Di fronte all’avanzata cinese, i due ex nemici della fine della Seconda guerra mondiale devono deporre formalmente l’ascia di guerra e trovare nuove convergenze. Le potenzialità sono tante, almeno sul versante economico. E gli Stati Uniti in futuro potrebbero approvare l’intesa.
Nonostante sia legata a doppio filo alla storia e all’identità europea, dal 2014 la Russia ha intensificato la povorot na Vostok (svolta verso Est). La pressione Nato sul fronte europeo e la quasi totale impossibilità di riconquista degli spazi d’influenza perduti ha portato la Federazione a concentrarsi sullo sviluppo della sua parte “asiatica”. Questa scelta si traduce non solo nel tentativo di accrescere lo sviluppo economico delle regioni della Siberia e dell’Estremo Oriente ma, anche, nella necessità vitale di acquisire una rilevanza geopolitica nel suo fronte estremo-orientale. Nella visione russa del futuro le relazioni economiche e politiche con l’Asia sono fondamentali. Da qui l’intensificazione del rapporto con la Cina, player principale nella regione, ma anche l’apertura verso altri attori come Giappone, India e Corea del Sud.
Il rapporto bilaterale tra Russia e Giappone rimane tutt’oggi ancora non completamente esplorato. Le prospettive per puntare su uno sviluppo di quest’ultimo non mancherebbero sia da una parte che dall’altra. Putin e l’ex primo ministro Abe, anche attraverso un buon rapporto personale, hanno tentato un riavvicinamento che ha portato ad una timida crescita degli scambi commerciali senza, però, riuscire a risolvere l’annosa questione delle isole Curili (Territori Settentrionali per i giapponesi) che dura ormai da oltre 70 anni. L’ostacolo non è facile da superare. Tuttavia gli imperativi geostrategici obbligano i due Paesi a tentare l’inizio di una collaborazione reciproca e a lungo termine.
Molti analisti concordano sul fatto che gli scambi bilaterali attuali tra i due Stati rappresentino il 30% del loro potenziale. Gli spazi di manovra sono amplissimi. Nonostante le scarse percentuali vi sono all’attivo numerosi progetti e collaborazioni molto interessanti. Russia e Giappone, per esempio, stanno cooperando per la digitalizzazione di diverse città russe. Il progetto pilota è partito nel 2016 a Voronezh e Vladivostok, e dal 2019 anche a San Pietroburgo. Tra le tecnologie giapponesi testate vi sono semafori smart e impianti per il trattamento delle acque reflue e per la gestione dei rifiuti. Importanti sono anche gli investimenti giapponesi nell’Estremo Oriente russo. L’obiettivo è quello di espandere la cooperazione in diverse aree: energia, logistica, medicina, pesca, infrastrutture e turismo. Grande attenzione è poi attribuita ai progetti agricoli e alla possibilità per Tokyo di approvvigionarsi di soia, grano e altri prodotti cerealicoli e vegetali dell’area.
Ma le possibilità non si fermano certo qui. L’ambasciatore giapponese a Mosca Toyohisa Kozuki ha espresso la volontà da parte del Paese del Sol Levante di partecipare attivamente allo sviluppo della rotta artica (Northern Sea Route). La NSR, come sottolineato dal diplomatico stesso, risulta essere per il 40% più efficiente delle rotte commerciali marittime tradizionali e costituisce una grande opportunità per lo sviluppo dell’economia giapponese. Emerge chiaramente una complementarietà tra i due sistemi – la Russia è ricca di risorse naturali mentre il Giappone è una potenza tecnologica ed una manifattura globale – che se approfondita permetterebbe una crescita economica reciproca nel pieno rispetto dei propri interessi nazionali.
Ma gli scambi commerciali russo-giapponesi sono vittime della geopolitica. I due Paesi si ritrovano ad affrontare uno stallo risalente alla fine della Seconda guerra mondiale che costituisce l’ostacolo principale ad ogni tentativo di riavvicinamento e maggior interazione. Guardando ai possibili ritorni economici la migliore opzione sarebbe quella di lasciarsi alle spalle le vecchie ruggini. Questa necessità emerge anche dalle ultime parole dei leader dei due Paesi. Il primo ministro giapponese Yoshihide Suga ha sottolineato la necessità di rinforzare le relazioni bilaterali con la Russia e risolvere una volta per tutte il problema dei Territori Settentrionali arrivando anche a prospettare la firma del trattato di pace permanente tra le due Nazioni.
