Poco dopo l’incontro tra la delegazione cinese e quella statunitense ad Anchorage, Sergej Lavrov è volato a Guilin per discutere con Wang Yi. Mentre l’Occidente preme, Lavrov torna a casa con una partnership consolidata.
“Più il mondo è instabile, più Russia e Cina devono promuovere la loro cooperazione”. Così si è espressa la portavoce cinese Hua Chunying lo scorso 23 marzo. Parole incisive, soprattutto a venti anni da quando Jiang Zemin accolse per la prima volta Vladimir Putin a Shanghai con la speranza di rinvigorire le relazioni tra i due Paesi.[1] Era il 2001, l’anno della costituzione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e del Trattato di amicizia sino-russo. Oggi Mosca e Pechino sono più vicine che mai e l’incontro di Guilin ne è la prova inconfutabile.
Reazioni a catena?
La prima impressione della convocazione di Lavrov è quella di un incontro ad hoc a seguito delle consultazioni avvenute in Alaska tra Cina e Stati Uniti. Una sorta di ritrovo con l’amico del cuore. Bisogna però collocarla all’interno di un contesto più ampio, come un’espressione del particolare momento nel triangolo tra Mosca, Pechino e Washington. L’accusa diretta di Biden nei confronti di Putin è infatti solo la punta dell’iceberg delle tensioni con l’Occidente. Solo qualche settimana fa, gli Stati Uniti di Biden aprivano la propria Interim National Security Strategic Guidance facendo riferimento alla crescente rivalità proprio con questi due Paesi.[2]
Inoltre, Cina e Russia sono entrambe reduci da recenti sanzioni occidentali. Inutili i tentativi di rianimare le relazioni tra UE e Russia negli ultimi mesi, soprattutto dopo lo scoppio del caso Naval’nyj. Basti solo pensare al fallimentare viaggio di Josep Borrell a Mosca. “La Russia non ha alcuna relazione con l’Unione Europea come organizzazione”.[3] Lo ha dichiarato lo stesso Lavrov in Cina. Allo stesso tempo Pechino è impegnata in un tit-for-tat con l’UE. A seguito delle sanzioni europee per le violazioni dei diritti umani nella regione cinese dello Xinjiang, Pechino ha infatti ribattuto con la stessa arma. Insomma, la pressione esercitata dall’Occidente sembra fungere da vero catalizzatore per un crescente avvicinamento tra i due Paesi.
Guilin non è Anchorage
Il freddo dell’Alaska si è fatto davvero sentire ad Anchorage. Nel primo incontro dell’amministrazione Biden con la Cina, l’accoglienza statunitense nei confronti della delegazione cinese non è stata infatti delle più calorose. Un incontro alquanto sbrigativo, studiato per mettere alle strette Pechino. Washington ha infatti rimarcato i talloni d’Achille cinesi: dalle violazioni dei diritti umani contro gli uiguri dello Xinjiang e gli abitanti di Hong Kong fino alla coercizione economica.
Lo stesso non si può dire di quanto accaduto tra Lavrov e Wang in Cina. La scelta della location è innanzitutto indice del livello di amicizia raggiunto nelle relazioni tra i due Paesi. Prima dell’incontro, Lavrov si è infatti goduto un giro in barca panoramico sul fiume Lijiang. Trattamento che solitamente non si riserva ad un conoscente qualsiasi. La stessa parola Guilin ha anche un’importanza simbolica, data l’omofonia con l’espressione che in cinese si riferisce ad un “ospite d’onore”.
I principi cardine nel mondo che cambia
Tanti i temi affrontati a Guilin. Primo fra tutti la riduzione della dipendenza dal dollaro statunitense e dai sistemi di pagamento occidentali, ma anche la situazione in Afghanistan, Siria e Myanmar, e l’accordo sul nucleare iraniano. L’esito più concreto del colloquio è tuttavia la firma di una dichiarazione congiunta.[4] Si tratta innanzitutto della riconferma di un altro documento bilaterale del 2016. Allora su entrambi i Paesi pesava l’accusa dell’aver violato il diritto internazionale per ragioni diverse. Cinque anni più tardi, poco o niente è cambiato.
