A più di tre mesi dall’inizio delle proteste in Bielorussia, dalla Lituania arrivano ancora segnali di solidarietà su tanti fronti. Le ragioni delle politiche amichevoli di Vilnius dal legame storico alle aspirazioni regionali.
Cammino per Pilies Gatvé, il viale centrale di Vilnius, e raggiungo la piazza della cattedrale. Accanto all’entrata dell’imponente Palazzo dei granduchi di Lituania una bandiera enorme bianca e rossa si agita al vento. È la stessa che negli ultimi tre mesi ha accompagnato le proteste di Minsk, Hrodna e Homel’. Attraverso la città vecchia di Kaunas e nel sottopassaggio che la divide a metà, un venditore ambulante di fiori ha preparato, forse in maniera inconsapevole o forse no, una composizione di fiori che risalta ai miei occhi: c’è un mazzetto bianco, poi uno rosso al centro e un altro ancora bianco. Mi torna in mente la marcia delle donne bielorusse a Minsk con in mano fiori rossi e bianchi.
Sono passati ormai più di tre mesi dall’inizio delle manifestazioni in Bielorussia, eppure il fermento è ancora vivo nelle piazze e nelle strade del Paese. Perché gli abitanti di Vilnius o di Kaunas si sentono così toccati da quanto accade oltre il loro confine sudorientale? Vilnius si trova a soli 170km da Minsk e si potrebbe pensare che la prossimità tra i due Paesi abbia coinvolto più emotivamente i lituani rispetto ad altri Paesi europei e questa è in parte la verità.
La Lituania è stato uno dei primissimi Stati europei ad alzare la voce sulla crisi bielorussa, cercando in parte di colmare un vuoto iniziale lasciato dalle istituzioni europee. Nel Seimas lituano si votava all’unanimità a favore di sanzioni economiche contro Lukashenko già il 18 agosto, mentre le sanzioni europee sono scattate solo ad inizio ottobre e solo lo scorso 6 novembre Aleksandr Lukashenko è stato colpito direttamente da questi provvedimenti.
Con l’arrivo dell’oppositrice Svetlana Tikhanovskaya nella capitale lituana, Vilnius è diventata da un giorno all’altro un hub importante per la mediazione con l’opposizione bielorussa e una meta di grandi incontri. A fine agosto, il vicesegretario di Stato statunitense Stephen Biegun è volato nella principale città lituana per discutere della situazione in Bielorussia. Visita non propriamente casuale se vista nell’ottica dei rapporti tra Lituania e Stati Uniti, soprattutto in materia di sicurezza ed in funzione antirussa. A Minsk l’incontro non è affatto passato in sordina, anzi, ha enfatizzato la retorica secondo la quale gli Stati Uniti avrebbero fomentato le proteste in corso. La seconda visita di una certa rilevanza è stata quella del presidente francese Emmanuel Macron a fine settembre, soprattutto se si pensa al fatto che un presidente francese non si recava a Vilnius dall’ormai lontano 2001, quando Chirac aveva fatto visita all’allora presidente Adamkus.
Vilnius in realtà ha sempre avuto un filo conduttore con la Bielorussia. Non a caso nel 1918, quando la Repubblica popolare bielorussa venne istituita, i suoi rappresentanti quali Anton Luckiewich e Vaclau Lastouski dichiararono che Minsk era la capitale politica bielorussa, mentre Vilnius rappresentava quella spirituale. Un’affermazione che mostra quantomeno un forte legame storico tra i due Paesi e i rispettivi popoli, derivante da un passato comune sotto al Granducato di Lituania.
In particolare, sarebbe giusto analizzare due dimensioni di questo fenomeno: se da una parte il presidente lituano ha più volte acceso i riflettori sui recenti avvenimenti bielorussi, dall’altra abbiamo assistito e continuiamo ad assistere ad un enorme sentimento di solidarietà da parte del popolo lituano.
Tra le iniziative nate dal basso c’è la nuova catena baltica in occasione del trentunesimo anniversario di quella che segnò l’indipendenza delle Repubbliche baltiche nel 1989. Il 23 agosto di quest’anno, infatti, una catena umana lunga 30km ha unito la cattedrale di Vilnius al castello di Medininkai al confine bielorusso, luogo chiave per la storia del Granducato di Lituania. Gesto simbolico che ha avuto risonanza internazionale e con il quale il popolo lituano ha voluto supportare i bielorussi nella loro lotta.
Anche il mondo accademico si è rimboccato le maniche. Sulla scia della cooperazione nell’ambito del Triangolo di Lublino, gli intellettuali lituani, polacchi ed ucraini a fine settembre hanno voluto aprire un dialogo inclusivo con i colleghi bielorussi, in quello che è stato informalmente definito il “Quartetto di Lublino“. Vilnius, in realtà, sostiene da tempo il settore accademico bielorusso. Già nel 2004, dopo la chiusura della European Humanities University di Minsk per ordine delle autorità locali, la capitale lituana aveva accolto l’istituto, il quale si trova ancora oggi sul territorio lituano.
Inoltre, le università lituane hanno offerto e continuano ad offrire un numero significativo di posti in maniera totalmente gratuita all’interno delle proprie facoltà per quegli studenti bielorussi che decideranno di trovarvi rifugio politico. La proposta è arrivata dopo l’ordine di Lukashenko di espellere dalle università tutti gli studenti partecipanti allo sciopero indetto dalla Tikhanovskaya a seguito di un ultimatum. La possibilità di studiare con una borsa di studio in Lituania potrebbe generare un’attitudine positiva nei confronti dell’Unione Europea e creare una nuova generazione di giovani istruiti con una mentalità più aperta nei confronti dell’Occidente e dei valori dei quali si fa promotore.
Oltre a ciò, si è parlato anche di diversi contributi economici, in particolare volti al trasferimento temporaneo di aziende bielorusse nei Paesi baltici. Sicuramente gli aiuti lituani non sono rimasti impuniti da parte di Lukashenko, anzi, la Lituania è diventata un target inevitabile della propaganda del governo ed è stata a più riprese accusata di aver gettato benzina sul fuoco delle proteste e di aver messo in pericolo l’integrità territoriale bielorussa.
Innanzitutto, Vilnius è così stata costretta a richiamare diversi diplomatici da Minsk e da Hrodna a causa del clima instabile. Lo step successivo è stato quello di chiudere il confine comune, il quale era stato riaperto il 12 agosto per permettere l’entrata dei cittadini bielorussi durante la crisi. Secondo la versione ufficiale di Minsk, le nuove restrizioni sui confini sarebbero dovute alla situazione legata alla pandemia in corso.
La Lituania spera vivamente in una transizione democratica e sente una sorta di responsabilità nei confronti dei propri vicini di casa, ma non è tutta solidarietà a titolo gratuito. Cosa ci ricava Vilnius da un cambiamento di regime? La risposta è semplice: un vicinato più sicuro e affidabile, cosa di non poco conto se consideriamo, ad esempio, la continua diatriba sulla centrale nucleare bielorussa di Astravets riaccesa proprio negli ultimi giorni.
C’è da dire poi che, fin dai tempi dell’allargamento ad Est dell’Unione europea, la Repubblica baltica ha sempre faticato ad emergere all’interno del panorama politico europeo. La crisi bielorussa sembra proprio essere caduta a pennello per le aspirazioni geopolitiche lituane, che vedono oggi tra le proprie priorità i rapporti con la Russia e con il vicinato orientale.