In molti conoscono il ruolo degli USA nel favorire la vittoria della DC alle elezioni del 1948. Assai meno noti sono i tentativi d’interferenza di Mosca in supporto del PCI, che fu clamorosamente sconfitto.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il destino dell’Italia era piuttosto incerto. Il Paese, completamente devastato dal lungo conflitto, era diviso in due. Eppure, almeno inizialmente, l’interesse degli Alleati per la sua sorte non sembrava essere elevato. Per quanto riguarda Washington e Londra, essi cominciarono a preoccuparsi del futuro della penisola soltanto allo scoppio della guerra civile in Grecia. Se i comunisti avessero preso il controllo del governo di Atene, proprio l’Italia sarebbe divenuta il centro di qualunque strategia occidentale rivolta al Mediterraneo. Mosca, dal canto suo, non riteneva di dover giocare un ruolo importante nel Bel Paese, considerando anche il fatto che l’Armata Rossa non era presente sul territorio italiano. Stalin sembrava essere maggiormente interessato alle colonie che erano state sotto la dominazione di Roma, ma britannici e statunitensi si opposero con successo al desiderio del leader sovietico.
Tuttavia, con il passare del tempo divenne chiaro che nello Stivale il terreno poteva essere fertile per instaurare un governo che potesse quantomeno essere socialista. Ciò era reso piuttosto evidente dall’importanza assunta, all’interno del movimento partigiano, dalle formazioni di sinistra legate al Partito Comunista. Molti di coloro che avevano preso le armi per combattere contro le forze nazifasciste, del resto, sembravano essere pronti ad andare fino in fondo, spingendosi al punto di allontanare il Re e di prendere il potere con la forza. Il Cremlino intravide l’occasione di indebolire l’influenza britannica nel Mediterraneo proprio grazie alla possibilità offerta dal solido Partito Comunista Italiano. Eppure, la presenza delle forze armate anglo-americane nella penisola, ed in particolare a Trieste, rendeva necessaria l’applicazione di una strategia differente rispetto all’uso della forza. A Mosca erano ben consapevoli di questo, dato che già nel 1944 erano state fatte pressioni su Palmiro Togliatti perché assumesse una postura collaborativa nei confronti del governo “borghese” guidato da Badoglio. La famosa “svolta di Salerno” nacque anche dalla necessità di non dividere le forze politiche italiane, in modo da non indebolire eccessivamente il Bel Paese a tutto vantaggio degli interessi britannici. I partigiani delle Brigate Garibaldi avrebbero dovuto nascondere le armi una volta finita la guerra e prepararsi ad usarle soltanto in caso di estrema necessità.
Nonostante le numerose vendette perpetrate dai membri della resistenza nei mesi immediatamente successivi alla fine del conflitto mondiale, Togliatti giocò un ruolo fondamentale nell’impedire che l’Italia cadesse preda di una terribile guerra civile. I suoi rapporti con Mosca gli consentivano di godere di un certo prestigio all’interno del Partito. Prestigio che gli permetteva una buona libertà di manovra, tanto che nel biennio 1945-47, lo stesso PCI partecipò a diversi governi di coalizione con la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi in quella che fu definita una “coabitazione forzata”.
L’inizio dello scontro bipolare tra Stati Uniti ed URSS, però, ebbe delle ripercussioni notevoli sulla politica italiana. Il crescente interesse di Washington per Roma determinò un graduale allontanamento tra De Gasperi e Togliatti. Il primo era infatti un fervente anticomunista ed era assolutamente determinato a rafforzare i legami dell’Italia con gli USA. Per farlo, il leader della DC riteneva che fosse necessario emarginare gradualmente i comunisti ed i socialisti all’interno della coalizione di governo, fino ad escluderli completamente. Dal canto suo, Togliatti era sempre più frustrato per la situazione, soprattutto perché non apprezzava la crescente influenza di Washington nelle scelte del governo di Roma. Ad ogni modo, De Gasperi aveva assoluto bisogno della presenza di PCI e PSI nella coalizione di governo per fare accettare ad una quota di popolazione quanto più larga possibile il duro Trattato di Pace imposto allo Stivale ed il rinnovamento dei Patti Lateranensi. Una volta raggiunti questi obiettivi, il 13 maggio 1947 De Gasperi diede le dimissioni dal governo per poterne formare uno nuovo, senza l’appoggio di PCI e PSI. Nello stesso 1947 si tenne la prima riunione del Cominform ed i rappresentati italiani del Partito Comunista furono aspramente criticati da alcuni rappresentanti, guidati dalla delegazione jugoslava, per aver perseguito un sogno parlamentare irrealizzabile ed aver evitato di mobilitare le masse proletarie al momento dell’esclusione dalla compagine di governo. Essi furono inoltre rimproverati perché si riteneva che l’Italia stesse assumendo una posizione neutrale nel crescente antagonismo tra Mosca e Washington.
