20 novembre 1942: da poche ore l’Armata rossa ha lanciato la cosiddetta Operazione Urano per accerchiare i reparti della Wehrmacht, che dall’estate precedente stanno assediando Stalingrado (Volgograd) con l’aiuto di contingenti italiani fascisti, rumeni e ungheresi. Dopo appena una settimana di aspri combattimenti, i sovietici ottengono una vittoria tattica straordinaria, capace di capovolgere le sorti del fronte bellico orientale e – di conseguenza – dell’intera seconda guerra mondiale. Un oceano (e un’Europa) più in là, a circa 8.410 chilometri di distanza, al St. Mary’s Hospital di Scranton, città sede di una delle più floride industrie mineraria e tessile-serica della Pennsylvania, nasce Joe Biden – al secolo Joseph Robinette Biden Jr.
Non sono solo gli astri a connettere la Russia con l’attuale presidente (eletto) degli Stati Uniti. Il settantottenne successore di Donald J. Trump può difatti vantare una pluridecennale e autorevolissima esperienza politico-diplomatica, principalmente maturata nei delicati anni della Guerra fredda tra Mosca e Washington. Nel corso di questa, Biden è stato spesso in prima linea in alcuni dei processi che hanno definito i contorni delle relazioni tra gli Stati Uniti, da una parte, e l’Unione Sovietica e la Federazione Russa, dall’altra[1].
Risale al 1973 la prima visita di Biden oltre la cortina di ferro, un anno dopo la sua nomina a senatore per il Delaware – vero e proprio Stato di adozione del democratico, che si era ivi trasferito con la famiglia nel 1953 e laureato in giurisprudenza nel 1965. A partire da pochi mesi dopo, Biden si distinse come uno dei più attivi componenti dell’équipe bipartisan del Congresso sul controllo degli armamenti. Va rammentato come quelli fossero gli anni della grande distensione di Richard Nixon e Henry Kissinger – che da un lato promuovevano l'”equilibrio di potenza”, e dall’altro attuavano un “linkage” strategico con la Repubblica popolare cinese di Mao funzionale ad accerchiare il regime guidato da Leonid Brežnev.
In seguito alle dimissioni di Nixon e alla scadenza del mandato di Gerald Ford, l’arrivo alla Casa Bianca del democratico Jimmy Carter coincise con un ulteriore salto di qualità per Biden. Nell’agosto 1979, dopo la firma del trattato conseguente alle SALT II nel summit di Vienna (18 giugno) e in attesa della ratifica da parte del Senato, Biden si recò per una seconda volta nell’Unione Sovietica, a Leningrado (San Pietroburgo). Ad accoglierlo fu un autentico parterre de rois della dirigenza sovietica: anzitutto, Brežnev in persona (che, nelle parole di Biden, apparve “più ammalato di quanto pensassimo”[2]); quindi il premier Aleksej Kosygin, e infine il ministro degli Esteri Andrej Gromyko. Il senatore del Delaware, convinto sostenitore dell’efficacia del diritto internazionale per la risoluzione delle controversie, voleva con la sua spedizione convincere i colleghi di Washington ad appoggiare il trattato internazionale – la cui ratifica (naturalmente propedeutica all’entrata in vigore) era, e rimane, prerogativa costituzionale della camera alta di Capitol Hill. Nonostante la buona volontà di Biden, tuttavia, la luce verde senatoria non arrivò, non da ultimo per la decisione sovietica di invadere l’Afghanistan alla vigilia di Natale del 1979 e per la conseguente richiesta di Carter che il Senato posponesse ad libitum l’approvazione della convenzione.
