A partire dalla caduta dell’Unione Sovietica il Pakistan ha cercato di estendere la propria sfera d’influenza verso l’Asia centrale per assicurarsi la profondità strategica di cui la geografia lo ha privato. Facendo leva sui movimenti di ispirazione religiosa sorti dalle ceneri del comunismo, l’ex colonia britannica ha tentato di incunearsi negli Stati centro-asiatici, suscitando reazioni contrastanti.
Fin dalla sua nascita, il Pakistan si è trovato in una situazione di stress geopolitico, stretto tra due nazioni ad esso ostili, l’India e l’Afghanistan. Ciononostante, a partire dagli anni Novanta si è fatta viva l’idea di dare nuova linfa a quell’insieme di legami storici, commerciali e culturali che per secoli hanno fatto del Pakistan, insieme all’Iran e alla Turchia, la porta d’ingresso verso l’Asia centrale.
Sebbene condivida tali legami con gli Stati centro-asiatici, gli ostacoli posti dall’instabilità dell’Afghanistan, dall’ostilità di questo e dell’India, e dalla diffidenza latente dei governi post sovietici che si sono insediati nelle cinque neonate repubbliche, hanno in larga parte frustrato le aspirazioni egemoniche pakistane su quello che riteneva essere il proprio cortile di casa.
Sfuggire all’accerchiamento per sopravvivere
Collocato a cavallo del fiume Indo, il Pakistan fin dalla propria indipendenza si è trovato a dover fare i conti con un vicino troppo grande e potente, l’India, per pensare che le sole risorse di cui disponeva potessero garantirgli di tenergli testa. Dal confine a nord-ovest, inoltre, l’Afghanistan ha messo in seria difficoltà la stabilità dell’architettura statale pakistana avanzando pretese verso i territori popolati dall’etnia pashtun, che hanno fatto temere ad Islamabad di vivere un’ulteriore secessione dopo quella del Bangladesh.
Inserito in tale quadro complicato, con l’indipendenza delle cinque repubbliche centro-asiatiche si è profilata all’orizzonte la possibilità per il Pakistan di evadere dalla trappola geopolitica in cui era impantanato da decenni. Le affinità storiche, culturali e religiose che accomunano Islamabad agli Stati ex sovietici dell’Asia centrale sono innumerevoli e affondano le proprie radici nei secoli passati, in cui dal Pakistan passavano i traffici tra i khanati centro-asiatici e il subcontinente indiano.
Gli anni Novanta sono stati molto importanti per cercare di ristabilire siffatte relazioni. Una possibilità emersa grazie al vuoto di potere lasciato nella regione dalla Russia e non ancora colmato dalla Cina, mentre tra le medie potenze regionali la Turchia scontava le difficoltà logistiche dovute alla distanza che la separava fisicamente dagli –stan e l’Iran degli ayatollah non riusciva a penetrare nella regione con la stessa facilità con la quale uno Stato sunnita come il Pakistan avrebbe potuto.
I cardini della cooperazione regionale
Agevolati dalle ingenti quantità di risorse energetiche di cui dispongono, tutti gli Stati centro-asiatici hanno siglato a partire dall’indipendenza diversi trattati commerciali e di partenariato con il Pakistan, tra cui, a partire dal 1992, una serie di accordi in ambito energetico con il Tagikistan, un accordo di credito per la cifra di 10 milioni di dollari a favore del Kirghizistan nel 1993 e un memorandum per la costruzione di oleodotti e gasdotti tra Turkmenistan, Afghanistan e Pakistan nel 1995.
Nel 1992, inoltre, le cinque repubbliche dell’Asia centrale insieme all’Azerbaigian e all’Afghanistan hanno deciso di aderire all’Organizzazione per la Cooperazione Economica, fondata nel 1964 da Pakistan, Turchia e Iran, dando vita ad un blocco regionale di dimensioni significative. L’obiettivo di lungo periodo di questa struttura era quello di creare un’area di cooperazione economica, commerciale e logistico-energetica, sebbene nei fatti la sua attività sia stata rallentata dalle differenti visioni turche, iraniane e pakistane sulla regione, lasciando spazio ad un rientro della Russia in Asia centrale e alla penetrazione commerciale cinese a partire dagli anni Duemila.
La longa manus dei movimenti islamici
L’elemento fondamentale nelle relazioni tra Asia centrale post sovietica e Pakistan è rappresentato dalla fede musulmana sunnita che li accomuna e che è stata impiegata in modo proattivo da parte di Islamabad quando si è orientata strategicamente verso la regione centro-asiatica. Tale politica ha suscitato, tuttavia, delle reazioni di chiusura da parte dei regimi laici instauratisi nei cinque Stati neocostituiti.
