A più di cento giorni dall’inizio delle proteste in Bielorussia, Lukashenko potrebbe fare un passo indietro, ma non a titolo completamente gratuito. Il presidente bielorusso promette di lasciare la propria carica in caso di riforma costituzionale.
Mentre l’Occidente si distrae per la vittoria di Biden e per la seconda ondata del Covid-19, non troppo lontano da noi, in Bielorussia, si continua a scendere per strada quotidianamente ormai da quasi quattro mesi. Quattro mesi di marce pacifiche sulle note di Peremen e di bandiere sventolate in nome di una libertà così vicina geograficamente e allo stesso tempo così estranea. Ma anche quattro mesi durante i quali è emerso il lato più oscuro del Paese: migliaia di arresti anche in sole ventiquattro ore, abusi da parte della polizia locale e persino morti. Basti solo pensare al trentunenne Roman Bondarenko, le cui ultime parole (“Ja vyhozhu” = “io esco”) sono diventate il nuovo simbolo della resistenza ai soprusi ormai all’ordine del giorno. Nonostante il popolo bielorusso non smetta di sognare un futuro più brillante e democratico, sembra che l’attuale situazione sia arrivata ad un’impasse. Nel bel mezzo del fermento si torna tuttavia a discutere di un tema bollente per la Bielorussia: quello della Costituzione.
Le modifiche costituzionali non sono assolutamente una novità sotto la guida di Lukashenko. La carta fondamentale del Paese è relativamente giovane, ma nei suoi primi dieci anni di vita, tra il 1994 e il 2004, ha subito notevoli cambiamenti. Solo pochi giorni fa, il 26 novembre, si è “festeggiato” il ventiquattresimo anniversario del referendum costituzionale tenutosi nel 1996. Ancora in tenera età, a soli due anni dalla sua adozione, la Costituzione bielorussa aveva infatti subito più di uno sconvolgimento dopo un acceso confronto tra Lukashenko e il parlamento. Il referendum, andato a buon fine con un esito di quasi l’85% dei voti a favore, oltre ad aver esteso il mandato presidenziale fino al 2001, aveva garantito a Lukashenko un ventaglio di nuove facoltà. In due anni l’ex guardia di frontiera era riuscita così a consolidare il proprio potere. Nel 2004, poi, era stato indetto un nuovo referendum, stavolta per modificare l’Articolo 81 della Costituzione con lo scopo di eliminare la clausola del limite dei due mandati presidenziali.
Ulteriori cambiamenti non sono del tutto inaspettati allo stato attuale delle cose. Già nel 2016 si era tornati sull’argomento, così come durante la campagna elettorale di quest’anno e nei giorni immediatamente successivi alle elezioni. La ricetta per oltrepassare questa situazione di stallo sembra semplice a parole: una riforma costituzionale per liberarsi di Lukashenko, secondo quanto ha dichiarato lui stesso. Uno sprazzo di luce in lontananza nel buio? Dipende dall’angolazione con la quale si guarda a questo quadro complesso.
Le condizioni dei nuovi emendamenti non sono chiare, così come non lo sono i tempi e le modalità per organizzare un referendum. A dirla tutta non è chiaro nemmeno se sia giusto o meno parlare di emendamenti o di una costituzione ex novo. Lukashenko non ha tuttavia esitato a dichiarare che non si tratterebbe di cambiamenti democratici. “Vogliono la democrazia”, […] ma “l’abbiamo vista ai tempi di Gorbachev. Allora potevamo eleggere chiunque. Cosa abbiamo eletto alla fine dei conti? Abbiamo perso il nostro Paese, l’Unione Sovietica è crollata. Adesso ci vogliono far crollare con lo stesso giochetto sporco”.
Lo scopo è uno ed è evidente: evitare il collasso del Paese una volta avvenuta la transizione, assicurarsene la sopravvivenza. E la Costituzione in vigore al momento, secondo il presidente bielorusso, non lo permetterebbe. L’attuale Costituzione sarebbe troppo severa e darebbe troppe libertà al presidente, al quale spetta l’ultima parola un po’ su tutto. Le modifiche potrebbero dunque riguardare un processo inverso a quello attuato nel 1996, ovvero una diminuzione dei poteri presidenziali e una ridistribuzione degli stessi. Altre indiscrezioni parlano ad esempio di ridurre i poteri presidenziali nella nomina dei giudici e della possibilità di nuove elezioni parlamentari a seguito della riforma.
La reazione dell’opposizione a tutto ciò? Il referendum rappresenterebbe uno stratagemma per prendere ulteriore tempo e decidere il da farsi. È tuttavia giusto ricordare che proprio l’opposizione negli scorsi mesi aveva parlato della volontà di andare a modificare quella Costituzione, che adesso sembra stare un po’ stretta a tutti.
“L’Unione Sovietica è crollata. Adesso ci vogliono far crollare con lo stesso giochetto sporco”
Aljaksandr Lukashenko
Ad oggi con una probabile riforma costituzionale si pone il problema della successione, un quesito chiave per il futuro del Paese e non solo. Senza dubbio dietro questa resa parziale c’è lo zampino di Mosca. Nella capitale russa non stanno sicuramente gradendo un’instabilità politica così durevole in un Paese confinante, che per di più è anche un alleato cruciale per la stessa sopravvivenza russa. Si pensa dunque ad una transizione che possa fare avere il minor numero di effetti collaterali possibile per tutti gli attori coinvolti. Non a caso la dichiarazione di Lukashenko è arrivata proprio a seguito della visita in Bielorussia del ministro degli Esteri russo Lavrov. Che Lavrov si sia recato a Minsk per presentare direttamente la lettera di licenziamento non è un’ipotesi da scartare in toto. E tra l’altro già a settembre, durante un incontro presidenziale a Sochi, Lukashenko e Putin avevano discusso di possibili emendamenti costituzionali.
È vero che la Russia è uno dei pochi paesi ad aver riconosciuto la rielezione di Lukashenko. Inoltre, lo scorso agosto Putin aveva rassicurato il proprio omologo bielorusso offrendo, solo verbalmente, supporto militare, attenendosi così alle disposizioni del CSTO, la più grande alleanza militare nello spazio post-sovietico. Qualcosa sembra però essere cambiato ai piani alti del Cremlino o, forse, Mosca non ha mai appoggiato incondizionatamente Lukashenko dopo le presidenziali di inizio agosto. Probabilmente già da tempo ci si è resi conto di quanto Lukashenko abbia perso ogni brandello di legittimità non solo con quanto accaduto durante le elezioni, ma soprattutto con gli arresti duranti la campagna elettorale, la situazione economica gravosa del Paese e la pessima gestione della pandemia in corso.
Mattone dopo mattone, negli ultimi 26 anni Lukashenko ha saputo, seppur non sempre tacitamente, costruire la propria reggia. In che mani e con quali modalità lasciare quest’eredità rimangono domande ancora aperte, le cui risposte potrebbero avere un effetto risonante ben oltre i confini bielorussi.