti, ha raggiunto il suo prezzo più basso degli ultimi 20 anni (0.005$/kWh) nello scorso maggio, mentre il Brent è crollato a 20,46$ al barile alla fine di aprile, a seguito della guerra dei prezzi iniziata dall’Arabia Saudita. Scontro, quest’ultimo, innescato dalla rottura del dialogo tra l’OPEC (Organizzaizone dei Paesi esportatori di petrolio) e la Russia sui tagli proposti alla produzione petrolifera nel bel mezzo della pandemia da Covid-19.
Stando ai dati del US Energy Information Administration, la Russia è il maggior produttore al mondo di greggio e il secondo per il gas naturale. Inoltre, la Federazione produce anche quantità significative di carbone, rendendo complessivamente la sua economia fortemente dipendente dai suoi idrocarburi e dalle relative entrate. Gli introiti derivanti dal petrolio e dal gas naturale rappresentano più di un terzo delle entrate del bilancio federale, circa il 36%. Il consumo di energia primaria deriva per il 52% dal gas naturale, il 22% dal petrolio, il 13% dal carbone e il 13% dal nucleare, energie rinnovabili e altre fonti.
In questo scenario on sorprende che Mosca debba affrontare la pressione internazionale che mira alla decarbonizzazione. Secondo la Strategia climatica a lungo termine del Cremlino, attualmente in discussione, gli obiettivi climatici includono una diminuzione dell’intensità di carbonio del PIL -(rapporto tra le emissioni di gas serra prodotte e il PIL) del 9% entro il 2030 e la riduzione delle emissioni di gas serra del 33% entro il 2030.
Uno dei beneficiari delle necessità di riforma delle politiche energetiche russe potrebbe essere il settore nucleare. La Strategia, infatti, sottolinea la necessità di “investire, potenziare e sostenere” l’energia nucleare, la produzione di idrogeno dalle centrali nucleari, un nuovo ciclo del combustibile e nuove tecnologie di ritrattamento, la progettazione e la produzione di nuovi tipi di reattori.
Per questi motivi, il Paese sta pianificando un ammodernamento su larga scala delle sue infrastrutture, dettagliatamente descritto in un Piano pubblicato dal Ministero dell’Energia. Il piano non offre specifiche su un futuro mix energetico, ma include come uno dei suoi obiettivi principali “la fornitura garantita di elettricità a prezzi accessibili“.
La crescita del nucleare civile russo è globalmente riconosciuta, al punto da destare la preoccupazione degli osservatori statunitensi, che riconoscono la Russia come fornitore leader di tecnologie nucleari ed evidenziano come gli Stati Uniti debbano riformare il proprio settore nucleare se vogliono competere con Mosca in questo ambito. Il gruppo industriale americano Nuclear Energy Institute ha apertamente chiesto sostegno a Washington per supportare un campo, quello nucleare, ritenuto vitale per la sicurezza nazionale.
Nuove centrali e nuovi progetti
Il colosso nucleare statale russo Rosatom sta guidando un ampio piano domestico, con l’obiettivo di costruire almeno nove nuove centrali nucleari nei prossimi anni. Se la costruzione di tutti questi impianti dovesse andare avanti, insieme al completamento di quattro già in costruzione, la Russia potrebbe avere 51 centrali nucleari in esercizio commerciale entro la metà del secolo, rispetto alle 38 di oggi. Attualmente, gli Stati Uniti guidano la classifica con 95 impianti in funzione, seguiti dalla Francia, seconda con 56.
I preparativi per la costruzione di quattro nuove unità sono stati annunciati nel giugno 2020. Le nuove unità sarebbero Leningrado 2-3 e 2-4, fornite da reattori di terza generazione VVER-1200, e Smolensk 2-1 e 2-2, con reattori di terza generazione VVER- TOI.
Oggi sono quattro le centrali nucleari già in costruzione: Leningrado 2-2, Kursk 2-1 e 2-2 e Baltic-1, quest’ultima temporaneamente sospesa per essere riprogettata.
Secondo lo Schema di pianificazione territoriale energetica della Federazione, altri cinque impianti potrebbero essere progettati e costruiti: Kola 2-1, Nizhnyj Novgorod-1 e -2, Belojarsk-5 e Central-1. Il documento, emendato nel 2018, indica l’accettazione ufficiale da parte del Governo delle unità sopraelencate come parte della piano, qualora Rosatom decidesse di procedere con la costruzione.
Questi progetti sono fortemente sostenuti dal Governo russo, che ha concesso al programma di Rosatom per lo sviluppo dell’energia nucleare, della tecnologia e della scienza fino al 2024 lo status di “progetto nazionale”, parte centrale della politica economica sostenuta dal presidente Vladimir Putin, comprendente massicci investimenti e modernizzazioni infrastrutturali ed economiche.
