Con il proprio intervento nella guerra civile siriana, la Russia è riuscita a divenire un attore indispensabile per gli equilibri del Paese e dell’intera regione. Il processo di ricostruzione della Siria, però, potrebbe nascondere alcune insidie per il Cremlino
Il crepitio delle armi automatiche non è ancora del tutto cessato in Siria, ma già da tempo si parla di ricostruzione. Buona parte del Paese, d’altronde, è tornata sotto il diretto controllo di Assad il quale, grazie alla collaborazione con l’Iran e la Russia, è riuscito ad invertire le sorti di un conflitto che sembrava segnato.
Le origini della crisi siriana vanno fatte risalire al 2011, quando la popolazione, sull’onda di quanto stava accadendo un po’ ovunque nella regione MENA, cominciò a manifestare contro le autorità di Damasco. Nonostante l’ottimismo che permeava le prime proteste, la Siria fu travolta da una terribile guerra civile, che nei fatti dura ancora oggi. Il conflitto ha causato la morte di 500.000 persone e ha costretto 11 milioni di cittadini siriani ad abbandonare le proprie case rifugiandosi all’estero o in altre regioni del Paese.
Il 30 settembre 2015, la Federazione Russa ha deciso di rispondere positivamente alla richiesta di aiuto presentata formalmente dalle autorità di Damasco, all’epoca vicine alla capitolazione. Mosca aveva molteplici interessi da difendere nella regione e i tempi sembravano propizi per lanciare il primo intervento armato out-of-area dall’epoca dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Il graduale disimpegno degli Stati Uniti dagli scenari globali, tradottosi nel ritiro dalla regione mediorientale, aveva lasciato un vuoto di potere che qualcuno avrebbe dovuto riempire. La dissoluzione dell’URSS aveva fortemente diminuito l’influenza della Russia rispetto ai paesi MENA, ed il conflitto siriano sembrava garantire l’opportunità di tornare ad essere un attore rilevante nell’area.
La Siria, del resto, è un Paese strategicamente molto importante per il Cremlino. In effetti la Federazione Russa possiede due installazioni militari in territorio siriano. Una di queste in particolare, la base navale di Tartus, consente a Mosca di avere uno sbocco diretto sul Mediterraneo e, oltretutto, non dista molto da alcune delle principali rotte commerciali mondiali, cioè quelle che prevedono l’attraversamento del Canale di Suez.
Con l’intervento militare in Siria, il Cremlino ha cercato di farsi accreditare come attore fondamentale nella regione, considerando che il calderone siriano parrebbe essere il punto di incontro, e scontro, di tutti gli interessi in gioco in Medio Oriente. Per lungo tempo, infatti, quest’area è stata destabilizzata dall’antagonismo tra Iran ed Arabia Saudita, spesso inteso in modo semplicistico come confronto religioso tra sciiti e sunniti. Questo conflitto, tuttavia, aveva radici molto più profonde da ricercarsi essenzialmente nelle caratteristiche dei modelli politici rappresentati dai due paesi.
Dopo la rivoluzione occorsa a Teheran nel 1979, che aveva comportato l’allontanamento dello Shah e posto una seria ipoteca sul panarabismo, le monarchie del Golfo si sentirono minacciate. Il regime islamico semi-democratico emerso dalla rivoluzione iraniana fu immediatamente guardato con preoccupazione dai sauditi, che videro un pericolo per l’assolutismo, (giustificato da un’interpretazione ultraconservatrice dell’Islam), da loro esercitato. Più che uno scontro tra diverse correnti interne alla stessa confessione, si trattava dunque di una lotta per l’egemonia regionale tra coloro che propugnavano idee rivoluzionarie e coloro che ad esse erano determinati a resistere. In questo contesto, la dinastia Assad non esitò a schierarsi con l’Iran, essendo la Siria l’unico Paese ad essere giunto in suo soccorso in occasione della lunga guerra con l’Iraq (1980-88).
Le “Primavere Arabe” hanno determinato un cambiamento in questo scontro epocale tra i difensori dello status quo, rappresentati dalle monarchie del Golfo, e coloro che invece volevano mutarlo, ovvero le forze leali a Teheran. Oggi la battaglia è alimentata dalla volontà delle potenze in gioco di riaffermare gli equilibri nella regione. E dunque Riyad si è trovata a supportare l’opposizione islamista al regime siriano nella sua espressione più lontana dalla Fratellanza Musulmana, la Turchia ed il Qatar si sono schierati, invece, con i movimenti riconducibili ai Fratelli Musulmani e l’Iran ha appoggiato quasi da subito il regime di Assad, in un clamoroso ribaltamento dei ruoli tradizionali. In tutto questo, Mosca, pur supportando militarmente Damasco, ha potuto fungere da mediatore vedendo accrescere il proprio prestigio nella regione e migliorando ulteriormente i propri rapporti con i sauditi, già in netta ascesa dopo la firma degli accordi OPEC+.
