Neutrale ma non passiva: la Svezia intende onorare la sua tradizione di non belligeranza senza ignorare le possibili minacce esterne. Per questo sta incrementando le sue difese e ha votato, a dicembre, in favore di una possibile futura adesione alla NATO. Le implicazioni sul fronte del Baltico e sul rapporto con Mosca.
C’è chi celebra la neutralità come un pregio, chi la condanna come un difetto. C’è chi la loda come strategia, chi la considera una mancata presa di posizione. C’è anche chi, però, della neutralità ne ha fatto una costante per più di duecento anni, vestendo i panni di un narratore esterno alla storia, pur avendo contribuito a scriverne il copione. Si tratta della Svezia, il più importante Paese scandinavo, terzo membro UE per superficie e Stato nordico con più abitanti.
Durante la quasi totalità del XX secolo, Stoccolma ha sposato completamente quella che in dottrina si chiama “la politica dello splendido isolamento”, un atteggiamento già assunto dall’Inghilterra di fine Ottocento e diventato ben presto sinonimo di stabilità economica e sviluppo interno. Rimasta estranea alla Grande Guerra, la Svezia ha inizialmente cercato di mantenere lo status quo appoggiandosi alla diplomazia e al diritto internazionale, per poi spostarsi su posizioni maggiormente difensive allo scoppio del secondo conflitto mondiale, quando la politica neutrale svedese iniziò lentamente a vacillare. In tale occasione il Paese, circondato da nemici, decise di passare da Stato neutrale a non-belligerante, riuscendo a bilanciare il lasciapassare delle truppe tedesche verso la Finlandia da una parte e l’appoggio alla resistenza danese e norvegese dall’altra, senza schierarsi apertamente.
Nel Dopoguerra, partendo da una posizione vantaggiosa rispetto alle altre potenze stremate dall’impatto del conflitto, la Svezia è tornata a dir la propria nelle dinamiche internazionali. Nonostante l’apertura alle Nazioni Unite nel 1946 e qualche segno di cooperazione con la NATO, Stoccolma è ben presto ritornata sui propri passi, riprendendo (anche durante la Guerra Fredda) la sua linea tradizionale: libertà da alleanze in tempo di pace e neutralità in caso di guerra. Il fatto che la Svezia camminasse con le proprie gambe era chiaro anche al momento dell’entrata nell’UE nel 1995, quando scelse di mantenere, seppur “temporaneamente”, la propria sovranità monetaria.
Se è vero che in medio stat virtus, ma anche che amicus omnibus, amicus nemini, allora trovare una posizione che accontenti tutti è impresa assai ardua, visto che i dissapori sono sempre alle porte. È proprio questo il caso del rapporto russo-svedese, una relazione resa sempre più difficile da tutta una serie di fattori, i quali hanno contribuito a inasprire gli animi e a far risorgere dalle ceneri un “complesso di accerchiamento” in entrambi gli Stati, memori dell’esperienza della Seconda guerra mondiale.
I conflitti tra Russia e Georgia prima (2008), e con l’Ucraina poi (2014), hanno giocato sicuramente un ruolo fondamentale nel risvegliare una voglia di difesa a Stoccolma. La Svezia sente ora più che mai un forte bisogno di sicurezza, avendo a che fare con uno Stato che, a suo parere, si comporta in modo piuttosto aggressivo, rivendicando costantemente il bisogno di affermare sé stesso sullo scacchiere internazionale.
Da qui, allora, la decisione di incrementare le spese militari per la difesa, le quali saranno “il più grande investimento dagli anni Cinquanta” per il settore, in modo da poter sopportare una possibile crisi militare fino all’arrivo degli aiuti internazionali. Il nuovo progetto di legge svedese sulla difesa 2021-2025 prevede un budget tra 2,88 e 8,75 miliardi di euro per la creazione di una nuova organizzazione militare, il potenziamento delle brigate, l’aumento dei sottomarini e dell’aeronautica, ma non solo. In previsione c’è anche il reclutamento di 90.000 uomini (e donne!) entro il 2030, che renderebbe la Svezia il secondo Paese, dopo la Norvegia, a consentire il servizio militare obbligatorio per le persone di entrambi i sessi. Un passo in avanti per la parità di genere, ma forse due indietro per la tradizione di neutralità.
