In un precedente articolo avevamo anticipato la questione relativa alla “Albania Caucasica“, e le conseguenze che questo dibattito può avere sul processo di riconciliazione tra armeni e azerbaigiani. Con questa nuova analisi affronteremo in maniera più approfondita le origini della disputa storica e il modo in cui si lega alle questioni di rivendicazione territoriale dei due contendenti. Vedremo anche come le versioni revisioniste più estreme, appoggiate ufficialmente dal governo azerbaigiano, implichino quello che, senza usare eufemismi, è una vera e propria appropriazione indebita della cultura armena.
Innanzitutto, è bene raccontare brevemente la storia dell’Albania Caucasica. Come mostra la ricostruzione grafica sottostante, almeno a partire dal I secolo a.C. l’Albania Caucasica si collocava in quello che è circa il territorio dell’odierno Azerbaigian. Gli albanesi caucasici parlavano una lingua della sottofamiglia Nakh-Daghestana (Caucasica del Nord-Est), imparentata quindi con alcune delle lingue parlate tutt’oggi in Daghestan. La piccola comunità Udi presente in Azerbaigian oggigiorno costituisce probabilmente l’ultimo gruppo etnico a parlare una lingua discendente da quella albanese caucasica. In ogni caso, l’antica Albania Caucasica subì diversi cambiamenti territoriali nel corso della sua esistenza, con la parte ad ovest del fiume Kura che finì a più riprese sotto il controllo dell’Armenia.
Nel IV secolo d.C. il cristianesimo penetrò il Caucaso e gli albanesi caucasici adottarono il cristianesimo, divenendo poi subordinati alla chiesa monofisita dell’Armenia. Successivamente, a causa dei processi di armenizzazione, georgianizzazione e turchificazione subiti negli anni, nel XI secolo gli albanesi caucasici erano quasi scomparsi come gruppo etnico a sé stante. Il nome “Albania”, tuttavia, sopravvisse in varie versioni come toponimo geografico. In Karabakh, per esempio, nel XIII secolo il patriarca armeno del monastero di Gandzasar si fregiò del titolo di “Catholicos Albanese” quasi sicuramente per il fatto che il territorio su cui sorgeva il monastero era ancora ancora a quei tempi chiamato Albania/Arran[2].
L’Albania Caucasica non è quindi un “mito”, ma è esistita davvero come entità culturale e/o politica per diversi secoli. L’utilizzo della sua storia per fini politici da parte dell’Azerbaigian, però, porta spesso a mischiare lo storico con il mitologico.
Il tema è recentemente tornato ad essere discusso da qualche media internazionale quando Anar Karimov, ministro della Cultura dell’Azerbaigian, ha twittato che il monastero di Dadivank/Khudavang situato in Karabakh era una “testimonianza della antica Albania Caucasica”. Un secondo tweet ha poi accusato l’Armenia di aver falsificato e alterato il complesso monastico, sottintendendo che la pretesa di considerare armeno il complesso monastico è il risultato di una manipolazione volontaria della storia da parte di Erevan (si vedano i tweet in copertina).
In questa disputa, chi ha ragione? Il consenso degli storici fuori dall’Azerbaigian è che Dadivank/Khudavang è un monastero armeno costruito tra il IX-XIII secolo d.C. Ne sono evidente testimonianza lo stile architettonico chiaramente armeno e le originali iscrizioni in armeno ivi contenute [4][5][6]. Non vi sono, quindi, molti elementi per attribuire il monastero agli albanesi caucasici.
Il dibattito non si ferma solo al monastero di Dadivank. Il Ministero della Cultura dell’Azerbaigian, infatti, continua a pubblicare sia sul proprio sito sia sui social dei post che reclamano monumenti culturali armeni come albanesi caucasici. Un esempio tratto da Facebook è il caso della chiesa armena di Varazgom, che il Ministro della Cultura dell’Azerbaigian indica come albanese caucasico e centro fondante della cultura azerbaigiana. Il post invita anche il lettore a non credere alle versioni alternative dell’Armenia. Per una visione più completa del fenomeno revisionista, si può consultare il sito del Ministero.
Questo processo di revisionismo storico non è peraltro nuovo, ma inizia negli anni Sessanta. Fu Ziya Bunyadov nel 1965 a pubblicare un libro in cui sosteneva che personaggi storici armeni, come l’erudita Movses Kagankatvatsi, erano in realtà albanesi caucasici e avevano scritto le loro opere in albanese caucasico. Gli armeni avrebbero poi intenzionalmente distrutto le versioni originarie, per poi tradurle in armeno e appropriarsene. Il Nagorno-Karabakh, sempre secondo l’autore, sarebbe stato armenizzato solamente a partire dal XII secolo d.C.[8].
