Ad una breve occhiata ad una cartina dell’Asia Centrale si nota l’apparente disomogeneità dei confini. I cinque Stan, repubbliche reduci dal tracollo del gigante sovietico, rappresentano l’eredità statuale del sogno socialista di fornire un focolare nazionale ai diversi gruppi etnici dell’area, trasformando le popolazioni turcofone germinate in seguito alla secolare coesistenza tra la moltitudine di popoli, tribù nomadi e stanziali in “homines sovietici“.
Contingenze storico-politiche, la mobilità all’interno dei labili confini, l’ingegneria demografia che il Cremlino ha spietatamente padroneggiato, hanno contribuito a mescolare il calderone etnico dell’area, lasciando in eredità alle repubbliche un quadro etnico disomogeneo. La realtà dei russi d’Asia Centrale, in particolare, è tra tutte quella più peculiare. Figli prescelti dell’impero, strumento (in)consapevole di colonizzazione delle riottose steppe a maggioranza musulmana, fonte di quadri e funzionari governativi, la presenza di discrete minoranze russofone in Asia Centrale ha rappresentato allo stesso tempo un’opportunità e una dannazione per le politicamente fragili repubbliche.
Il Kazakistan, in particolare, ha avuto in eredità un lascito sostanzioso di popolazioni etnicamente slava; un vantaggio che ne ha permesso la crescita poderosa, ma anche un utile spauracchio secessionista vista la recente assertività del Cremlino nel “russkij mir“. Schiacciati fra un crescente nazionalismo di matrice turcofona, una disparità socioeconomica in aumento nei confronti della favorita etnia maggioritaria kazaka e il forte richiamo di una patria che ne apprezza le qualità tecniche e ne necessità il rimpatrio per impellenze demografiche, i russi di Kazakistan stanno vivendo una parabola demografica discendente, che li relega in secondo piano, cittadini di seconda classe in una Nazione che hanno contribuito a plasmare.
Dall’Impero al crollo dell’Unione Sovietica: una storia
I primi insediamenti russi nell’allora regione del Turkestan risalgono ai primi del Settecento, quando un Impero russo in costante espansione iniziò ad affacciarsi sui territori allora governati dai khanati eredi dell’impero mongolo. I cosacchi furono i primi ad avventurarsi in quei territori, costituendo l’avanguardia dello zar e contribuendo a creare i primi insediamenti lungo la Via della Seta. Naturale imperativo era quello di avviare una campagna di colonizzazione al fine di riempire gli spazi geopolitici, procurare risorse, indebolire la riottosità degli autoctoni diluendone la demografia. Gli scontri etnici in seguito agli eventi della Rivoluzione d’Ottobre e della guerra civile susseguente mostrarono al mondo l’insoddisfazione degli abitanti di fronte al colonialismo russo, ma si risolsero in un trionfo bolscevico.
Il Kazakistan, repubblica socialista, avrebbe seguito le sorti dell’Unione Sovietica per più di settantennio. Indubbiamente il Soviet garantì alla repubblica un’incontestata indipendenza politica, sradicò l’analfabetismo e le disparità sociali, favorendone l’autonomia politica e culturale. Tuttavia, l’autarchia dei piani quinquennali, le campagne antireligiose e gli orrori del terrore staliniano provocarono innumerevoli lutti. Un’ulteriore quota di cittadini sovietici di etnia russa venne ricollocata durante la Seconda Guerra Mondiale seguendo le industrie smantellate e li ricostruite, lontano dal fronte.
Il punto di svolta che trasformò radicalmente il panorama etnico della Nazione fu però la cosiddetta “Campagna delle Terre Vergini”, il mastodontico piano di colonizzazione delle pianure kazake, ideato da Nikita Chruščëv con l’obiettivo di incrementare massicciamente la produzione cerealicola dell’Unione Sovietica e diversificare l’economia. Il piano ambizioso si dimostrò un costoso castello di carta, ma attrasse un costante numero di nuovi arrivati dalla Russia europea, sommergendo una popolazione autoctona che si ritrovò in breve tempo minoritaria.
La “tragedia” demografica
In seguito al crollo dell’Unione Sovietica e al raggiungimento dell’indipendenza, il Kazakistan si ritrovò nella particolare condizione di essere l’unica repubblica ex-sovietica in cui l’etnia titolare non rappresentava la maggioranza della popolazione. La quota percentuale di kazaki etnici toccava solamente il 40% della popolazione del Paese, tallonata a stretta distanza dai russi largamente sovrarappresentati nel Nord e nelle principali città. Dal 1991 la proporzione di russi etnici nel quadro demografico del paese è drammaticamente crollata dal 40% a poco più del 18% attuale. Già all’inizio del 1992, ad un anno dall’indipendenza, i kazaki rappresentavano la maggioranza assoluta della popolazione (52%) contro solo il 31,4% di russi.
L’imponente ondata migratoria, nonché bassi tassi di fertilità in linea con il calo demografico della madrepatria e in controtendenza rispetto ai maggiormente dinamici kazaki, hanno contribuito ad erodere la compagine demografica russa e, conseguentemente, ad intaccare il prestigio e l’influenza degli slavi all’interno dell’enorme repubblica centroasiatica. Nel periodo dal 1990 al 1997, 1,2 milioni di russi hanno lasciato il Kazakistan e il 90% ha scelto proprio la Russia come destinazione. Prendendo in considerazione i dati del 2019, da gennaio a dicembre, 45,2 mila persone hanno lasciato il Kazakistan (l’8% in più rispetto al 2018). La maggior parte di loro sono rappresentanti delle comunità russa (32,8 mila), tedesca (3,2 mila) e ucraina (3.000). Parallelamente al processo emorragico, il governo di Nur-Sultan ha padroneggiato politiche di costante richiamo in patria della diaspora kazaka presente nei Paesi limitrofi e nelle più remote Cina e Mongolia. Dall’indipendenza ad oggi la quota di popolazione di etnia kazaka è costantemente cresciuta fino a toccare quota 70 % e continuerà ad aumentare in futuro. Cosa spinge un così alto numero di russi a lasciare il Paese?
