Dieci anni fa il mondo arabo veniva scosso da una catena di manifestazioni senza precedenti, per intensità e diffusione. L’ottimismo iniziale con cui vennero accolte, almeno in Occidente, gli diede un nome speranzoso e fortemente evocativo: “primavere arabe”. Ma tale disposizione non fu unanime, soprattutto col passare dei mesi e l’avanzare dei “successi” delle rivolte. La Russia, dopo qualche iniziale titubanza, si collocò con crescente convinzione nel campo degli scettici, fino a sostenere apertamente le forze controrivoluzionarie.
Non fu una scelta automatica né priva di contraddizioni, come si tende a credere col senno del poi. In Siria, l’appoggio al regime di Assad – concretizzatosi fin da subito nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU – costò a Mosca tra il 2011 e il 2013 un certo isolamento internazionale, oltre a qualche fatwa e rogo di bandiere russe tra i rivoltosi. In Egitto, la freddezza con cui il Cremlino accolse la cacciata di Mubarak e la successiva ascesa dei Fratelli Musulmani rischiò di intaccare la tradizionale vicinanza tra i due Paesi, fino al golpe di Al-Sisi.
Ma fu in Libia che Mosca pagò il prezzo più alto delle sue (mancate) scelte. Stavolta in senso inverso: il timore di appoggiare un tiranno in caduta libera, unito a un certo grado di fiducia residua verso i partner occidentali, spinse l’allora presidente Medvedev ad assecondare di fatto questi ultimi nella creazione di una no-fly zone contro Gheddafi. I fatti ben noti che seguirono sconfessarono la linea di Medvedev e probabilmente furono persino determinanti nel suo destino politico.
Per la Russia gli eventi libici furono infatti un disastro, oltre che uno spartiacque del suo coinvolgimento in Medio Oriente. Non vi è da stupirsi se il recente ritorno sulle sponde nordafricane venga vissuto a Mosca con un certo senso di rivalsa, o almeno di riscatto dei propri interessi. Tornare dunque agli eventi di dieci anni fa non è un’operazione fine a se stessa, ma una buona base di partenza per comprendere l’odierna strategia russa nel mare nostrum.
Il Dossier odierno ha dunque un duplice obiettivo: riprendere gli eventi di dieci anni fa e rileggerli nell’ottica delle evoluzioni successive, che dopo un iniziale arretramento hanno visto consolidare (e di molto) le posizioni russe nella regione.
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