Tali veementi critiche rafforzarono l’ala più intransigente del PCI, tanto che Pietro Secchia esortò gli iscritti al partito a prendere possesso delle piazze. Anche Togliatti sostenne la mobilitazione dei simpatizzanti, esprimendo la necessità di manifestare e scioperare per difendere la democrazia e le istituzioni repubblicane. Con ogni probabilità egli era intenzionato a recuperare l’appoggio dei partiti comunisti stranieri. Stalin, per contro, fece sentire la propria voce sottolineando ancora una volta l’urgenza di evitare insurrezioni che avrebbero potuto determinare un intervento militare statunitense. Infatti, in conseguenza dei proclami della dirigenza del PCI, si erano registrati disordini in numerose città italiane. Il malcontento popolare per l’andamento dell’economia del paese era piuttosto diffuso e i comunisti avevano ottimi motivi per ritenere che alle elezioni parlamentari del 1948 avrebbero potuto ottenere un grande risultato. Forse avrebbero potuto persino governare in coalizione con il PSI. Era però necessario che l’opinione pubblica reputasse il Partito Comunista come una forza responsabile ed indipendente. I messaggi che arrivavano da Mosca contrastavano con quelli del Cominform e sembrava piuttosto complesso trovare un compromesso tra gli interessi elettorali del PCI e la mobilitazione delle masse richiesta dal consesso internazionale. Alla fine, il Cremlino decise di lasciare che fossero i comunisti italiani a gestire la situazione, fornendo però il supporto necessario. Durante un incontro con Stalin, ad esempio, Pietro Secchia chiese un aiuto quantificabile in 600.000 dollari per poter finanziare la campagna elettorale ed il Segretario Generale del PCUS non oppose alcuna obiezione.
Il PCI si presentò dunque alle elezioni del 1948 in coalizione con il PSI andando a formare quello che divenne noto come Fronte Popolare Democratico. Nonostante alcuni problemi interni all’alleanza, dovuti in particolare all’uscita di Saragat ed altri dissidenti dal Partito Socialista ed agli eventi occorsi a Praga, sembrava che ci fossero ancora buoni motivi per essere ottimisti rispetto ad una vittoria. I partiti della sinistra erano infatti tradizionalmente popolari tra gli operai del Nord, ma faticavano ad ottenere consensi tra i braccianti meridionali. La strage di Portella della Ginestra aveva però modificato questa tendenza, aumentando i consensi del Fronte anche in Mezzogiorno.
Persino a Washington si riteneva che il PCI avrebbe potuto vincere le elezioni e, visto il rinnovato interesse dell’amministrazione statunitense per le vicende italiane, gli USA misero in campo tutto quanto avevano a disposizione (finanziamenti, “soft power”, Piano Marshall) per cercare di favorire De Gasperi e la DC. Togliatti assistette preoccupato a tali sviluppi ed arrivò infine a richiedere l’aiuto di Stalin. Nonostante i sovietici avessero espresso alcune perplessità rispetto alla scala degli interventi proposti dal leader del PCI, in quanto volevano assolutamente evitare un coinvolgimento troppo evidente nella politica italiana, alla fine il Cremlino cedette.
Nel 1948 il governo di Mosca si adoperò per concludere alcuni accordi commerciali con Roma, ritirando inoltre le proprie richieste in merito alle riparazioni di guerra. Entrambe le cose furono molto apprezzate dalla stampa della Penisola. La mossa che fece più scalpore, però, fu l’appoggio dell’URSS alle rivendicazioni italiane rispetto alle proprie ex-colonie. Mentre USA e Regno Unito si opponevano a tali concessioni, Mosca si decise a sostenerle, anche per limitare ulteriormente l’influenza britannica nel Mediterraneo. Nonostante tali iniziative, il Cremlino, al contrario delle potenze occidentali, non sostenne le rivendicazioni italiane su Trieste, togliendo slancio al proprio intento. Inoltre, il PCI fu costretto a conformarsi alla linea di Mosca anche rispetto al Piano Marshall, malgrado molti iscritti (e molti dirigenti) pensassero che fosse necessario per la ripresa economica dell’Italia.
La forte interferenza statunitense, le controverse posizioni del Cremlino su Trieste e sullo European Recovery Program e le scissioni all’interno del Fronte Popolare Democratico che divisero il voto di sinistra furono tutti fattori che contribuirono alla clamorosa sconfitta del PCI alle elezioni del 1948. La coalizione raggiunse soltanto il 31% delle preferenze e fu condannata dal voto popolare a rimanere all’opposizione. Sebbene l’operato di Washington nel favorire la DC alle prime consultazioni repubblicane sia piuttosto noto, meno conosciuta è la storia dei rapporti tra il PCI di Togliatti e l’URSS, che pure furono decisivi per comprendere appieno le posizioni dei comunisti italiani, le loro strategie ed anche la loro sconfitta.