L’8 dicembre 2020 il sito governativo russo ha reso noto che il 16 novembre 2020 la Russia ha firmato un accordo bilaterale con il Sudan per la costruzione di una base navale presso Port Sudan, sul Mar Rosso. L’accordo, della durata di 25 anni, prevede che l’infrastruttura logistica abbia un carattere “difensivo, non diretto contro altri paesi” e che punti a “mantenere la pace e la stabilità nella regione”. È inoltre stipulato che la Russia possa avere fino a 4 navi da guerra, anche con propulsori nucleari, stazionate contemporaneamente nella base navale. La struttura dovrebbe poter accomodare fino ad un massimo di 300 militari russi alla volta, e servire principalmente come punto logistico per riparare le navi e ruotare il personale. Oltre a questo, viene anche rilasciato alla Russia il diritto di trasportare attraverso gli aeroporti e porti del Sudan armi, munizioni e attrezzature necessarie al funzionamento della base navale. Quest’ultima, assieme a quella siriana di Tartus, sarà l’unica del suo genere per la Russia fuori dallo spazio post-sovietico. Si tratta dunque di un accordo molto importante per Mosca, che ne rafforza la presenza marittima sia nel Mar Rosso sia, potenzialmente, nel vicino Oceano Indiano.
Ma come mai la Russia ha voluto creare proprio in Sudan una base navale? Innanzitutto, il Mar Rosso è molto importante per il transito di merci che passano dal Canale di Suez in Egitto e da lì raggiungono l’Africa Orientale e l’Oceano Indiano tramite il Golfo di Aden. La rotta alternativa, che fa tutto il giro dell’Africa passando da Capo di Buona Speranza in Sud Africa, impiega molto più tempo per essere percorsa. Avere quindi una base navale nel Mar Rosso è estremamente importante da un punto di vista logistico, per poter fare manutenzione alle navi, ricambio di personale ed eventualmente proteggere le proprie navi commerciali. Non a caso, sia la Cina sia gli Stati Uniti hanno una base navale militare nel Mar Rosso, precisamente nel piccolo Stato di Gibuti. Da queste basi è quindi possibile assicurarsi che il commercio attraverso lo stretto Golfo di Aden non venga bloccato e prevenire l’azione di potenziali pirati somali contro le proprie imbarcazioni. Possedere un appoggio logistico nel Mar Rosso è dunque molto importante, ma la scelta proprio del Sudan non era scontata. Vediamo dunque i vari passi che hanno portato a questo accordo.
La Russia era già da molti anni alla ricerca di un accordo con un Paese affacciato sul Mar Rosso per poter aprire una base navale militare. Nel 2008, per esempio, il Presidente del Consiglio della Federazione russa, Sergei Minorov, aveva visitato lo Yemen e supportato l’idea di costruire una base navale sulla costa del Mar Rosso del Paese. Le turbolenze seguite alla rimozione del presidente yemenita Ali Abdullah Saleh nel 2012, tuttavia, non hanno permesso alla Russia di proseguire con questo piano. Nel 2014 Mosca ha quindi cercato di trovare un accordo con il governo del Gibuti per la costruzione della base navale. Ma anche in questo caso il piano non è andato a buon fine, poiché il governo degli Stati Uniti ha fatto pressione su quello del Gibuti affinché rifiutasse la proposta russa. Nel 2018 il Cremlino ha allora esplorato la possibilità di aprire una base navale in Eritrea, ma di nuovo il progetto non ha avuto seguito.
Mosca, a quel punto, ha capitalizzato sulla proposta fatta dal presidente sudanese Omar al-Bashir in visita a Sochi in Russia nel 2017 di costruire una base navale militare proprio in Sudan. Al-Bashir temeva, infatti, che gli Stati Uniti volessero rovesciare il suo governo e dividere il paese in 5 parti, e puntava quindi sulla presenza russa nel Paese come forza riequilibrante. I contatti tra il presidente sudanese e quello russo sono poi continuati anche successivamente, con Al-Bashir che insisteva per aumentare i legami politici ed economici tra i due Paesi. È probabile che Mosca tenesse la carta sudanese come riserva in quanto Yemen, Gibuti ed Eritrea sono tutte e tre più vicine al Golfo di Aden del Sudan, e sono quindi potenzialmente più strategiche. In ogni caso, la Russia ha rischiato che anche la carta sudanese si rivelasse un flop quando Al-Bashir è stato rimosso nell’aprile 2019 dall’esercito sudanese. Qui Mosca è stata particolarmente abile nell’adattarsi alla nuova situazione e nel creare buoni rapporti con la giunta militare. È riuscita infatti a mantenere i precedenti legami economici e politici, e a crearne addirittura di nuovi sia in campo commerciale sia per quanto riguarda la collaborazione militare. Per la giunta militare del Sudan, la Russia rappresenta un buon modo per bilanciare la pressione di Stati Uniti ed Europa sul Paese, anche in virtù del fatto che la Russia non richiede riforme democratiche e/o liberali in cambio del suo aiuto. Da qui, dunque, nasce la scelta russa di costruire la base navale in Sudan.