L’acquisita importanza della Russia deriva in particolare dal fatto che, avendo contribuito ad assicurare la permanenza di Assad al potere, le monarchie del Golfo non hanno altre opzioni se non quella di trovare un accordo con il regime siriano al fine di limitare l’influenza iraniana. Ed il canale per questo tipo di operazione, ovviamente, passa per la Federazione Russa. Mosca è dunque divenuta l’arbitro dei destini della Siria ed ha assunto una rilevanza per la regione MENA tale da far sì che alcuni analisti ritengano che abbia effettivamente soppiantato Washington. Tuttavia, il Cremlino sembrerebbe mancare delle risorse necessarie ad assurgere a tale ruolo. La questione della ricostruzione della Siria potrebbe esserne un esempio, sebbene la Russia abbia molto da guadagnare in questo ambito.
Secondo le stime del governo siriano, per rimettere in piedi il Paese, devastato da dieci anni di aspri combattimenti, sarebbero necessari 400 miliardi di dollari. Il PIL della Siria ha subito un’enorme contrazione rispetto agli anni precedenti lo scoppio della crisi, passando da 61 miliardi di dollari nel 2010 a 17 nel 2017. Inoltre, più di un terzo delle abitazioni è andato distrutto così come buona parte delle strutture ospedaliere e scolastiche.
L’interesse della Federazione Russa nel processo di ricostruzione è guidato da due vettori principali. Da un lato, Mosca intende connettere nuovamente Damasco con i mercati finanziari globali, consentendo al regime di Assad di ottenere una sorta di legittimazione internazionale, che manca al governo siriano sin dal 2011. Dall’altro, il Cremlino ha tutta l’intenzione di trarre vantaggio dalla favorevole posizione guadagnata grazie al coinvolgimento diretto nel conflitto, beneficiando del flusso di capitali in arrivo nel Paese. Mosca, però, non possiede risorse materiali sufficienti per garantire il completamento del processo di ricostruzione. Per tale motivo, già da alcuni anni la Russia sta cercando di coinvolgere i governi occidentali nello sforzo, dovendo combattere però numerose resistenze.
Washington ed i paesi UE non paiono intenzionati a rinunciare alle condizionalità che da sempre contraddistinguono i loro finanziamenti, in particolare quelle relative alla necessità di una transizione democratica del governo siriano. Damasco, per contro, è spaventato da suddette disposizioni e preferirebbe rivolgersi ad attori interessati soltanto agli aspetti economici della ricostruzione. Per questo motivo, il Cremlino si è orientato verso l’Arabia Saudita e la Cina. Per quanto riguarda la prima, però, Riyad ha assunto una posizione ambigua. Sebbene il proprio coinvolgimento consentirebbe alla monarchia del Golfo di ridurre l’influenza iraniana nel Paese, essa è vista con sospetto in Siria a causa del sostegno fornito dai sauditi alle opposizioni durante le fasi più calde della guerra. Inoltre, il governo di Riyad è concentrato nel tentativo di tagliare il proprio deficit di bilancio e non è chiaro fino a che punto sarebbe disposto ad impegnarsi nella ricostruzione. La Cina, dal canto suo, ha sempre mostrato una certa tendenza a non apprezzare l’instabilità e la Siria, chiaramente, fornisce pochissime garanzie in tal senso. Inoltre, il potenziale economico di Pechino è tale da mettere a repentaglio la preminenza della Russia. L’altro attore rilevante per la partita è senza dubbio l’Iran, il quale però non possiede le risorse necessarie per finanziare la ricostruzione ed è in competizione con Mosca rispetto ad alcuni progetti. Finché le armi non saranno riposte, tra Teheran ed il Cremlino continuerà a prevalere un rapporto di collaborazione legato alla sfera militare, ma appare facile immaginare che presto i nodi “finanziari” verranno al pettine.
Mentre il governo siriano sembra più concentrato sulla ricostruzione edilizia, grazie ad alcuni provvedimenti legislativi approvati prima dell’inizio delle ostilità che consentono l’espropriazione, previo risarcimento, degli insediamenti abusivi, Mosca ha già ottenuto diversi contratti infrastrutturali. A livello energetico, il Cremlino si è garantito i diritti di sfruttamento di numerosi giacimenti di gas e petrolio situati nei territori sotto il controllo di Assad. Ci sono inoltre ottime prospettive di replicare l’accordo anche per le riserve energetiche controllate dai curdi, vista la limitata collaborazione tra questi ultimi e l’esercito siriano in occasione dell’intervento turco nel Paese. Inoltre, il Cremlino si è assicurato contratti per la costruzione di impianti energetici vicino ad Homs, per la realizzazione di una linea ferroviaria che colleghi l’aeroporto di Damasco con il centro della città e per il controllo della produzione dei fosfati. A livello sociale, il governo russo sta facendo grosse pressioni sulle autorità siriane perché facilitino il ritorno dei rifugiati ma, sebbene esse si siano dette nominalmente d’accordo, la realtà è ben diversa. Visti dal regime come oppositori, parrebbe che Damasco non abbia alcuna fretta di consentire ai rifugiati siriani di fare ritorno in patria.
Se con il proprio intervento in Siria la Russia è riuscita ad accreditarsi quale attore fondamentale per gli equilibri mediorientali, la questione della ricostruzione potrebbe complicare di molto le cose. Ma la guerra civile non è ancora terminata e la partita rimane del tutto aperta.