Il 10 gennaio i cittadini kirghisi sono stati chiamati nuovamente a votare dopo le contestate elezioni, successivamente annullate, dello scorso ottobre. Sadyr Japarov, ex primo ministro ad interim, aveva già svolto anche il ruolo di presidente in seguito alle dimissione di Jeenbekov. È stata inoltre approvata la riforma sul sistema di governo: il Kirghizistan diventerà una repubblica presidenziale.
Le elezioni annullate di ottobre
Lo scorso autunno è stato un periodo decisamente movimentato per la repubblica centroasiatica. Le elezioni parlamentari dello scorso 4 ottobre sono infatti state annullate in seguito alle numerose proteste dei cittadini. Dei 16 partiti che si erano presentati, solamente quattro avevano superato la soglia di sbarramento del 7% e tre di questi erano filo-governativi. Numerose sono state le irregolarità denunciate, in particolar modo il voto di scambio, fenomeno favorito ulteriormente dalla crisi economica.
I manifestanti non hanno esitato a scendere in piazza, specialmente nella capitale. Sia la Casa Bianca, il palazzo presidenziale, che la sede del Parlamento, sono state nuovamente teatro di rivolte, come nel 2005 e nel 2010. Ci sono stati diversi scontri con la polizia, che hanno causato centinaia di feriti e almeno un morto. Nonostante le elezioni siano state annullate dalla Commissione centrale elettorale in meno di 48 ore, la situazione non si è stabilizzata subito. Sono inoltre state liberate di prigione persone chiave come l’ex presidente Almazbek Atambayev, oggi nuovamente in carcere, e Sadyr Japarov, il neoeletto presidente. Il motivo di tale confusione deve ricercarsi nel fatto che l’opposizione stessa era, ed è, molto frammentata, così come molte divisioni sono presenti ancora oggi all’interno del Paese.
La situazione si è calmata solamente in seguito alle dimissioni dell’ex presidente, Sooronbay Jeenbekov, che il 15 ottobre ha motivato la sua scelta affermando di non voler restare nella storia del Kirghizistan come un presidente che ha versato sangue e sparato ai suoi stessi cittadini. Si tratta del terzo presidente costretto a dimettersi a partire dalla Rivoluzione dei tulipani, avvenuta nel 2005.
Da quel momento ha assunto il ruolo di presidente Japarov, nel frattempo nominato primo ministro ad interim dall’opposizione, perché Kanat Isaev, da poco eletto a capo del Consiglio Supremo, si era rifiutato di ricoprire l’incarico. Japarov ha comunque rinunciato a svolgere sia la funzione di presidente che di primo ministro nel mese di novembre, per concorrere alle ultime elezioni presidenziali. Funzioni che sono state temporaneamente ricoperte da suoi stretti collaboratori.
La vittoria di Japarov e la riforma costituzionale
Diciassette i candidati che si sono presentati alle elezioni presidenziali anticipate del 10 gennaio, ma nessuno di loro è stato in grado di competere con Japarov che, stando ai risultati preliminari, ha ottenuto circa l’80% dei consensi. Adakhan Madumarov, arrivato secondo, ha preso meno del 7% dei voti e tutti gli altri hanno raggiunto percentuali bassissime, consegnando al neoeletto presidente una vittoria schiacciante.
L’affluenza è stata di circa il 40%, molto più bassa delle ultime elezioni presidenziali avvenute nel 2017, dove la partecipazione popolare si attestò intorno al 56%. Questo potrebbe essere dovuto in parte alla sfiducia dei cittadini sulla trasparenza delle votazioni e in parte a irregolarità dovute a problemi tecnici, come riportato da Koops.kg, che ha monitorato il processo elettorale con l’impiego di oltre 1500 osservatori distribuiti in tutto il Paese. Anche Al Jazeera ha evidenziato il fatto che si sia trattato di elezioni molto controverse.
Ma chi è Sadyr Japarov? Entrato in politica nel 2005, fino a pochi mesi fa si trovava in carcere con l’accusa di rapimento ai danni di un governatore provinciale, imputazione che ha sempre respinto. Condannato nel 2013, si è rifugiato in Kazakhstan per poi essere arrestato al suo rientro nel Paese nel 2017. La sua pena è stata successivamente cancellata in seguito alla sua liberazione da parte dei manifestanti e agli eventi dello scorso ottobre, in cui è riuscito a farsi strada e ad emergere come leader.
Contemporaneamente alle elezioni presidenziali, si è tenuto un referendum in cui i cittadini sono stati chiamati a decidere sul sistema di governo. Con l’80,99% di voti, stando agli ultimi risultati, i kirghizi hanno scelto una forma di governo presidenziale anziché parlamentare. Questo rafforzerà ulteriormente i poteri di Japarov, che ha già affermato che non appena sarà approvata la nuova Costituzione attuerà molte riforme politiche.
Durante la sua prima conferenza stampa come presidente neoeletto, Japarov ha esposto il suo programma, toccando diversi punti. Ha detto di non voler commettere gli errori che sono stati fatti dal precedente governo e che la corruzione che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni del Paese non sarà più tollerata. In riferimento alla crisi economica dilagante, ha affermato che ci vorranno tra i tre e i cinque anni per migliorare realmente lo stato delle cose.
Japarov ha anche sottolineato l’importanza della Russia come principale partner strategico del Paese in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Putin, d’altra parte, non ha esitato a mandare un telegramma di congratulazioni al neoeletto presidente, in cui esprime anche la sua speranza che la nuova nomina di Japarov possa contribuire a rafforzare ulteriormente i legami tra i due Stati. Ha inoltre sottolineato come questa relazione sia importante anche per la stabilità e la sicurezza della regione centroasiatica.
Quello che preoccupa maggiormente molti membri dell’opposizione kirghisa è la concentrazione di potere nelle mani di una sola persona. La bozza della riforma costituzionale ha ricevuto già diverse critiche, tra cui quella dell’ex presidente Roza Otunbayeva, secondo la quale gli emendamenti non rispettano il diritto internazionale. Ma sono molti i politici ad essere preoccupati da questa situazione.
Anche l’ex presidente Bakiyev (tra gli altri), di cui Japarov era sostenitore, tentò di incrementare i suoi poteri e quello che ne conseguì fu una cruenta rivolta. Ma quello che in molti temono non sono solo nuove insurrezioni che potrebbero colpire il Paese, da anni altamente instabile a livello politico. Ad oggi il rischio più grande è che quella che fino ad ora sembrava essere “la Repubblica più democratica dell’Asia centrale” si stia in realtà avviando verso una forma di autoritarismo molto preoccupante.