La pandemia in corso ha agevolato grandi cambiamenti nell’ordine globale. Il mondo si trova adesso in una situazione di grave turbolenza. Questo l’assunto iniziale della nuova dichiarazione. In un mondo che cambia servono necessariamente dei punti fermi, dei principi basilari da seguire. Così, Cina e Russia ci mettono di fronte alla loro visione del mondo.
Tre i principi fondamentali ribaditi: diritti umani, democrazia e diritto internazionale. Il tutto con caratteristiche cinesi e russe, ovviamente. Ogni Stato è infatti chiamato a proteggere i diritti umani del proprio popolo in base alle sue caratteristiche nazionali. Allo stesso modo, non esiste uno standard universale di democrazia. La scusa di esportare la democrazia per intervenire negli affari interni di altri Stati sovrani per Mosca e Pechino non regge più.
Si riafferma inoltre la centralità del diritto internazionale e delle Nazioni Unite, così come si era fatto già nel lontano 1997, con la Dichiarazione congiunta sul mondo multipolare e l’istituzione di un nuovo ordine internazionale.[5] Le due potenze hanno espressamente richiesto un vertice del Consiglio di sicurezza. Una clausola quasi sicuramente proposta da Mosca, che ormai da tempo insiste sull’idea di un summit dei membri permanenti. Questo perché le Nazioni Unite rappresentano una sede unica per le aspirazioni internazionali russe, il luogo in cui il Cremlino si sente nel club dei privilegiati.
Verso una vera e propria alleanza?
La parola alleanza a caratteri cubitali pullula sui titoli di molte testate nell’ultima settimana. Eppure, il ragionamento non è totalmente campato in aria. In fondo è stato lo stesso Putin ad avanzare questa ipotesi in un discorso tenuto al Valdai Club nel dicembre dello scorso anno. I fatti però, almeno per il momento, evidenziano una realtà diversa. L’estensione del Trattato di buon vicinato e cooperazione amichevole mette nero su bianco la volontà di perseguire una cooperazione strategica senza menzionare l’ipotesi alleanza. D’altronde, Xi si è sempre guardato bene dal pronunciare la parola proibita, preferendo definizioni meno marcate.
In piccola parte, potrebbe trattarsi di una scelta di facciata, dettata dalla volontà di non causare reazioni dall’esterno. Tuttavia è evidente che Cina e Russia talvolta perseguano i propri obiettivi strategici su binari paralleli, nella massa eurasiatica e non solo. Se nel breve termine far fronte comune contro gli Stati Uniti può portare benefici a entrambi, l’idea di una Pax sinica potrebbe non dare i risultati sperati nel lungo termine, almeno per la Russia. I possibili attriti infatti sono tanti e su diversi fronti. Primo fra tutti la necessità della Russia di non essere considerata come junior partner del vicino cinese, specie data l’asimmetria economica venutasi a creare tra i due Paesi.
Possibili freni a parte, il progressivo avvicinamento tra Mosca e Pechino è tangibile. Basti guardare, ad esempio, al recentissimo Memorandum d’intesa per la creazione di una stazione di ricerca lunare congiunta. Guilin ne è l’ennesima riprova.
[1] Ambasciata cinese nello Zimbabwe (2004). Il presidente Jiang Zemin incontra il presidente russo Vladimir Putin. http://www.chinaembassy.org.zw/eng/zt/zgdwzc/t150067.htm (ultimo accesso 25/03/2021).
[2] Amministrazione Biden (2021). Interim National Security Strategic Guidance. Disponibile su https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2021/03/03/interim-national-security-strategic-guidance/ (ultimo accesso 28/03/2021).
[3] Interfax (2021). Лавров заявил о разрушенных Брюсселем отношениях РФ и ЕС. Disponibile su https://www.interfax.ru/world/757286 (ultimo accesso 27/03/2021).
[4] Ministero degli Affari Esteri russo (2021). Dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Cina e Russia su alcuni aspetti della governance globale. Disponibile su https://www.mid.ru/foreign_policy/news/-/asset_publisher/cKNonkJE02Bw/content/id/4647776 (ultimo accesso 26/03/2021).
[5] El’cin, B. & Jiang, Z. (1997). Dichiarazione congiunta sul mondo multipolare e l’istituzione di un nuovo ordine internazionale.