Negli ultimi anni sono aumentate le prove a sostegno della tesi di un’inversione di tendenza in atto a Mosca rispetto all’utilizzo degli UAV. Sfruttati prevalentemente per scopi di ricognizione, ora anche il Cremlino vuole i suoi droni d’attacco.
Il vivace dibattito negli apparati militari russi in merito agli armamenti necessari per mantenere un alto livello di proiezione offensiva, alla luce dell’evoluzione tecnologica in atto, si arricchisce di un nuovo ed interessante capitolo: quello sugli UAV.
La questione va ad inserirsi all’interno della più ampia discussione sull’ammodernamento delle forze armate, timidamente avviata in Russia a seguito della guerra in Georgia del 2008. Sebbene il conflitto si sia concluso con una schiacciante vittoria di Mosca, gli strateghi militari del Cremlino non sono stati per nulla soddisfatti delle prestazioni dei reparti impegnati nei combattimenti, non tanto a causa di particolari comportamenti dei soldati, bensì in seguito all’evidenza del fatto che le armi di cui essi disponevano non erano efficienti come ci si sarebbe aspettato. Basti pensare che in diverse occasioni gli ufficiali sono stati costretti a fare ricorso ai propri telefoni personali per riuscire a rimanere in contatto con le truppe al fronte. Il governo russo ha dunque avviato un piano di ammodernamento degli armamenti che ha portato, per forza di cose, ad un ripensamento delle tattiche militari impiegate dalle forze armate.
In particolare si è a lungo dibattuto sul significato di guerra di nuova generazione, e un importante contributo è arrivato grazie agli studi del Maggiore Generale Vladimir Slipščenko, il quale ha teorizzato la guerra di sesta generazione come un conflitto combattuto grazie all’utilizzo di armi ad alta precisione e a lunga gittata. Evidentemente, nel tipo di combattimento immaginato dallo stratega militare russo, i due avversari non dovrebbero entrare praticamente mai in contatto diretto. Egli ha affermato che questa tendenza si può riscontrare se si prendono in esame le guerre combattute dagli Stati Uniti nel corso degli ultimi trent’anni. Secondo Slipščenko già durante la Guerra del Golfo, almeno nelle sue fasi iniziali, la coalizione a guida statunitense aveva dato dimostrazione della propria ineguagliata superiorità tecnologica impressionando rivali ed alleati per il fatto di aver costretto alla disfatta l’esercito iracheno prima ancora che questo avesse la possibilità di vedere da vicino un soldato americano. Discorso che assume una valenza maggiore se si prende in considerazione la campagna militare che la NATO condusse nel 1999 nei confronti della Serbia. L’Alleanza Atlantica lanciò oltre 1.500 missili ad alta precisione sulla Jugoslavia senza mai invaderne lo spazio aereo, navale o il territorio (ancora una volta, nelle fasi iniziali del conflitto)[1].
A partire dal 2013 l’avvenuto cambiamento nei metodi di condotta delle operazioni belliche è stato ufficialmente riconosciuto anche dagli alti gradi dell’esercito russo, in particolare dal Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Generale Valerij Gerasimov, il quale in un articolo pubblicato su VPK ha descritto con sorprendente esattezza la visione russa dei conflitti moderni. In esso infatti Gerasimov ha parlato apertamente delle nuove tendenze in atto in ambito strategico ma anche di quelle direttamente connesse all’utilizzo di nuovi e sofisticati armamenti, sottolineando la fondamentale importanza della scienza nello sviluppo di questi ultimi. Ancora una volta veniva posto l’accento sulla possibilità sempre più concreta che gli eserciti rivali non dovessero più entrare in contatto diretto, combattendosi piuttosto da remoto.
Gli UAV, acronimo che significa Unmanned Aerial Vehicle (ovvero i droni), fanno parte di questa nuova generazione di armamenti e sono oggi largamente utilizzati dalle forze armate delle principali potenze mondiali. Nonostante i sovietici avessero sviluppato i primi modelli di drone già nel corso degli anni Ottanta, e sebbene i russi ne avessero già fatto uso durante le operazioni in Cecenia e per tutti gli anni Duemila, in questo campo Mosca sembra essere piuttosto indietro rispetto a Paesi come gli Stati Uniti, la Cina e l’Iran. Ciò perché in Russia, per molti anni, ci si è concentrati maggiormente sulle capacità difensive ed esplorative di questo genere di veicoli, senza sviluppare concretamente droni con capacità offensive del tipo di quelli che Washington utilizza nella lotta al terrorismo internazionale.
Tale mancanza, come ricorda l’esperto Konstantin Makienko, è stata denunciata con sempre maggiore forza all’interno degli ambienti militari della Federazione Russa. Del resto l’esigenza di poter fare affidamento su droni con capacità offensive è stata riscontrata nei vari scenari in cui l’esercito russo è impegnato, dalla Siria alla Libia all’Ucraina, ma anche se guardiamo allo svolgimento delle operazioni militari del recente conflitto che ha visto fronteggiarsi Armenia ed Azerbaigian per il possesso del Nagorno-Karabakh. Fino ad oggi, la Russia ha costruito velivoli che si occupano essenzialmente di ciò che è noto con l’acronimo di ISR (ovvero Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) e quindi di pattugliamento aereo.