In termini strategici, la nuova base nel Mar Rosso avrà più di una funzione. Oltre alle potenzialità commerciali e logistiche sopra elencate, qualora la Russia dovesse poi intervenire militarmente anche nell’Oceano Indiano o nel Golfo Persico, sarà più facile e veloce farlo partendo dalla base di Port Sudan piuttosto che da quella di Tartus in Siria. Ma le sue funzioni non si limitano all’ambito marittimo. Vi è infatti una anche dimensione terrestre da tenere in considerazione. La base navale permetterà, infatti, di consolidare ancora di più i legami economici, politici e militari tra Mosca e Khartoum, legami che erano già piuttosto sviluppati. Il Sudan è il secondo Paese africano a cui la Russia esporta più materiale bellico (il primo è l’Algeria), rendendo la Russia il principale fornitore del Sudan in questo settore. Ma l’export militare non si limita ad armamenti, veicoli e sistemi difensivi.
Vi è, infatti, anche la questione delle compagnie militari private, che offrono servizi di sicurezza personalizzati a fronte di pagamenti. Una delle più famose compagnie di questo genere è la russa Wagner, che benché privata funge da mano invisibile per il Cremlino. La Wagner opera in Sudan almeno sin dal 2017/2018, in particolare a protezione delle compagnie di estrazione di oro, e permette a Mosca di intervenire ed influenzare il Paese senza averne diretta responsabilità (non essendo la Wagner ufficialmente parte dell’esercito russo). La compagnia militare privata ha anche espanso il suo raggio d’azione nella Repubblica Centrafricana e in Mozambico, nel primo caso come forza militare a protezione delle miniere di diamanti e contro i ribelli antigovernativi, nel secondo caso come forza militare a protezione dell’estrazione di gas e contro terroristi islamisti.
L’apertura della base navale a Port Sudan e il permesso di trasportare armamenti ad essa, sia direttamente via mare che indirettamente tramite gli aeroporti del Paese, potrebbe quindi permettere alla Russia di poter inviare più facilmente, tramite la Wagner, sia uomini che armamenti ai Paesi africani che ne facessero richiesta. Qualora i servizi di questa compagnia militare privata prevedano anche l’addestramento delle truppe locali, i governi africani potrebbero trovare conveniente a quel punto anche importare ulteriore materiale bellico russo a discapito di quello di altri Paesi fornitori. E chiaramente la Russia non potrebbe che aumentare la sua influenza politica ed economica su questi paesi grazie ai servizi di sicurezza e armamenti bellici offerti. In sostanza, la base navale di Port Sudan dovrebbe servire gli interessi russi lungo due assi: il primo marittimo, a protezione del commercio tramite il Golfo di Aden e per proiettarsi con più forza nell’Oceano Indiano; il secondo terrestre, per aumentare la penetrazione politica e militare in Africa. Come la Cina, dunque, la Russia cerca di puntare maggiormente sul continente Africano sia in vista di un suo potenziale sviluppo sia per proteggere l’estrazione e l’export di materiali rari, come l’oro e i diamanti.
La strategia russa di puntare sulla base navale in Sudan sarà vincente? Innanzitutto, dipende molto dall’asse considerato. Lungo quello marittimo, la scelta è vincente poiché permette effettivamente alla Russia di proteggere e garantire il proprio commercio tramite il Mar Rosso ed eventualmente di proiettarsi con maggior forza sull’Oceano Indiano. Chiaramente avere una base in Yemen, Eritrea o Gibuti sarebbe stato meglio, essendo questi Stati più vicini al Golfo di Aden rispetto al Sudan. Ma viste le difficoltà o l’impossibilità di aprire una base navale in quei tre Paesi, il Sudan rimane un ottimo second best. L’influenza della Russia in Eritrea e Gibuti rimarrà dunque limitata, mentre per lo Yemen Mosca cerca di avere un ruolo come broker capace di mediare tra tutte le parti. La Russia, infatti, è praticamente l’unico Paese che riesce ad avere contatti densi con tutte le parti coinvolte nella guerra in Yemen. Non è tuttavia detto che la nuova base navale in Sudan possa servire agli interessi di Mosca in Yemen in tal senso. Su questo ci sarà da aspettare e vedere.
Lungo l’asse terrestre, invece, la situazione è più difficile e rischiosa. La Wagner, infatti, non è sempre stata particolarmente efficace nelle azioni anti-ribelli e anti-islamisti dei paesi africani in cui ha operato. In Mozambico, per esempio, non è riuscita a sedare i ribelli islamisti ed ha anche subito la perdita di sette dei propri uomini. Nella Repubblica Centrafricana, invece, circa l’80% del territorio rimane tuttora in mano ai ribelli antigovernativi. La capacità di penetrazione in Africa del Cremlino tramite la Wagner è quindi discutibile. La compagnia militare dovrà probabilmente affinare e migliorare la propria capacità di operare nei contesti sub-sahariani se vuole diventare un punto riferimento ancora più importante per i governi africani. E dal suo successo dipende anche la possibilità per Mosca di penetrare politicamente ed economicamente con più forza in Africa. La base navale in Port Sudan dovrebbe servire proprio per potenziare questa penetrazione russa in Africa, fungendo da base logistica sia per l’esercito russo sia (non ufficialmente) per la Wagner. Se questa base sarà effettivamente un game-changer lungo questo asse lo vedremo però solo in futuro.
In conclusione, l’apertura della base navale militare russa in Sudan è sicuramente un evento importante e vantaggioso per Mosca. La Russia riesce così a proiettarsi meglio nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano, rafforza la sua presenza in Sudan, e proprio da Khartoum può puntare ad una maggiore penetrazione politica ed economica nel resto dell’Africa. La strategia di Mosca nel continente africano presenta, però, molti rischi e limiti. Bisognerà quindi attendere per capire quanto effettivamente la base navale in Port Sudan servirà alla strategia africana del Cremlino.