Mentre si parla spesso di Russia in Libia e in Siria, si sente poche volte menzionare la Federazione in Yemen. Eppure, Mosca ha molti interessi nel Paese per via della sua posizione strategica a cavallo fra Mar Rosso e il Golfo di Aden. Possedere una base navale militare presso tali coste permetterebbe di controllare meglio il traffico di merci che passa dallo Stretto di Bab al-Mandab e fungerebbe da avamposto logistico per la marina operante nella zona. Non a caso, sia Stati Uniti che Cina e Francia ne possiedono una in Gibuti, anch’esso a cavallo fra Mar Rosso e Golfo di Aden. La Russia, nelle vesti di Unione Sovietica, possedeva due basi navali militari nello Yemen Occidentale e godeva di buoni rapporti diplomatici anche con lo Yemen Orientale (i due Paesi vengono unificati nel 1990).
Con il crollo dell’URSS, tuttavia, la Federazione vi ha perso l’accesso ed inevitabilmente la sua capacità di influenzare l’area è diminuita. Nel 2009 Mosca ha cercato di rimediare a questa mancanza geopolitica esprimendo il desiderio di costruire una base navale militare proprio nello Yemen. Tuttavia, la Primavera Araba del 2011 ha portato al rovesciamento del presidente Ali Abdullah Saleh, e con lui le prospettive di aprire la base navale nel Paese del Golfo. La situazione è poi peggiorata ulteriormente nel 2014, quando i ribelli Huthi hanno conquistato la capitale Sana’a, e si è conseguentemente scatenata una guerra civile che dura tuttora. La Russia dal 2014 deve quindi operare in uno Yemen estremamente volatile e violento.
La strategia adottata dalla Russia dopo lo scoppio della guerra civile è stata in qualche modo ambigua. Probabilmente consapevole del fatto che aprire una base navale sarebbe stato quasi impossibile finché durava la guerra, Mosca ha cercato di trovare un accordo per aprirne una in altri Stati affacciati sul Mar Rosso. Dopo diversi tentativi e riflessioni, nel novembre 2020 la Federazione ha finalmente raggiunto un accordo per aprire una base navale militare in Sudan, più precisamente nella città di Port Sudan. Dello Yemen quindi Mosca sembra, almeno apparentemente, essersene dimenticata o comunque di tenerne poco conto.
La Russia, infatti, non si è mai schierata apertamente con nessuna delle due fazioni in campo: da una parte i ribelli Huthi sciiti presumibilmente appoggiati dall’Iran, dall’altra il governo centrale yemenita appoggiato da una coalizione a guida saudita (e indirettamente dagli Stati Uniti che hanno fornito armi al Riad). Mosca ha preferito mantenere buoni rapporti con tutti gli stakeholder in campo, fatta eccezione per i gruppi jihadisti. Il Cremlino riconosce il governo ufficiale yemenita, anche se non vede di buon occhio la sua dipendenza dall’Arabia Saudita. Mosca e Riad, infatti, per lungo tempo si sono affrontate in una “guerra del petrolio” che ha visto entrambi gli Stati cercare di mettere in ginocchio l’altro tramite una massiccia produzione di greggio che ne ha inevitabilmente abbassato drasticamente il prezzo. Allo stesso tempo, la Russia riesce ad avere buone relazioni anche con gli Huthi e con l’Iran. Non è un caso che Mosca nel 2015 si sia astenuta dal votare la Risoluzione S/RES/2216 del Consiglio di Sicurezza ONU, che prevedeva il ritiro delle forze ribelli da tutte le aree recentemente conquistate e riaffermava la legittimità del governo centrale yemenita.
