Il recente caso di spionaggio che ha riguardato l’ufficiale italiano Walter Biot non è un caso isolato in Europa. A partire dal 2014 la Russia ha intensificato le sue azioni di spionaggio nel continente. Tale linea d’azione risponde non solamente alla strategia di Mosca, ma anche alla particolare organizzazione interna del comparto dei servizi russi.
L’arresto del capitano di vascello Walter Biot a inizio aprile ha trasformato per qualche giorno Roma nel terreno di gioco tra gruppi di spie e il quartiere Spinaceto nel nuovo Checkpoint Charlie di una città divisa dal fronte dello scontro tra NATO e Russia.
Fin dalle prime ore dopo l’arresto, l’episodio ha trovato ampio spazio nella stampa nazionale e non solo. Mentre l’ambasciatore russo veniva convocato alla Farnesina, in molti si sono chiesti se la vicenda potesse mettere in discussione i rapporti tra Russia e Italia e, di conseguenza, il ruolo di quest’ultima in seno alla NATO.
In realtà l’episodio non costituisce una novità e non è un caso isolato. Le azioni più o meno eclatanti da parte di agenti russi in Europa si sono intensificate. Proprio mentre in Italia Walter Biot veniva arrestato, in Bulgaria si concludeva un caso simile nelle dinamiche – ma molto più dirompente e invasivo a livello di politica interna e sul piano delle informazioni trafugate – e sviluppatosi nel corso di mesi.
Connecting the dots: il caso Bulgaro e gli altri episodi di azioni russe
Le investigazioni da parte delle autorità di Sofia hanno portato all’incriminazione di cinque ufficiali appartenenti ai servizi bulgari e al Ministero della Difesa. La dinamica è pressoché la stessa individuata nel caso Biot: gli ufficiali bulgari usavano i loro telefoni per fotografare informazioni sensibili direttamente dagli schermi dei PC, per poi passarli su supporti fisici – micro SD – al loro contatto russo sul luogo.
Le informazioni scambiate riguardavano la NATO e il programma di acquisto di caccia USA F-16 da parte di Sofia, in sostituzione della flotta aerea in servizio. Gli arresti hanno portato all’espulsione di cinque diplomatici russi nel periodo compreso tra ottobre 2019 e marzo 2021, con le ultime avvenute proprio alla vigilia delle elezioni parlamentari dell’aprile di quest’anno.
Se si considera però un arco di tempo maggiore, i casi di Italia e Bulgaria sono solo una parte di una serie di azioni – alcune delle quali più eclatanti e violente – che hanno visto coinvolti agenti russi appartenenti al FSB – Servizio federale di sicurezza – o GRU – Direttorato principale per l’informazione – sul suolo europeo.
Tra i più noti figurano il tentato omicidio di Sergei Skripal, ex collaboratore del GRU, nel Regno Unito da parte di agenti russi. O ancora, nel 2019 l’assassinio in pieno centro di Berlino di Zelimkhan Khangoshvili, un ex militante ceceno – ex collaboratore dei servizi di sicurezza di Georgia e Ucraina. Sempre nel 2019 un’inchiesta di Le Monde ha invece portato alla luce l’esistenza di una base operativa dei servizi russi – GRU e non solo – nell’Alta Savoia francese: sono stati ricostruiti gli spostamenti di almeno 15 agenti operativi russi, tra cui anche i due coinvolti nel tentato omicidio di Sergei Skripal.
Il ruolo delle agenzie russe nel sistema di spionaggio
Secondo molti analisti l’attività delle forze di sicurezza russe sul suolo europeo si è intensificata a partire dal 2014, e comunque mai si è sopita o è calata significativamente dopo fine della Guerra Fredda. Queste attività includono azioni di spionaggio, compravendita di segreti industriali, militari e altre misure attive, azioni di sovversione e assassinii mirati.