Biden avrebbe incontrato di nuovo Gromyko – nelle ultime settimane da capo di Stato sovietico[3] di quest’ultimo –a Mosca, nel 1988, in qualità di membro della Commissione per le relazioni estere del Senato statunitense. Bisognerà quindi aspettare fino al 2011 per assistere alla quarta venuta di un (ben più attempato) Biden sul suolo russo, stavolta non più da senatore bensì da vice-presidente di Barack Obama. Il clima, ça va sans dire, fu ben diverso rispetto all’ultimo viaggio pietroburghese: Mosca non era più la capitale dell’impero sovietico ma della Federazione Russa, e l’interlocutore non più un infermo Brežnev quanto il presidente Dmitri Medvedev – e, soprattutto, l’allora capo del governo Vladimir Putin. Appena un anno prima, nel 2010, era stato sottoscritto il cosiddetto New START, con il quale Washington e Mosca avevano concordato una riduzione complessiva delle rispettive testate atomiche (del 74% rispetto allo START del 1991, e di un ulteriore 30% rispetto al SORT del 2002). In un discusso articolo[4] scritto per Gazeta da Fëdor Luk’janov, si rivela che il vice-presidente sarebbe in quell’occasione arrivato a proporre a Putin il ruolo di segretario generale della NATO in caso di appoggio militare russo alla coalizione occidentale in Libia. Com’è noto, però, Putin condannò fortemente l’intervento atlantico in Libia, definendolo addirittura “reminiscenza delle chiamate alle crociate medievali” – toni bruschi che valsero all’ex capo del KGB un rimprovero istituzionale da parte del presidente Medvedev.
Da allora, la postura di Biden e dell’amministrazione Obama nei confronti del Cremlino e di Putin (dal 2012 nuovamente presidente) è andata irrigidendosi, fino ad entrare in una fase di acuta crisi all’indomani dell’annessione russa della Crimea nel 2014. Per di più, Biden in persona ha sovrinteso la politica di sostegno statunitense nei confronti dell’Ucraina[5], visitando il Paese post-rivoluzionario per ben sei volte. È forse anche in virtù di quest’ultima esperienza che il neo-eletto 46° presidente consideri oggi la Russia come la “principale minaccia” alla sicurezza nazionale statunitense.
Da inquilino della Casa Bianca, spetterà da gennaio a Biden dare forma alle relazioni bilaterali russo-statunitensi. Uno dei primi dossier sulla sua scrivania sarà verosimilmente relativo al rinnovo del New START, in scadenza il 5 febbraio 2021, del quale Putin ha proposto un’estensione fino al 2026[6]. I tempi sono stretti e Washington ha più volte chiesto che gli accordi sulla riduzione delle armi strategiche coinvolgano anche Pechino.
Chissà, però, che la pluridecennale esperienza russa di Biden non possa fare miracoli.
Note:
[1] “Biden and Russia,” The Bell, 24 ottobre 2020, https://thebell.io/en/biden-and-russia/; “U.S. President-Elect Joe Biden’s Visits to Russia, in Photos,” Moscow Times,9 novembre 2020, https://www.themoscowtimes.com/2020/11/09/joe-bidens-visits-to-russia-in-photos-a71992; NikolajŠevčenko, “Joe Biden’s Long History with Moscow,” Russia Beyond the Headlines, 9 novembre 2020, https://www.rbth.com/history/332978-joe-biden-russia-us-soviet-union.
[2] Il segretario generale sovietico soffriva infatti di malattie cardiovascolari ed era stato colpito da un grave infarto nel 1974.
[3] Ossia di presidente del Presidium del Sovet Supremo dell’URSS, carica che avrebbe ricoperto fino alla fine del settembre 1988.
[4] Fëdor Luk’janov, “Pooščchritel’nyjPrizdljaPrem’era [Premio di Incentivazione per il Premier]”, Gazeta.ru, 10 marzo 2011, https://www.gazeta.ru/column/lukyanov/3549769.shtml.
[5] Peter Dickinson, “What Can Ukraine Expect from a Biden Presidency?” Atlantic Council, 14 novembre 2020, https://www.atlanticcouncil.org/blogs/ukrainealert/what-can-ukraine-expect-from-a-biden-presidency/.
[6] Andrew Higgins, “U.S. Rebuffs Putin Bid to Extend Nuclear Arms Pact for a Year,”New York Times, 16 ottobre 2020, https://www.nytimes.com/2020/10/16/world/europe/putin-nuclear-new-start-treaty.html.