Il Cremlino in sostanza, forte dei suoi buoni rapporti con quasi tutti gli attori in causa, cerca di porsi come intermediario inclusivo e spinge per una soluzione politica. E qualora riuscisse effettivamente a farne accettare una che metta fine alla guerra prima che uno dei due contendenti vinca militarmente sull’altra, si porrebbe come attore capace di mediare fra le parti anche nella ricostruzione postbellica del Paese. Una strategia a basso costo sia economico che umano, che però può dare ottimi frutti qualora Huthi-Iran e Governo Centrale-Arabia Saudita optino per un accordo politico con mediazione russa. La Federazione non si può, dunque, considerare disinteressata allo Yemen. Semplicemente ha adottato una strategia cauta che non richiede né l’utilizzo di eccessive risorse né il doversi schierare troppo apertamente con una delle due fazioni. D’altro canto, una vittoria militare schiacciante del governo centrale o degli Huthi non gioverebbe particolarmente a Mosca poiché non potrebbe rivendicare un ruolo chiave di sostegno a nessuno dei due schieramenti.
Considerando gli ultimi sviluppi di fine 2020 e inizio 2021, possiamo dire che la strategia russa porterà i frutti sperati? Innanzitutto, analizziamo alcune di queste evoluzioni. Gli Huthi, pur con mezzi e spesa militare molto inferiore a quella di Riad, continuano ad essere un problema molto serio per quest’ultima. Riescono infatti a lanciare razzi direttamente sul suolo saudita (anche se spesso vengono intercettati) e ad avanzare sul territorio yemenita conquistando nuove aree precedentemente in mano al governo centrale. I ribelli, in questo momento, sono molto vicini alla città yemenita di Marib e potrebbero effettivamente riuscire a catturarla entro aprile. Precedentemente essi erano stati più bravi e tenaci nella fase difensiva piuttosto che in quella offensiva, ma è almeno dal 2019 che sono migliorati anche in quest’ultima grazie ad una efficace rotazione delle forze d’élite e ad un uso maggiore di droni e missili di precisione. L’Arabia Saudita e il governo centrale yemenita non stanno riuscendo dunque a sconfiggere i ribelli Huthi.
L’altro sviluppo da considerare è il mutato contesto internazionale, con Biden pressato a interrompere la fornitura di armi all’Arabia Saudita e in generale una sempre maggiore critica nei confronti del Regno del Golfo per la sua condotta nella guerra in Yemen. Il presidente americano ha già bloccato una parte delle vendite di materiale bellico, e probabilmente sarà spinto a fermare ulteriori export previsti. Benché di peso internazionale molto minore, anche l’Italia ha recentemente revocato la vendita di armi all’Arabia Saudita. A parte la questione delle esportazioni belliche, è evidente che il governo Biden verrà spinto a dare sempre meno appoggio a Riad per via delle sue continue violazione di diritti umani sia in Yemen sia nel regno stesso. All’Arabia Saudita potrebbe, a questo punto, convenire trovare un accordo con gli Huthi per chiudere una guerra che si trascina da troppo tempo e non sembra volgere a proprio favore né sul campo di battaglia né a livello internazionale. E se davvero Riad venisse spinta a cercare un accordo politico, ecco che Mosca avrebbe gioco a porsi come intermediario fra le parti ed avere anche un ruolo importante nella ricostruzione postbellica. Il fatto di avere buoni rapporti con tutte le parti in causa giocherebbe fortemente a suo vantaggio in questo caso.
In conclusione, la strategia russa in Yemen non può dirsi disinteressata, ma solamente cauta e molto bilanciata. Gli ultimi sviluppi sia a livello locale che internazionale spingono per un compromesso ed una soluzione politica fra i due schieramenti in guerra, presentando dunque un’occasione importante per Mosca di inserirsi come intermediario fra le parti. Chiaramente questo dipenderà tutto da come continuerà ad evolversi la situazione, e anche da quanto sarà disposto Biden a concedere alla Russia un ruolo di rilievo in un eventuale accordo di pace. Se tutto andasse come nei desideri del Cremlino, Mosca potrebbe anche riuscire a farsi concedere la possibilità di costruire una base navale militare sull’isola yemenita di Socotra, nell’Oceano Indiano. In ogni caso, solo il tempo ci dirà se la strategia russa avrà funzionato o meno.