Negli scenari di guerra in cui le Forze Armate russe sono impegnate, i droni vengono sfruttati essenzialmente per accompagnare le truppe, individuare il nemico, fornire informazioni sui centri di comando rivali e garantire una maggiore accuratezza del tiro. In caso di bombardamenti aerei offensivi essi vengono sfruttati per individuare le difese nemiche a terra, consentendo ai piloti dei caccia russi di neutralizzarle prima che queste possano abbatterli. Gli UAV sono stati utilizzati anche per condurre operazioni di “electronic warfare” e PSYOPS (ovvero operazioni di tipo psicologico). Nello scenario ucraino i russi si sono serviti ad esempio di un drone del tipo Leer-3, in grado di bloccare i telefoni dei nemici e inviare messaggi falsi a questi ultimi. In tale ambito, l’esperienza maturata dai militari russi è molto ampia e ha reso evidente la necessità di suddividere i droni in due categorie, quelli da ricognizione e quelli con capacità offensive, mettendo poi a nudo la totale impreparazione dell’apparato militare russo rispetto al secondo tipo di velivoli.
Fino ad oggi, la Russia ha costruito velivoli che si occupano essenzialmente di ISR (ovvero Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) e quindi di pattugliamento aereo.
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In realtà, alcuni progetti per la costruzione di UAV con capacità offensive erano stati presentati al Ministero della Difesa già nel 2000 ma esso non aveva mai voluto dare realmente seguito alla cosa. A partire dal 2017 tale tendenza sembra essere leggermente cambiata, al punto che lo stesso ministro Šojgu ha fatto esplicito riferimento ai droni. Nel gennaio del 2019 è stato presentato il primo prototipo di S-70 Okhotnik, anche se non è ancora chiaro quando sarà effettivamente reso disponibile alle forze armate, in quanto il suo sviluppo sembra essere legato a quello del caccia di quinta generazione Su-57. In effetti, pare che il drone possa essere guidato, oltre che da terra, anche dalla cabina di pilotaggio del suddetto Su-57. Secondo l’esperto di tecnologia militare Anton Lavrov, l’S-70 avrebbe l’importante vantaggio di essere in grado di trasportare una grande quantità di munizioni differenti per distanze anche molto lunghe. Ovviamente in scenari ostili, che sarebbero pericolosi per un essere umano. Il drone potrebbe infatti aprire un varco nelle difese aeree del nemico, consentendo poi ai caccia veri e propri di entrare in azione in un contesto in cui il rischio di essere abbattuti, e dunque con alta probabilità uccisi, sia divenuto sensibilmente inferiore. Inoltre, proprio la caratteristica dell’S-70 di essere pilotabile anche dall’abitacolo di un caccia di nuova generazione, garantirebbe ad un solo velivolo guidato da un essere umano la possibilità di coprire una quota molto importante dello spazio aereo o navale nemico.
Nonostante il governo russo si sia dichiarato fiducioso rispetto alla messa in produzione del nuovo UAV (gli esperti parlano del 2022), i dubbi in merito al reale avanzamento dei lavori sembrano essere più che legittimi. Ad ogni modo, in base a quanto riportano i giornali russi, l’S-70 avrà un peso pari a 25 tonnellate e sarà in grado di trasportare un carico letale il cui peso può variare dalle 2,8 alle 8 tonnellate. In aggiunta potrà raggiungere la velocità di 1.400 km/h nel volo a bassa quota, mentre non sono noti i dati relativi alla velocità massima che esso potrà toccare in alta quota.
Il cambio di marcia dell’establishment militare della Federazione Russa rispetto all’utilizzo di UAV con capacità offensive si è reso evidente nel corso delle imponenti esercitazioni Kavkaz-2020 che si sono tenute nel Distretto Militare Meridionale del paese, con il coinvolgimento delle forze armate cinesi ed iraniane. Per la prima volta nella storia delle esercitazioni militari russe, i droni sono stati schierati seguendo una formazione tipicamente offensiva che prende il nome di “stormo” e prevede il volo di diversi dispositivi ad altitudini differenti comprese tra i 100 ed i 5.000 metri. Ciò consente di prendere di mira bersagli che possono trovarsi anche molto in profondità alle spalle delle linee nemiche. Gli strateghi militari del Cremlino hanno imparato nel corso del conflitto siriano come difendersi efficacemente dagli “stormi” di droni, ma è significativo il fatto che abbiano cominciato a loro volta a sfruttare determinate tattiche offensive. Pur senza attaccare realmente, in quanto i velivoli a disposizione durante Kavkaz-2020, tenutasi a settembre di quest’anno, non avevano alcuna reale capacità offensiva e hanno svolto il classico ruolo di ricognizione che gli apparati militari della Federazione Russa hanno da sempre riservato a questo genere di arma.
Eppure un’inversione di tendenza per quanto riguarda gli UAV è decisamente in corso ed è certo che nei prossimi anni Mosca cercherà di recuperare terreno rispetto ai Paesi che la precedono in questo campo, considerando che nell’ultimo periodo l’utilizzo di droni con capacità offensive sta mettendo in seria difficoltà la Russia persino nello scenario ucraino. Secondo Makienko l’Ucraina ha ricevuto dalla Turchia i droni Bayraktar TB2 (oltre ai due miliardi di aiuti militari provenienti dagli Stati Uniti, secondo i dati forniti dallo stesso governo ucraino), i quali si sono dimostrati estremamente efficaci nel neutralizzare gli avanzati sistemi di difesa antiaerea Pantsir di fabbricazione russa negli scenari siriano e libico. È evidente che tali velivoli siano da considerarsi una minaccia non soltanto per le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, ma anche per le regioni occidentali della stessa Federazione Russa. È davvero improbabile, dunque, che Mosca non prosegua lungo il cammino che sembra aver intrapreso, con l’intento di raggiungere anche in questo campo, se non la superiorità, almeno un certo grado di equilibrio rispetto alle altre maggiori potenze del globo.
Riccardo Allegri
[1] O. Jonsson, The Russian Understanding of War, Washington, DC, Georgetown University Press, 2019.