Dimostratosi di fondamentale importanza nel rinsaldare la società pakistana nei primi anni che hanno caratterizzato l’indipendenza del Paese, l’Islam è stato, invece, fortemente depotenziato da decenni di regime comunista nelle cinque repubbliche centro-asiatiche. Queste hanno ereditato dall’Unione Sovietica uno spiccato senso di laicità nell’esercizio del potere, rifuggendo, salvo rare eccezioni, qualunque compromesso con movimenti di ispirazione religiosa.
Cionondimeno, il modo con il quale l’Asia centrale è stata approcciata da parte del Pakistan è strettamente legato all’ambiguità di quest’ultimo verso l’attività dei movimenti fondamentalisti islamici che, a partire dagli anni Novanta, dall’Afghanistan si sono gradualmente diffusi nella regione, complici anche la guerra civile tagica e la debolezza del regime kirghiso di Akaev. Uzbekistan, Turkmenistan e Kazakistan, dal canto proprio, disponendo di regimi maggiormente accentrati e strutturati, sono riusciti a reggere meglio di fronte al rischio posto dal terrorismo di matrice religiosa, seppur non siano mancate frizioni e accuse reciproche, soprattutto tra Uzbekistan e Kirghizistan [1], in merito alla repressione che Tashkent desiderava che Bishkek attuasse nei confronti delle cellule terroristiche operanti su scala transnazionale nella valle del Fergana ma con base in suolo kirghiso.
Il ridimensionamento della strategia pakistana
L’interesse principale che ha guidato l’approccio pakistano all’Asia centrale è stato quello di assicurarsi un corridoio verso nord-ovest attraverso l’Afghanistan, fulcro dell’instabilità regionale, tramite il sostegno di Islamabad al movimento dei talebani, nella speranza di indebolire i propri vicini e trarne vantaggi [2]. Tale mossa si è rivelata esiziale per la strategia pakistana, minata all’interno dall’irredentismo dei talebani nei confronti dei territori popolati dall’etnia pashtun e all’esterno dai governi centro-asiatici che incolpavano il Pakistan di ospitare sul proprio territorio esponenti dei movimenti fondamentalisti che erano penetrati in Asia centrale con lo scopo di destabilizzarla.
Le accuse di sostegno ai terroristi mosse dagli Stati centro-asiatici hanno condotto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila alla riduzione delle relazioni diplomatiche e commerciali con il Pakistan, complice anche l’instabilità che quest’ultimo viveva proprio a causa delle azioni di alcuni gruppi terroristici compiute a danno del suo stesso territorio [3]. L’ingresso di attori globali quali gli Stati Uniti, la Russia e la Cina nella regione nello stesso periodo, d’altro canto, non ha fatto altro che ridurre ulteriormente le possibilità per Islamabad di tornare a esercitare un peso significativo nello scenario geopolitico dell’Asia centrale. L’impegno profuso da Islamabad, dimostrato dalla firma di una serie di memoranda sulle attività di contrasto al terrorismo e dall’ingresso nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che poggia le proprie basi sulla lotta al radicalismo religioso, ha consentito agli scambi commerciali tra il Pakistan e gli Stati dell’Asia centrale di aumentare. Essi sono agevolati in ciò dal canale commerciale privilegiato che sussiste tra la Cina e Islamabad e che consente potenzialmente di aggirare l’Afghanistan per spostarsi dai porti di Gwadar e Karachi verso la regione centro-asiatica. In particolare, la seconda decade degli anni Duemila ha segnato una decisa ripresa dell’interscambio tra il Pakistan e gli Stati centro-asiatici, con l’Uzbekistan di Mirziyoyev in testa.
Se è vero che il progetto egemonico pakistano degli anni Novanta si è infranto contro gli anticorpi del laicismo di cui dispongono le classi dirigenti di Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan, è altrettanto vero che la geografia rende i porti del Paese una delle vie più veloci per permettere alle materie prime e alle merci centro-asiatiche di raggiungere i mercati globali.
Il richiamo della geopolitica è irresistibile.
[1] Leila Kazemi, “Domestic Sources of Uzbekistan’s Foreign Policy, 1991 to the Present”,Journal of International Affairs, Vol. 56, No. 2, 2003, pp. 205-216.
[2] Ijaz Ahmad Khan, “Understanding Pakistan’s Pro-Taliban Afghan Policy”, Pakistan Institute of International Affairs, Vol. 60, No. 2, 2007, pp. 141-157.
[3] Didier Chaudet, “Islamist Terrorism in Greater Central Asia: The ‘Al-Qaedaization’ of Uzbek Jihadism”, Russie.Nei.Visions, No. 35, 2008.