Le motivazioni dietro l’esodo
Non esiste una risposta univoca ai motivi di questo fenomeno che sta interessando ogni nazione post-sovietica in cui vive una minoranza di lingua russa. In Kazakistan questa compagine demografica ha accolto con notevole preoccupazione le iniziative di progressiva “kazakizzazione” e sganciamento dalla sfera di influenza russa intrapresa dall’élite del Paese. A preoccupare i russi sono la crescente e sproporzionata presenza di esponenti della nazione titolare nei quadri economico-politici, la riduzione delle ore dedicate allo studio della lingua e della letteratura russa nei curricula scolastici, il sempre minore spazio che trasmissioni radiofoniche e televisive in russo trovano all’interno dell’arena mediatica e il crescente nazionalismo, a tratti sciovinista, che ha interessato ogni aspetto dello spazio pubblico e intacca il già fragile equilibrio interetnico.
Questione particolarmente scottante quella della lingua. Dal 1991 il governo ha adottato, e attivamente promosso, l’uso del kazako come lingua ufficiale del Paese come sostituto al russo conseguentemente privato di uno status ufficiale. Nel 2017 il presidente kazako Nursultan Nazarbaev ha ordinato al Governo di sostituire l’alfabeto cirillico con quello latino. Questa simbolica iniziativa intrapresa con l’obiettivo di favorire i contatti con investitori stranieri e modernizzare il Paese, oltre che rappresentare un chiaro strappo nei confronti del passato sovietico, sta intaccando fortemente ogni frangente della quotidianità russa, aumentandone l’alienazione e progressivamente riducendone le potenzialità lavorative, stante la scarsa familiarità dei russi con la lingua kazaka.
Secondo uno studio del 2003, solo il 3% dei russi in Kazakistan parla fluentemente il kazako, il 23% lo parla con qualche difficoltà e il 74% non lo parla affatto. La rivincita del nazionalismo kazako è funzionale all’autocrazia kazaka al fine di creare un senso di coesione strumentale e al rafforzamento dell’apparato repressivo.
Prospettive
L’esodo della minoranza di etnia lingua russa dal Kazakistan ha subito una forte accelerazione dalle dimissioni di Nursultan Nazarbaev. Il trentennale autocrate “padre della nazione” agli occhi di molti russi ha rappresentato l’ultimo leader della repubblica garante dell’armonia etnica e dell’identità multiculturale del Paese. Anche se Nazarbaev rimane l’incontestata eminenza grigia, l’emergente leadership che ha preso le redini del Paese sembra meno interessata a proiettare un’immagine multiculturale del paese per rafforzare, invece, l’ethos suprematista kazako.
Se da un lato il continuo esodo dei russi etnici allontana la psicosi di una possibile tutela russa verso una maggiore autonomia del Kazakistan settentrionale e una possibile ingerenza moscovita come recentemente sperimentato da Kiev, d’altra parte intacca la già stagnante economia. Tra gli esuli vi è un’alta percentuale di lavoratori qualificati (medici, insegnanti e professionisti) e non è chiaro con quale rapidità il Kazakistan possa rimpiazzare questa forza lavoro. A contribuire ad un’emorragia che pare inarrestabile si è inserito il Cremlino, inteso a modellare e direzionare questo flusso per ragioni meramente pratiche o più finemente geopolitiche. Tamponare con nuovi arrivi il costante calo demografico all’apparenza inarrestabile e contribuire allo stesso tempo al popolamento del semivuoto ma geopoliticamente vitale Estremo Oriente siberiano. In questa vece Mosca ha creato nel 2006 e attivamente promosso il “Programma statale per assistere il reinsediamento volontario dei compatrioti che vivono all’estero nella Federazione“, volto a stimolare il reinsediamento di russi ritrovatisi al di fuori dalla Federazione dopo il crollo dell’URSS. In breve tempo è possibile disporre della cittadinanza russa e di una serie di vantaggi e possibilità di insediamento nella Federazione. Secondo i dati del Servizio federale russo per la migrazione, nella prima metà del 2020 1.670 russi si sarebbero trasferiti nel Distretto Federale dell’Estremo Oriente nell’ambito del Programma.
Nei prossimi anni assisteremo a un graduale assottigliamento della minoranza russa in Kazakistan, in linea con trend simili nelle altre repubbliche centroasiatiche e nei Baltici, progressivamente privando il Paese di una minoranza che ha attivamente contribuito alla realizzazione e allo sviluppo economico e culturale della nazione e che contribuisce a cementare le ottime relazioni con la Russia. I russi hanno paura per il loro presente e il futuro dei propri figli in un Paese che percepiscono come alieno e incapace di comprenderne istanze e sogni e di concepire la ricchezza culturale e materiale che possono offrirgli. A lungo andare, se la situazione non si ribalta (la demografia non è destino!), il numero e la percentuale dei russi in Kazakistan progressivamente diminuirà ancora, privando Nursultan di un importante tassello del mosaico culturale e sociale che ha sempre caratterizzato l’Eurasia, crocevia di popoli e culla di leggendarie civiltà fin dagli albori della storia.