L’Europa orientale, per via della sua peculiare posizione geopolitica e la presenza di una pianura estesa, priva di confini stabiliti, che si dipana dai contrafforti degli Urali fino alla Mitteleuropa, ha da sempre rappresentato una cintura tra civiltà, religioni, imperi e popoli nomadi e stanziali. Il territorio dell’attuale Ucraina, in particolare, ha conosciuto un lentissimo processo di coesione identitaria che deve molto ai cosacchi, fautori di una rivolta che, al di là della consueta propaganda nazionalista, ha assunto i caratteri di un vero e proprio risveglio nazionale.
A metà del XVI secolo il trattato di Lublino unì le corone di Polonia e Lituania per formare un commonwealth; un impero binazionale e multietnico, principale potenza dell’area mitteleuropea. Esteso dalle rive del Baltico alla Crimea tatara, la confederazione incamerava le fertili regioni del nord dell’Ucraina, i voivodati ruteni di Volinia, Podolia, Breslavia e Kiev. Il dominio polacco-lituano sanciva il prestigio e il potere della classe nobiliare di ceppo polacco, quella Szlachta artefice del processo di Unione, alla quale vennero concessi importanti privilegi fondiari e fiscali nelle terre ucraine abitate da ampie maggioranze rutene di religione ortodossa. Questo gruppo demografico, inoltre, dovette subire con riluttanza l’unione della chiesa rutena alla chiesa cattolica nell’unione di Brest, un atto sacrilego per le popolazioni di una terra di frontiera rurale e selvaggia.
I cosacchi, un mélange etnico nato dalla coalescenza tra gruppi etnici locali, mercanti, fuggitivi, avventurieri ruteni e slavi (la parola “cosacco” è di origine turca e significa “uomo libero”) si erano organizzati nell’Ucraina meridionale dotandosi di un autogoverno – l’Host di Zaporozhia – e inglobando nelle proprie fila servi della gleba fuggiti, nobili decaduti, avventurieri e tatari della Crimea convertiti all’ortodossia. Lentamente cooptati dal Commonwealth, i cosacchi finirono per diventare parte integrante del multietnico esercito polacco impegnato in uno stato costante di guerra con russi, svedesi e ottomani. Abili e indomiti guerrieri, allergici alla disciplina, ben presto i cosacchi iniziarono a sfidare la supremazia e il potere della nobiltà polacca sempre più influente e oppressiva. Con il fine di ridurre l’autonomia dei cosacchi, gli ufficiali dell’esercito del Commonwealth iniziarono a limitare gli arruolamenti, trattennero i salari e imposero nuove restrizioni causando una serie ciclica di rivolte. La rivalità religiosa aggravata da politiche di controriforma, le politiche di colonizzazione tese a diluire la solidità demografica degli autoctoni, il risveglio di un’embrionale identità nazionale nonché le ambizioni personali di un improvvisato condottiero contribuirono a rompere il precario equilibrio tra oppressori e dominati.
Nello stesso periodo, infatti, un nobile minore dell’Ucraina centrale di nome Bohdan Chmelnyckyj iniziò un’ambiziosa scalata nei ranghi dell’esercito della Confederazione distinguendosi in battaglia e conquistando sul campo il possesso di un importante latifondo. Il nobile cosacco ben presto venne a scontrarsi con il potente omologo Stanisław Koniecpolski, un comandante militare che si impadronì delle sue terre. Alla morte di Koniecpolski nel 1646, si accese una disputa tra il figlio del nobile polacco Alexander e Chmelnyckyj sui diritti sulla terra e, nonostante i ripetuti appelli del defraudato cosacco, la corona polacca decise di non intervenire. Sconfitto, umiliato e furente, Bohdan si rivolse ai cosacchi per chiedere supporto contro i soprusi della corona, finendo per essere arrestato sulla strada di Varsavia, capitale della confederazione. La notizia del suo arresto accese la scintilla in un contesto già fortemente radicalizzato, quietando il fronte moderato e attirando molti sostenitori. I cosacchi nel gennaio del 1648 si sollevarono, lo liberarono e diedero inizio all’insurrezione armata.
