Con l’accordo reso noto l’11 novembre la Federazione Russa aumenterà significativamente la propria presenza a livello globale, ma i vantaggi derivanti dall’intesa con il Sudan potrebbero essere addirittura maggiori.
Il ritorno della Russia ai vertici della comunità internazionale è reso particolarmente evidente dai numerosi scenari nei quali il Paese è impegnato al di fuori delle proprie frontiere. Se i conflitti in Ucraina e Georgia possono essere letti come un tentativo di arrestare l’allargamento della NATO in quella che il Cremlino considera la propria esclusiva zona d’influenza, per gli interventi in Libia ed in Siria vale un discorso diverso. Al giorno d’oggi, Mosca possiede le capacità di proiezione offensiva che le consentono di intervenire nei principali focolai di instabilità a livello mondiale. Anche in territori piuttosto lontani dai propri confini. Questo accade poiché, come tutte le grandi potenze in epoca moderna, gli interessi della Federazione Russa sono di natura globale.
Eppure non tutte le manovre del Cremlino per allargare il proprio raggio d’azione sono eclatanti come l’intervento, in molti casi risolutivo, in un conflitto armato. Mosca persegue una strategia di penetrazione multivettoriale che tende a sfruttare tutti gli strumenti che il paese ha a propria disposizione, dalle esportazioni di gas naturale alla Chiesa Ortodossa, dalla diaspora alla tecnologia nucleare. Anche la possibilità di costruire basi militari all’estero rientra pienamente nella strategia russa volta alla difesa dei propri interessi globali. Senza contare che il Paese non è nuovo a questo genere di attività, considerando che in epoca sovietica era ben nota la tendenza del Cremlino a stabilire la propria presenza militare negli Stati ad esso allineati. Si pensi alla base sull’isola di Cuba oppure alle installazioni militari in Somalia. Con la dissoluzione dell’URSS, però, Mosca ha dovuto rinunciare a questo genere di infrastrutture al di fuori dei confini di quella che oggi è la Federazione Russa, dovendo accontentarsi di mantenerne alcune nei Paesi sorti proprio dal processo dissolutivo dell’Unione Sovietica. Ad eccezione della base di Tartus, ovviamente, la quale si trova in Siria e consente alla Russia di avere uno sbocco sul Mediterraneo, dal quale evidentemente sarebbe esclusa per motivi geografici.
È dell’11 novembre la notizia che il primo ministro russo Michail Mišustin ha firmato un accordo per la costruzione di una base navale lungo le coste del Sudan. La struttura, che a pieno carico potrebbe arrivare ad ospitare 300 uomini e quattro vascelli (compresi quelli a propulsione nucleare), dovrebbe essere una base di tipo logistico che consentirebbe agli equipaggi delle navi ormeggiate di riposare e fare rifornimento prima di ripartire per la navigazione. In base a quanto riporta l’agenzia di stampa russa TASS, l’avamposto militare avrebbe lo scopo formale di aiutare a garantire il mantenimento della pace e della stabilità nella regione e sarebbe costruito dunque a fini puramente difensivi. L’accordo tra le parti è stato approvato dal Ministero degli Esteri, dalla Corte Suprema, dall’Ufficio del Procuratore Generale e dal Comitato Investigativo della Russia prima di essere sancito da un ordine esecutivo del presidente Putin il 16 novembre.
Secondo quanto stabilito dalle parti, il Sudan dovrebbe fornire alla Federazione Russa le necessarie infrastrutture oltre ad un appezzamento di terreno sul quale il Paese eurasiatico deterrebbe la sovranità. Mosca avrebbe il diritto di trasferire all’interno della base qualsiasi tipo di arma e munizione e potrebbe stabilire posti di blocco temporanei anche al di fuori della struttura per garantirne la sicurezza in condizioni particolari. Sicurezza che, almeno per quanto riguarda il perimetro esterno del porto, nella parte che si affaccia sull’entroterra, dovrebbe essere di competenza delle forze armate sudanesi. Invece, il mantenimento della stessa nello spazio aereo ed in quello marittimo ricadono sotto la responsabilità dei militari russi, così come le questioni di ordine pubblico nel perimetro interno della base. L’accordo ha una durata di 25 anni ed è estendibile per ulteriori 10 anni. Il costo dell’operazione non è stato reso noto ma si stima che non sarà troppo diverso rispetto a quello della base di Tartus, ove la Russia investe 3,2 miliardi di rubli ogni anno, una cifra equivalente a 41,5 milioni di dollari.