Le agenzie di sicurezza e spionaggio russe godono di una posizione di rilievo all’interno dell’ossatura delle istituzioni del Paese. Il Presidente Vladimir Putin ha qui iniziato la sua carriera, in servizio nella sede di Dresda con il KGB nella ex-DDR; nel 1999 si congratulò scherzosamente con i suoi ex-colleghi del KGB: “il gruppo di agenti del FSB che avete inviato per infiltrarsi nel governo ha compiuto con successo la prima parte della sua missione” riferendosi alla sua nomina a presidente ad interim.
Durante il primo mandato presidenziale, il sistema di governo ideato e messo in atto dal Presidente ha fatto ampio ricorso ai “siloviki”: ex-appartenenti alle forze di sicurezza che occupano posizioni apicali negli apparati burocratici o politici russi. Le capacità e la fedeltà di queste figure – che riconoscevano nel Presidente uno di loro – era fondamentale per il rilancio e consolidamento di un progetto politico dopo il turbolento decennio degli anni Novanta. Sebbene con il passare degli anni tali figure siano state avvicendate ai vertici da burocrati o figure più tecniche, maggiormente in grado di gestire i dossier più complessi in ambito economico e sociale, le agenzie di sicurezza continuano ad occupare un ruolo chiave nel panorama del sistema politico e amministrativo russo.
Vladimir Putin ha saputo però distribuire incarichi e fondi alle diverse agenzie e, soprattutto, fare in modo che questo appoggio politico e finanziario non fosse mai scontato. In questo modo le agenzie sono state incentivate a gareggiare tra loro per dimostrare la loro imprescindibilità nelle strategie di proiezione russa all’esterno. In seguito al conflitto con la Georgia, nel 2008, il GRU sì è reso protagonista di alcune analisi rivelatisi poi non esatte in merito alle forze in campo del nemico. Nel bilancio approvato nel 2010, il Cremlino ha confermato il taglio di oltre 1000 effettivi dell’agenzia e ha di fatto terminato la possibilità del GRU di avvalersi delle forze speciali militari Spetsnaz per le loro operazioni speciali.
La spinta alla performance e alla competizione interna tra agenzie viene indicata tra le principali cause alla base dell’incremento della presenza attiva di agenti russi sul suolo europeo. Le rivalità tra diversi rami dei servizi sono un altro fattore che alimenta la necessità di compiere azioni eclatanti – grazie anche alla maggior libertà di manovra acquisita – al fine di lanciare messaggi agli avversari di Mosca e, al tempo stesso, acquisire maggiore influenza nei confronti del Cremlino grazie ai risultati ottenuti sul campo.
Strategia ibrida: non solo cyber ma anche elemento umano
I campi di attività delle agenzie di intelligence sono andati espandendosi in linea con la strategia di proiezione estera della Russia. Accanto ai compiti più “tradizionali” si sono affiancati operazioni ibride e sempre più caratterizzate da elementi cyber. Propaganda, destabilizzazione, influenza indiretta e sovversione sono tutti “compiti” portati avanti parallelamente.
Le sanzioni recentemente confermate dagli Stati Uniti alla Russia sono una forma di reazione a questo tipo di azioni. Secondo Washington, l’attacco hacker dello scorso dicembre che ha colpito l’azienda statunitense Solar Winds, e a cascata numerose strutture e reti statunitensi, è direttamente collegabile ad attori legati agli apparati statali russi.
Tuttavia, nonostante il crescente ruolo delle attività di tipo cyber nella strategia della Russia – e non solo – il caso Biot e quello bulgaro dimostrano che l’elemento umano resta fondamentale quando si tratta di raccogliere informazioni sul campo. Tale pratica è definita Humint – Human intelligence – e punta sull’ottenimento di informazioni facendo leva su una serie di strumenti, o soluzioni, anche attraverso pressioni e sfruttando le debolezze dei soggetti individuati. Anche laddove le reti sono più sviluppate, l’azione sul campo e la presenza e la debolezza umana restano uno dei punti fermi delle azioni di spionaggio.