La leadership e il prestigio di Chmelnyckyj gli valsero un crescente sostegno permettendogli di farsi eleggere atamano, capo militare, e di formare una fragile ed inaspettata alleanza con gli arcinemici tatari a cui vennero promessi la consegna di schiavi, terre e bottino. I primi tentativi polacchi di reprimere la rivolta si risolsero in un nulla di fatto (molti cosacchi nelle file dell’esercito confederato defezionarono e si unirono alla ribellione) e nella battaglia di Korsun le forze polacche finirono per essere schiacciate. Di fronte alla progressiva avanzata degli insorti, la corona polacca comprese pienamente l’entità del pericolo e iniziò a brigare con il fine di formare un fronte unito contro di essi; tentativo che subirà un rallentamento con la morte del monarca Vladislav IV Vasa e i complessi processi di elezione di un nuovo re. Galvanizzato dai recenti successi Chmelnyckyj raggiunse Bila Cerkva, nei pressi di Kiev, dove pubblicò un elenco di richieste alla corona polacca: l’aumento del numero di cosacchi registrati, l’autonomia della chiesa rutena e il pagamento dei salari arretrati. Ottenute queste concessioni, Chmelnyckyj in un primo momento intraprese la strada della smobilitazione. Ma compresa l’entità della rivolta, ovvero del supporto crescente dei vessati contadini ucraini, colse l’opportunità di invadere la Polonia assediando le città di Zamosc e Zbarash.
Il successore di Vladislav Vasa, Giovanni Kazimierz II, organizzò un imponente esercito per respingere i cosacchi attivandosi diplomaticamente per circuire i tatari e ottenendo un periodo di tregua della durata di due anni. Con lo scadere di questa tregua le tensioni ripresero a salire e le due parti si incontrarono di nuovo sul campo a Berestechko, nella Volinia settentrionale. In quella che viene considerata una delle maggiori battaglie terrestri europee del XVII secolo, le forze cosacche finirono per essere duramente respinte dalla carica dei leggendari ussari polacchi, la cavalleria pesante che finirà per travolgere anche le forze ottomane impegnate nell’assedio di Vienna nel 1683. Travolti dalla carica, massacrati in grande numero, i cosacchi abbandonarono il campo di battaglia permettendo agli ausiliari tatari, ora alleati della corona polacca, di prendere prigioniero lo stesso Chmelnyckyj. In seguito al pagamento di un sostanzioso riscatto i tatari liberarono l’atamano che riuscì in breve tempo a ricostruire le forze e affrontare nuovamente sul campo l’esercito polacco, per subire però una nuova sconfitta.
Il bagno di sangue, la stanchezza dei contendenti, le difficoltà logistiche nel mantenere mobilitati eserciti di tale entità, l’insorgere di un’epidemia e la necessità di fronteggiare nemici esterni convinsero le parti a più miti consigli inaugurando una negoziazione sancita dal Trattato di Bila Cerkva che annullò le precedenti conquiste cosacche. Inorgogliti dai recenti successi, i falchi all’interno della nobiltà polacca convinsero però il parlamento del Commonwealth a non ratificare il trattato e a continuare le ostilità. Chmelnyckyj riunì nuovamente l’esercito, ottenne nuovamente il supporto dei tatari, affrontò e sconfisse nella battaglia di Batih l’esercito polacco, vendicandosi per le passate disfatte e massacrando più di 8.000 prigionieri inermi. Nonostante la vittoria campale, Chmelnyckyj comprese l’impossibilità di affrontare una lunga guerra di logoramento; infinitamente inferiori erano le risorse a disposizione contro una delle principali potenze dell’epoca.
Il pragmatico atamano comprese la necessità di ottenere sostegno esterno per raggiungere uno qualsiasi degli obiettivi prestabiliti, e finì per rivolgersi verso l’unica alternativa possibile, il potente regno russo. Nel 1654, dopo aver ottenuto dai cosacchi l’accettazione della signoria dello zar Alessio I, i russi invasero in forze il territorio della confederazione, imitati dagli svedesi che entrarono nel conflitto cercando di trarre vantaggio da una Polonia indebolita. Quando i russi conclusero un trattato di pace separato con la Polonia per formare un fronte unito contro la Svezia, i cosacchi passarono dalla parte della Svezia dando inizio a un periodo di confusa instabilità. Sfortunatamente per i cosacchi, Chmelnyckyj morì di emorragia cerebrale nel 1657 privando l’Host della sua oculata leadership in un momento assai delicato. I polacchi, consapevoli del vuoto politico, tentarono di riportare i cosacchi sotto il loro controllo prospettando l‘ipotesi di un regno ruteno autonomo all’interno di una confederazione trinazionale.