La Strategia energetica fino al 2035 sottolinea il ruolo chiave del nucleare e le necessità della sua innovazione, evidenziando il bisogno di aumentare l’efficienza del nucleare e la sua competitività economica, sostenere l’esplorazione e lo sviluppo dell’uranio, sia in Russia che all’estero, costruire centrali nucleari a bassa potenza per le regioni remote, aumentare la quota dei reattori di generazione III+ e di avere tra gli operativi almeno il 40% degli impianti nucleari modernizzati, rispetto al 13% del 2018.
La Strategia, inoltre, include la ricerca e lo sviluppo nelle tecnologie di decommissioning e nel ciclo del combustibile nucleare, la creazione di imprese per la gestione dei rifiuti radioattivi e la produzione di combustibile da materiali nucleari rigenerati. La capacità installata dei nuovi reattori veloci, che assicurano la chiusura del ciclo del combustibile nucleare, dovrebbe aumentare a 1,78 GW entro il 2035, rispetto ai 1,48 GW del 2018.
Attore principale di questo enorme disegno, come detto, è Rosatom, il gigante nucleare statale che comprende più di 360 imprese e ha un fatturato di circa 15 miliardi $. Nonostante un calo dei ricavi dell’11% durante i primi cinque mesi del 2020, in gran parte causato alla contrazione dei pagamenti dovuta alla pandemia, il direttore generale dell’azienda Aleksei Lichachev ha affermato che non ridimensionerà il suo ambizioso programma di costruzione nucleare.
Durante un recente incontro con Putin, Lichachev ha evidenziato i risultati domestici dell’azienda e la crescita dei ricavi esteri di Rosatom, che hanno raggiunto circa 6,6 miliardi $ nel 2018. A detta del dirigente, la compagnia prevede di raddoppiare i ricavi dalle sue attività estere, arrivando a 15 miliardi $ entro il 2024. Il ritmo dell’incremento degli introiti esteri è effettivamente notevole, circa del 10-15% annuo, con un aumento del 70% dei progetti di costruzione in cui l’azienda e le sue filiali sono coinvolte.
Anche la ricerca scientifica è stata rafforzata e supportata, rendendo la Russia uno dei principali attori in termini di innovazione e sviluppo in questo ambito. Il reattore a neutroni veloci BN-1200, che dovrebbe essere completato entro il 2022, è uno dei principali progetti portati avanti e potrebbe segnare un significativo passo avanti per la tecnologia nucleare, dopo lo sviluppo di due reattori a neutroni veloci raffreddati al sodio (Sodium-cooled Fast Breeded Reactor) già in esercizio commerciale, il BN-800 a Belojarsk-4 e il più piccolo BN-600 a Belojarsk-3. Questi miglioramenti tecnologici potrebbero vedere il costo della tecnologia dei reattori nucleari russi diminuire di circa il 15% nel 2025 e di circa il 30% quando i reattori autofertilizzanti veloci saranno introdotti commercialmente intorno al 2035.
Le centrali nucleari galleggianti, la nuova frontiera?
Un importante obiettivo per una Russia che cerca di modernizzare la propria infrastruttura energetica e di fornire elettricità a prezzi accessibili è quello di fornire energia per le sue aree remote e periferiche, come ad esempio l’Artico.
Thomas Nilsen, redattore e giornalista di The Barents Observer, sottolinea la recente entrata in funzione della prima centrale nucleare galleggiante del paese, l’Akademik Lomonosov, che apre alla possibilità di costruire altre centrali galleggianti, per fornire elettricità ad aree remote e a complessi industriali come miniere e porti . L’Akademik Lomonosov è attraccata nella città portuale di Pevek, nel distretto autonomo della Chukotka, Estremo Oriente russo, dove ha iniziato le sue operazioni nello scorso maggio.
Nilsen ha aggiunto che sono previsti ulteriori impianti galleggianti, ma che finora non sono stati firmati contratti con nessuno dei porti artici dove potrebbero essere schierati, sostenendo comunque che “l’Akademik Lomonosov sia una vetrina per la Russia per il mercato internazionale“. Rosatom ha già dichiarato di vedere un potenziale mercato per le centrali nucleari galleggianti e prevede di iniziare le vendite all’estero nel prossimo decennio.
All’inizio di quest’anno la Russia ha annunciato di aver completato un progetto concettuale per il suo primo SMR (Small Modular Reactor, reattori nucleari semplificati e di dimensioni ridotte) le cui operazioni commerciali sono programmate per il 2027. Ogni struttura avrebbe due unità RITM-200 con una capacità elettrica di 50 MW ciascuna. Questi impianti, reattori avanzati ad acqua pressurizzata già operativi su tre rompighiaccio di nuova generazione, potrebbero essere utilizzati anche per le future strutture nucleari galleggianti, sostiene Nilsen. L’Akademik Lomonosov utilizza un reattore KLT-40S di generazione precedente, con una capacità elettrica totale di 77 MW.