La Russia teme questa nuova (e inaspettata) presa di posizione. La grande minaccia alla supremazia di Mosca proviene, però, non solo da Stoccolma come attore unico e formalmente non schierato, ma soprattutto dalla NATO. Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri di Mosca, si è espresso a riguardo lo scorso 12 febbraio, accusando fortemente i Paesi Baltici e altri sette Stati di aver intrapreso una strada “russofobica” già a partire dal 2004, quando l’Europa ha consentito loro di guardare a Ovest, piuttosto che a Est come da tradizione sovietica. Alla Russia era stato comunicato che la transizione di tali Paesi verso l’Europa, e in particolare verso la NATO, fosse necessaria per placare le fobie del passato nei riguardi dell’URSS. Invece, sostiene Lavrov, “è successo proprio tutto il contrario”: le frizioni sono cresciute e il nemico è sempre più vicino, fomentando in Mosca la paura di accerchiamento. Tallinn, Riga e Vilnius, insieme a Varsavia e Oslo, infatti, si sono schierate apertamente sotto l’ombrello militare della NATO, mentre l’exclave di Kaliningrad e (forse) Minsk resistono e fungono da roccaforte russa in un Nord sempre più “atlantico”.
Finlandia e Svezia riescono ancora, nonostante tutto, a reggere la partita anche se la propensione verso Washington è forte (e si vede). L’idea di una possibile adesione di Stoccolma all’Alleanza Atlantica ha diviso il suo parlamento, trovando a fine dicembre ben 204 parlamentari favorevoli rispetto ai 145 contrari. Mosca dal canto suo si è fatta sentire, sottolineando tramite la portavoce degli Esteri Maria Zakharova che, al momento, l’Europa del Nord non è interessata da conflitti. E che dunque non ci sarebbe bisogno di schierarsi a tutti gli effetti con la NATO, pianificando soluzioni militari a problemi che non esistono. Il desiderio di stabilità per il fronte Nord è concreto per la Russia, e la Zakharova ha anche rimarcato più volte come questa sia pronta a dialogare sui temi della sicurezza (e non solo) con tutti i partner nordeuropei, Svezia inclusa.
Stoccolma sarebbe pronta a dire sì a Washington, ma spingersi da un lato significherebbe tirare dall’altro. Provocando tensioni indesiderate, visto che un vero confronto tra Russia e Svezia non rientrerebbe nei piani di nessuno dei due schieramenti. A tal proposito si è espresso anche Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, il quale ha riferito recentemente al giornale spagnolo El Mundo che “la Russia è una nostra vicina. Anche loro, come noi, hanno degli interessi e dobbiamo assolutamente evitare incidenti, soprattutto ai confini”, aggiungendo però anche che “dobbiamo mandare dei chiari segnali alla Russia. Se vogliono lo scontro, noi siamo pronti. Se vogliono la cooperazione, noi ne saremmo lieti”.
Ancora una volta Stoccolma cerca di agire per tutelare i propri interessi, senza volersi schierare ufficialmente. La formale neutralità svedese verrà mantenuta sicuramente nel breve periodo e molto probabilmente anche in un futuro più lontano, senza mai assumere i connotati di immobilità o passività. Se la politica estera è una partita a scacchi, allora la Svezia sta cercando di prendere tempo per pensare alla strategia migliore, magari non disponendo della maggioranza delle pedine, ma, sicuramente, cercando di attuare per il momento la mossa più furba, quella della neutralità e della cooperazione.