Dall’altra parte, anche Vladimir Putin ha affermato che Mosca vorrebbe rafforzare i legami con Tokyo ma questo dovrà avvenire “nel rispetto della costituzione”. La risoluzione della disputa sulle isole Curili, oggi, è aggravata infatti anche dai nuovi emendamenti alla legge fondamentale russa, adottati dopo il risultato del referendum dello scorso anno, che proibiscono il trasferimento di territori russi ad altri Paesi. Nonostante l’aggiunta di questo nuovo ostacolo alle trattative va sottolineato il fatto che il Cremlino probabilmente non cederà mai parte delle isole Curili al Giappone perché questo verrebbe interpretato dagli altri attori internazionali come un segno di debolezza della Federazione, che andrebbe così a minare il suo ruolo globale e il suo status di grande potenza. Le difficoltà non mancano. Ma gli odierni allineamenti degli equilibri internazionali e regionali potrebbero portare ad una svolta.
Il Giappone, fedele alleato degli Stati Uniti, negli scorsi anni ha dimostrato una maggiore autonomia strategica e spazio di azione rispetto, per esempio, all’Europa. Dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 Tokyo ha introdotto alcune sanzioni, seguendo le linee guida dei suoi alleati occidentali, ma queste ultime sono state disegnate in modo da non avere un impatto decisivo sull’economia russa. Nel 2018, inoltre, il Giappone si è rifiutato di aggiungersi ai 29 Stati che dopo il tentato omicidio di Sergej Skripal hanno espulso membri dell’intelligence russa dal loro territorio. Certamente, Tokyo non sacrificherà l’alleanza con Washington per portare avanti i contatti con la Russia, ma quanto detto finora dimostra che nonostante le varie pressioni e contrapposizioni ha tentato di mantenere sempre aperta una porta nel dialogo con Mosca, a differenza dell’ostilità e delle nette chiusure da parte del fronte europeo.
A giocare un ruolo fondamentale in un futuro rapprochement è il fattore relativo all’ascesa cinese. Da una parte la Russia vede la necessità di mantenere la propria autonomia strategica. Il Cremlino è abbastanza preoccupato riguardo alla crescita militare di Pechino che potrebbe trasformare la relazione di amicizia (o meglio di reciproco interesse) sino-russa in un rapporto asimmetrico. Sarebbe paradossale se oggi Mosca si accontentasse di essere un vassallo di Pechino, quando in passato si è sempre rifiutata di svolgere un ruolo ancillare rispetto agli Stati Uniti. Da qui la necessità di aprire più fronti di dialogo nella regione per evitare la stretta tenaglia cinese.
Dall’altra parte il Giappone si vede costretto ad abbandonare il pacifismo imbracciato dal 1945 in poi. Anche qui l’ascesa del Dragone fa paura. Il timore è quello che il sentimento anti-giapponese diventi il collante dell’asse sino-russo e che questo porti a delle azioni congiunte nella regione o nel Mar del Giappone. Dal punto di vista di Tokyo il riavvicinamento con Mosca è logico ed è quasi una necessità, perché permetterebbe di diminuire gli sforzi dal punto di vista della sicurezza sul fronte nord per concentrarsi su altri più caldi.
Vi è la possibilità per Mosca e Tokyo non solo di interagire, ma anche di collaborare nel mantenimento dell’ordine regionale e globale. Questo permetterebbe loro di avere una maggiore influenza nell’area Asia-Pacifico e di cooperare nella risoluzione di alcuni problemi regionali, come la stabilizzazione della penisola coreana. Il tutto però, come sostiene Edward Luttwak nel suo “The rise of China vs the logic of strategy”, deve passare dal riconoscimento da parte del Sol Levante dei suoi imperativi strategici. Ciò significa che il Giappone deve riconoscere la minaccia vitale proveniente dall’ascesa cinese e deve mettere da parte la questione dei Territori Settentrionali, rinunciando ad inutili rimpianti per migliorare i rapporti con la Russia. Anche dal punto di vista degli Stati Uniti, un riavvicinamento tra i due permetterebbe di indebolire la posizione della Cina nell’Asia orientale. Una valutazione che, tuttavia, non sembra essere all’ordine del giorno per Washington.