Il Trattato di Hadjač, siglato il 16 settembre 1658 con l’obiettivo di formalizzare questa ambiziosa concessione, venne accolto con favore dall’alta nobiltà cosacco-rutena desiderosa di entrare nelle leve di comando della confederazione. Ma fu ampiamente rifiutato dalla base cosacca, sempre più orientata politicamente e religiosamente verso la sfera di influenza russa. Nel 1667, al termine della guerra russo-polacca, il territorio dei cosacchi venne diviso in due lungo il fiume Dnepr; quello sulla riva sinistra godeva di un certo grado di autonomia all’interno del futuro Impero russo, quello sulla riva destra rimase parte del Commonwealth polacco-lituano. Ad esclusione di un effimero tentativo di rivolta indipendentista durante la Grande Guerra del Nord (1700 – 1721) quando l’atamano Ivan Mazeppa si schierò al fianco di Carlo XII di Svezia impegnato in un’invasione della Russia, il territorio cosacco finirà per integrarsi progressivamente nella compagine imperiale zarista. Durante il regno di Caterina II, l’autonomia cosacca fu ulteriormente indebolita: la carica di atamano fu abolita nel 1764, e l’Etmanato incorporato nell’Impero russo.
Nel 1667, al termine della guerra russo-polacca, il territorio dei cosacchi venne diviso in due lungo il fiume Dnepr; quello sulla riva sinistra godeva di un certo grado di autonomia all’interno del futuro Impero russo, quello sulla riva destra rimase parte del Commonwealth polacco-lituano.
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Nonostante l’entità dei massacri e il mancato raggiungimento dell’autonomia, la rivolta di Chmelnyckyj resta un elemento fondante della storiografia e dell’ethos nazionale ucraino. Per un Paese costantemente in crisi d’identità e sospeso tra l’influenza storica, culturale e religiosa del vicino russo e l’Occidente, il movimento insurrezionale ha assunto una valenza fondamentale, prodromo di una consapevolezza identitaria e di un certo risveglio patrio. Nella storiografia ucraina l’insurrezione è infatti conosciuta come la “Rivoluzione nazionale”. Durante la seconda guerra mondiale, una decorazione militare ha assunto il nome del condottiero cosacco e nel 1954 la città di Proskurov è stata ribattezzata Khmelnitski. Innumerevoli gli studi accademici e i tributi artistici dedicati al nobile cosacco e alla rivolta, che spesso nascondono gli aspetti più tragici ed efferati della vicenda.
Tuttavia l’immagine della rivolta e della figura che se ne è fatta portavoce è in grado di spaccare l’opinione pubblica del Paese lungo le divisioni intrinseche della società ucraina. Se la componente filorussa è grata al leader cosacco per aver permesso l’ingresso della regione nella sfera di influenza russa, dall’altra parte della barricata i nazionalisti ucraini gli rimproverano l’accettazione della sovranità dell’imperialismo russo – oltre a criticare l’alleanza con i tatari di Crimea colpevoli di aver razziato la regione. A livello internazionale, piuttosto che a livello locale, la figura di Chmelnyckyj è famigerata per i costanti massacri e l’espulsione della comunità ebraica e di quella polacca. Una statua a cavallo del condottiero cosacco svetta oggi in una delle principali piazze di Kiev, a eterna memoria del risveglio nazionale di un popolo orgoglioso.
Appendice
A fare le spese di una guerra molto lunga e dalla così ampia portata furono principalmente le due più corpose minoranze all’interno dell’Ucraina di metà ‘600: gli ebrei e i polacchi. I secondi pagarono il fio di condividere la nazionalità di quella nobiltà odiatissima, oppure vennero eliminati in un tentativo più o meno velato di pulizia etnica ante litteram. Gli ebrei, oltre 50.000, insediati sia nelle principali città che nei villaggi rurali precursori degli ottocenteschi Shtetl annichiliti dall’Olocausto, subirono una campagna di annientamento sistematico che costò la vita a decina di migliaia di essi. I massacri contro questi, particolarmente efferati e costanti per tutta la durata della rivolta, si spiegano non solo con il male dell’antisemitismo di matrice religiosa ma anche con la precaria situazione giuridica della minoranza ebraica all’interno delle terre ucraine. Questa corposa comunità godeva infatti della peculiare protezione della nobiltà polacca proprietaria di vasti latifondi – appaltati agli stessi ebrei, locatari o amministratori di patrimoni. Percepiti come agenti del dominio polacco, gli ebrei rappresentarono per la popolazione rutena il volto dell’oppressione del Commonwealth, utili e inermi capri espiatori per la rabbia e l’odio delle masse. Un cliché che si sarebbe ripetuto fino alla contemporanea sparizione della comunità dall’Europa orientale.
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