Lo scambio commerciale tra Cina e Tagikistan, facilitato dal progetto geoeconomico delle Vie della seta, è in costante ascesa. La messa in sicurezza degli investimenti di Pechino nella repubblica montana, tuttavia, potrebbero giustificare un tentativo cinese di avanzare pretese territoriali nei confronti di Dušanbe.
L’interesse cinese verso l’Asia centrale, com’è stato possibile assistere negli ultimi decenni, è molto forte: la necessità di ottenere risorse naturali per sostenere la propria economia e il bisogno di assicurare i propri confini occidentali, instabili a causa della presenza degli Uiguri, ha spinto Pechino a stringere relazioni di collaborazione con tutti gli Stati centro-asiatici. Tuttavia, uno dei rischi per la regione è che dietro alla crescita dell’importanza della Cina per l’interscambio regionale si possa nascondere il tentativo, neanche troppo velato, di rimettere in discussione le frontiere con gli Stati con i quali essa confina: Kirghizistan, Kazakistan e Tagikistan.
Tra questi, uno in particolare ha attirato l’attenzione negli ultimi mesi per via di alcune rivendicazioni territoriali avanzate su vari giornali e blog cinesi (che facevano esplicito riferimento ad esso come anticamente parte del Celeste Impero): il Tagikistan. Dato che il peso economico della Cina è di assoluto rilievo per Dušanbe, è fondamentale analizzare il tipo di relazioni che intercorre tra i due Paesi per comprendere realmente l’importanza delle rivendicazioni cinesi verso il governo tagico.
Attrarre investimenti per sfuggire all’isolamento
La Repubblica del Tagikistan è uno Stato senza accesso al mare, arroccato alle pendici del Pamir. La sua particolare collocazione geografica ne ha fatto un obiettivo della strategia cinese per rafforzare il proprio legame con il Pakistan, limitare lo spazio di manovra e mantenere alta la pressione sull’India ed al contempo cercare un avvicinamento verso l’Iran. Il governo di Dušanbe, tuttavia, vive la propria condizione di isolamento in maniera complicata: se da un lato l’asperità del territorio ha favorito la divisione in clan e l’emersione di sacche di territorio che sfuggono al controllo dello Stato centrale, con uno squilibrio tra regioni settentrionali avanzate e regioni meridionali arretrate, dall’altro lato la relativa scarsità di terre arabili e la carenza di combustibili fossili ne hanno reso debole l’economia, richiedendo per il Tagikistan la ricerca di partner stranieri disponibili ad investire per migliorare l’economia statale ed evitare la diffusione di movimenti di ispirazione religiosa.
Sebbene la Russia sia stata storicamente il garante della stabilità e della sicurezza del Tagikistan, a partire dagli anni Duemila si è profilata la possibilità per Dušanbe di collaborare in maniera sempre più stretta con un altro grande vicino: la Cina. Sebbene disponga di importanti miniere di oro e uranio, l’economia tagica non è in grado di garantire allo Stato risorse da movimentare per investimenti in ambito infrastrutturale, né consente al governo di perseguire una politica propria in ambito commerciale, richiedendo per il Tagikistan la necessità di avere un partner in grado di esportare merci a basso costo per la propria popolazione e di importare ad un prezzo ragionevole le materie prime di cui esso dispone, garantendo al contempo un adeguato flusso di investimenti.
Il tentativo di superare la condizione di isolamento geografico del Tagikistan è stato la causa principale dell’avvicinamento alla Cina, soprattutto grazie agli investimenti che questa ha offerto nell’ambito del progetto geoeconomico di connettività legato alle Vie della Seta. La collaborazione è stata facilitata, altresì, dalla comune appartenenza all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, un forum che si occupa di preservare la stabilità regionale al quale siedono Cina, Russia, India, Pakistan e quattro delle cinque repubbliche centro-asiatiche: Tagikistan, Kazakistan, Uzbekistan e Kirghizistan.
