Mentre l’Opec+ lascia invariato il livello di produzione di greggio, l’intesa tra Russia e Arabia Saudita mostra i primi segni di cedimento. Oggi il settore petrolifero della Federazione scalpita per tornare ad aumentare la produzione, mentre si affaccia la possibilità di un ritorno dello shale oil statunitense. Nel lungo periodo, però, sono altre le sfide che riguarderanno a livello strutturale l’intero comparto del greggio russo.
Il vertice Opec+ dello scorso 4 marzo ha confermato le posizioni attendiste dell’organizzazione a fronte di una ripresa dell’economia e della domanda sempre più incerta su scala globale.
Proprio a un anno di distanza, era il 6 marzo 2020, andava in scena la rottura delle trattative tra Russia e Arabia Saudita in seno all’organizzazione allargata dei Paesi produttori di petrolio. Lo strappo avrebbe lanciato per un breve periodo il prezzo del greggio verso un crollo verticale dei prezzi.
Il vertice di marzo 2021 offre uno scenario diverso. L’Arabia Saudita ha confermato la propria leadership all’interno del gruppo mediando tra i Paesi membri e confermando la propria scelta di tagliare di un milione di barili al giorno il proprio output di petrolio anche ad aprile. In totale quindi l’Opec+ continuerà a tagliare la propria produzione di sette milioni di barili al giorno (più uno dell’Arabia Saudita). Mosca, invece, ottiene un ulteriore lieve incremento della sua quota di produzione di 130.000 barili al giorno.
Tuttavia, dietro l’intesa raggiunta a marzo, si nasconde una tensione crescente tra Russia e Arabia Saudita circa le quote di produzione e le diverse strategie di produzione nel settore petrolifero. Le compagnie petrolifere russe puntano a incassare i maggiori introiti derivanti dall’aumento dei prezzi del petrolio e, contestualmente, nel corso dei vertici precedenti, Mosca – anche attraverso le dichiarazioni del Vice ministro ed ex ministro dell’energia Alexander Novak – a un aumento delle proprie quote di produzione.
Sullo sfondo di queste pressioni c’è anche la preoccupazione che un alto livello dei prezzi favorisca il rientro sul mercato di molte compagnie dello shale oil statunitense. Il settore – caratterizzato da alti costi di produzione – aveva subito gravi perdite economiche dalla caduta dei prezzi del 2020, costringendo centinaia di piccole realtà produttrici alla bancarotta. Con i prezzi in risalita, Washington diventerebbe nuovamente competitiva e andrebbe a occupare piccole, ma rilevanti, quote di mercato del greggio.
La necessità di regolare le quote di produzione e il prezzo del petrolio a livello internazionale era stata alla base dell’intensificazione dei rapporti tra Mosca e Riad. Con la ripresa dei prezzi entrambi i Paesi potrebbero essere tentati di seguire ognuno la propria strategia e spingere verso direzioni opposte. Nonostante le pressioni del Cremlino, lo scenario della ripresa della domanda globale resta per ora incerto, confermando dunque la volontà di proseguire un dialogo – dentro e fuori l’Opec+ – tra Russia e Arabia Saudita. Si inserisce in questo quadro la recente visita del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov nei Paesi del Golfo con tappa a Riad.
L’outlook petrolifero della Russia
Nonostante gli scenari di incertezza, la posizione della Russia rimane di relativa forza rispetto a una lenta ripresa della domanda – e dunque dei consumi di greggio – a livello globale. Grazie anche al tasso di cambio flessibile tra rublo e dollaro, l’impatto della volatilità dei prezzi del petrolio sull’economia russa risulta contenuta. Lo scorso anno Mosca ha approvato un budget statale sulla base di livelli di prezzi sull’indice del greggio Ural a 45.3 $/barile nel 2021, 46.6 $/barile nel 2022 e 47.5 $/barile nel 2023. A tal proposito il presidente Vladimir Putin ha dichiarato che il budget del 2021 è calcolato solo per un terzo sui proventi derivati dalla commercializzazione di idrocarburi, mentre nel 2011 tale quota si aggirava attorno al 50%.
Tuttavia, la resilienza dell’economia russa non sarà sufficiente a garantire la stabilità del sistema produttivo russo a fronte di dinamiche internazionali che vanno oltre le fluttuazioni di mercato del greggio. Sul lungo periodo Mosca dovrà rimodulare la propria strategia di export, basata sugli idrocarburi, in reazione a un settore energetico caratterizzato da una penetrazione sempre maggiore delle fonti rinnovabili.
Un segnale in questo senso lo si è avuto lo scorso febbraio, quando Rosfnet ha nominato l’ex ministro degli Esteri austriaco Karin Kneissl, (al cui matrimonio aveva partecipato lo stesso Putin), membro del consiglio di amministrazione della società energetica. Allo stesso tavolo siede anche l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, confermando dunque una continuità nella strategia della società petrolifera che punta su personalità di alto livello per attività di advocacy.
La transizione energetica e l’adozione di politiche orientate verso la sostenibilità ambientale porranno una sfida strutturale all’economia e al modello di export russo. Guardando al fronte occidentale, verso cui è diretto il 56% delle esportazioni di greggio della Federazione, l’Unione Europea è proiettata verso l’applicazione di norme sempre più stringenti circa la decarbonizzazione della propria economia.
Inoltre, Bruxelles sta rivedendo la propria politica doganale prevedendo di introdurre una tassa sulla CO2 da riscuotere sui prodotti in arrivo da Paesi extra UE con processi produttivi più inquinanti rispetto ai propri. Il meccanismo avrà un duplice scopo: finanziare parte dei programmi a sostegno della decarbonizzazione europea e proteggere il mercato interno in cui le aziende sono obbligate a rispettare una regolamentazione più rigida.
Tale scenario riguarderà direttamente l’esportazione di prodotti russi. Gli analisti stimano che, agli attuali livelli di prezzo della CO2, i costi aggiuntivi delle merci provenienti da Mosca si aggireranno attorno ai 45 miliardi di dollari l’anno, il 10% dei ricavi totali dell’export.
Il documento programmatico che dovrebbe delineare un piano in risposta alle sfide poste da questi fattori esterni è la Strategia Energetica russa al 2035. Ma, come evidenziato da precedenti analisi, la strategia non fornisce dettagli a sufficienza circa le prospettive di sviluppo del settore rinnovabile o sull’applicazione di quelle tecnologie che potrebbero rendere il settore petrolifero competitivo e sostenibile sul lungo periodo. Quest’ultimo resta un passaggio critico e fondamentale che, per essere realizzato, richiederà una completa sintonia e unità di visione tra la componente politica e quella industriale del paese.