Molti storici ed intellettuali azerbaigiani appoggiarono poi queste tesi, e iniziarono a svilupparne di proprie partendo da quelle di Bunyadov. Lo storico Igrar Aliev, per esempio, identificò nell’Albania Caucasica il cuore etnico degli azerbaigiani, i quali avrebbero mantenuto una continuità di sangue quasi ininterrotta con gli albanesi caucasici. Gli armeni, per contro, non sarebbero autoctoni nel Caucaso Meridionale, ma sarebbero violenti conquistatori arrivati solo in un secondo momento. Il monastero armeno di Gandzasar, secondo Aliev, sarebbe in realtà un monastero albanese caucasico costruito dal principe albanese caucasico Hasan Jalal nel XII secolo d.C.. Un momento cruciale per il dibattito, in fine, fu la tesi di dottorato in storia di Farida D. Mammadova nel 1986. La storica identificò la quasi totalità dei monumenti in Karabakh come albanesi caucasici – incluse i famosi steli di pietra armeni chiamati khachkars – e sostenne che gli abitanti del Karabakh si identificarono come albanesi caucasici sino al XIX secolo d.C.. Di conseguenza, gli armeni sarebbero immigrati in Karabakh solo nel tardo XVIII secolo [9].
Come alcuni lettori potrebbero aver già intuito, questi revisionismi da parte di storici azerbaigiani non avevano come unico fino lo stimolare un dibattito interno all’accademia, ma avevano chiare connotazioni politiche su più piani. In primo luogo, l’associare etnicamente gli azerbaigiani odierni con gli antichi albanesi caucasici permetteva ai primi di guadagnarsi uno status di “autoctoni” nel Caucaso. Questa connessione permetteva, quindi, di aggirare la critica di essere un popolo turchico giunto nel Caucaso solamente a partire dal XI secolo dopo cristo. In secondo luogo, il rendere albanesi caucasici la quasi totalità dei monumenti in Karabakh permetteva di delegittimare la pretesa armena di essere antichi abitanti del territorio. Questa mossa era particolarmente importante per contrastare le richieste secessioniste degli armeni del Karabakh, che basavano parte della loro rivendicazione sul fatto di aver vissuto su quella terra per più di un millennio – e i monumenti storici ne erano la testimonianza.
In sostanza, la revisione della storia dell’Albania Caucasica serviva ad “autoctonizzare” gli azerbaigiani e rendere invece gli armeni un elemento estraneo al Caucaso e giunto solo in tempi successivi. Per rafforzare questo discorso, vennero gradualmente generate risposte per contrastare le repliche sconcertate degli storici armeni. Le iscrizioni armene nei monasteri, per esempio, furono considerate manipolazioni successive degli armeni, i quali agivano così per appropriarsi della cultura e della terra azerbaigiana. Il fatto che ci fossero pochissimi testi in lingua albanese caucasica venne, invece, spiegato col fatto che gli armeni avessero distrutto tutti quei testi in maniere barbarica per cancellare la storia degli albanesi caucasici. Il problema dell’assenza di solide evidenze storiche e archeologiche per la propria tesi revisionista veniva risolto, quindi, additando il plurisecolare complotto armeno che aveva distrutto queste evidenze.
In conclusione, l’appropriazione della cultura armena da parte dell’Azerbaigian, tramite una revisione della storia dell’Albania Caucasica, non è un fenomeno del 2020 ma affonda le sue radici negli anni Sessanta. Il presidente Ilham Aliyev e il ministro della Cultura Anar Karimov sembrano, purtroppo, voler proseguire su questa strada, anche ora che l’Azerbaigian ha riconquistato il Karabakh. L’impatto che questa decisione politica avrà sulla riconciliazione fra armeni e azerbaigiani non sarà sicuramente positivo, ma può essere che la riconciliazione non sia una priorità in questo momento per il governo azerbaigiano.
Yesil Bey
[1] https://twitter.com/Anar_Karim/status/1326437397270310912
[2] Black Garden: Armenia and Azerbaijan Through Peace and War. Thomas de Waal (2003).
[3] The Cambridge Ancient History Volume 14. Late Antiquity: Empire and Successors, AD 425–600. Cameron, Ward-Perkins & Whitby (2001).
[4] What International Audiences Must Understand About the Conflict Between Armenia and Azerbaijan – and the Cultural Heritage That’s at Stake. Thomas de Waal. Newsartnet. 10/12/2020.
[5] Les Modèles en Pierre de l’Architecture Arménienne. Paolo Cuneo (1969).
[6] Buildings in Their Patrons’ Hands? The Multiform Function of Small Size Models between Byzantium and Transcaucasia. Maria Cristina Carile (2014).
[8] The Values of the Past: Myths, Identity and Politics in Transcaucasia. Victor A. Shnirelman (2001).
[9] Ibid.
[10] The Monuments of Western Azerbaijan. Aziz Alakbarli (2007).