Una collaborazione non sempre win-win
L’interessamento cinese verso il Tagikistan non è stato, tuttavia, esente da criticità e rischi per la sovranità di quest’ultimo. In particolare, il valore aggiunto che gli investimenti cinesi hanno generato è stato al di sotto delle aspettative e le preoccupazioni che il Paese centro-asiatico stia diventando sempre più dipendente dall’interscambio con la Cina è evidente dallo squilibrio della bilancia commerciale verso quest’ultima, aggravato da un forte indebitamento di Dušanbe verso Pechino. Se a ciò viene aggiunta l’aspirazione neo-imperiale cinese verso i territori del Pamir tagico, è possibile comprendere quante poche possibilità abbia il Tagikistan di mantenersi soggetto geopolitico autonomo, giacché sta rischiando di venire assorbito sempre di più nell’orbita cinese.
Le aziende cinesi impiegate nello Stato hanno spesso fatto ricorso a operai provenienti dalla madrepatria, poiché i ritmi di lavoro serrati a cui esse sono abituate non sono adatti alla manodopera tagica, riducendo l’impatto positivo degli investimenti cinesi sull’economia di Dušanbe. Inoltre, il trasferimento di operai in Tagikistan ha scosso la società tradizionale del Paese, in quanto spesso gli immigrati si sposano con donne tagiche pur non essendo musulmani.
Il ridotto potenziale economico tagico ha reso il governo di Dušanbe estremamente dipendente dalle importazioni e dagli investimenti stranieri. Tuttavia, il partner tradizionale del Paese, la Russia, dispone di risorse economiche limitate, mentre i legami con l’Iran sono altalenanti e, in generale, ostacolati dal forte laicismo che guida la politica del Tagikistan e che confligge con le aspirazioni iraniane di politicizzare l’Islam nella regione centro-asiatica. Pertanto, la Cina è attualmente il principale investitore nello Stato, agevolato in ciò dall’ombrello dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, il cui impegno nel combattere i rischi legati al separatismo, all’estremismo e al terrorismo negli Stati membri ha assicurato alla Cina uno strumento in grado di tutelare i propri investimenti nella regione anche manu militari, suscitando, tuttavia, preoccupazioni circa un suo eccessivo attivismo in Asia centrale.
In questo quadro, l’esposizione tagica nei confronti della Cina sul piano debitorio si è rivelata pericolosissima per il governo di Dušanbe viste le aspirazioni cinesi verso la regione del Pamir, che intende riconquistare e dove è già riuscita a farsi cedere dei territori nel 2010: lo Stato centro-asiatico, infatti, ha ceduto 1.158 kmq. in seguito ad un accordo per la ridefinizione delle frontiere tra i due Paesi. Dall’estate del 2020, tuttavia, sono stati pubblicati in Cina una serie di articoli giornalistici che facevano esplicito riferimento alla regione del Pamir tagico come territorio da riconquistare, causando una reazione ufficiale da parte del governo tagico nei confronti di Pechino, chiedendo che tali articoli non venissero più pubblicati. Questo incidente diplomatico ha svelato definitivamente l’interessamento cinese verso un’ulteriore ridefinizione dei confini con il Tagikistan proprio per annettersi la regione in questione.
Il Tagikistan nella politica del carciofo cinese
Emerge in questo modo il tentativo cinese di scardinare l’assetto dei confini post-sovietici in Asia centrale che si era impegnata a garantire proprio con l’ingresso nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, manifestando la sua volontà di approcciare gli Stati verso i quali ha delle rivendicazioni territoriali uno per volta, in modo da ottenere più facilmente quanto desidera.
Il Tagikistan, tra gli Stati centroasiatici, si è dimostrato quello maggiormente incline a scendere a patti con la Cina per venire incontro alle richieste territoriali avanzate da quest’ultima nella regione del Pamir. Ciò, tuttavia, non significa che Dušanbe sia intenzionata a cedere ulteriori porzioni del proprio territorio, sebbene abbia bisogno di un costante flusso di investimenti da parte di Pechino per ammodernare la propria economia. La reazione vigorosa da parte tagica e, soprattutto, russa verso le aspirazioni egemoniche cinesi nella regione centro-asiatica rappresentano un segnale importante in tal senso.
Ciononostante, se Dušanbe non troverà nuovi partner commerciali in grado di ridurre la sua dipendenza economica e politica dalla Cina e dai suoi investimenti è probabile che nei prossimi anni Pechino si rifaccia avanti per rivendicare ulteriori porzioni del Pamir, mettendo sempre più con le spalle al muro il Tagikistan. La cooperazione sino-tagica non è altro che uno tassello funzionale alle aspirazioni neo-imperiali cinesi in Asia centrale.