La struttura a pieno carico potrebbe arrivare ad ospitare 300 uomini e quattro vascelli
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Il Sudan vanta un rapporto privilegiato con il Cremlino, considerando che sul territorio sono già presenti istruttori militari russi ed è stato aperto un ufficio di rappresentanza militare. In aggiunta, le navi russe godono già di un trattamento agevolato per l’accesso alle acque territoriali del Paese e non bisogna dimenticare che nell’agosto scorso le parti avevano raggiunto un accordo per l’acquisto di armi prodotte dalla Russia. Tutto ciò nonostante l’improvviso cambio di regime avvenuto in Sudan nell’aprile del 2019, quando l’ex presidente al-Bashir è stato esautorato a seguito di un colpo di stato. Il suo posto è stato occupato da Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, il quale si è posto a capo di un governo di transizione che si è affrettato a rassicurare Mosca sulla propria volontà di mantenere relazioni amichevoli.
L’instabilità sudanese rappresenta una delle principali criticità per il progetto di implementazione della base navale, in quanto nel Paese sono presenti forze politiche allineate sulle posizioni dell’Occidente o su quelle della Turchia. Chi si è schierato contro la costruzione della struttura ha anche fatto presente la pericolosità del Sudan per le forze armate russe e l’eventuale impennata dei costi per garantirne la sicurezza. Il Cremlino ha giudicato tali problemi meno rilevanti dei vantaggi che deriverebbero dalla costruzione della base navale. La posizione è altamente strategica, considerando il fatto che consente a Mosca di mantenere una presenza militare nel Mar Rosso, vicino allo Stretto di Aden, laddove si snodano le principali rotte commerciali sull’asse Europa-Asia-Nord America. Non a caso, in questa regione, e più precisamente a Gibuti, sono presenti basi militari statunitensi, cinesi e ve n’è persino una dell’esercito italiano.
Inoltre, la costruzione della struttura da parte della Russia viene letta anche come una risposta alle probabili sanzioni imposte da Washington nei confronti dei costruttori del gasdotto Nord Stream-2, in quanto consentirebbe al Cremlino di controllare il traffico marittimo. Non è chiaro, però, come potrebbero le navi russe fermare le grandi petroliere statunitensi senza incorrere nel rischio di creare una grossa crisi internazionale. Non bisogna poi dimenticare che il ritiro dei ghiacci artici determinerà l’apertura di quella che è nota con il nome di Northern Sea Route, ovvero una nuova rotta commerciale che dovrebbe costeggiare tutte le regioni settentrionali della Federazione Russa, per migliaia di chilometri. Tale rotta assumerebbe subito un’importanza elevatissima consentendo un notevole abbassamento dei tempi di percorrenza lungo l’asse Asia-Europa-Nord America, per non parlare poi del fatto che nella regione artica non esistono focolai di crisi quali quelli mediorientali ed il fenomeno della pirateria è totalmente assente. Con la costruzione della base in Sudan, Mosca si troverebbe ben presto ad essere presente lungo tutte le principali tratte commerciali a livello globale.
Di non secondaria importanza è poi il fatto che l’implementazione della base navale si inserisce nel progetto di penetrazione russa del continente africano. Il Cremlino sta, infatti, da tempo aumentando la propria presenza in Africa, grazie agli accordi sulla vendita di armi, agli investimenti diretti, ed all’acquisto di concessioni minerarie, dall’Algeria alla Nigeria, passando per la Repubblica Centrafricana, l’Angola, la Guinea, l’Egitto ed il Sudafrica. Da ultimo, la costruzione di una base navale in Sudan costituirebbe un nuovo capitolo della crescente rivalità tra Russia e Turchia visto che quest’ultima ha da tempo avviato un processo di avvicinamento allo Stato sudanese, avendo investito in esso la strabiliante cifra di 650 milioni di dollari. Appare difficile che Mosca possa arrivare ad eguagliare l’investimento turco, ma è chiaro il tentativo del Cremlino di contenere l’influenza turca a Khartoum.
In conclusione, qualora l’accordo tra Federazione Russa e Sudan dovesse essere effettivamente rispettato, entrambe le parti otterrebbero cospicui vantaggi. Mosca aumenterebbe la propria influenza a livello globale grazie alla strategica posizione del Paese africano e quest’ultimo, attanagliato da una crisi economica che sembra non avere fine, vedrebbe aumentare gli introiti in arrivo dalla Russia. Soltanto gli sviluppi politici interni al Sudan potrebbero far saltare quello che per Mosca potrebbe rivelarsi l’accordo dell’anno.
Riccardo Allegri