Attraverso la diplomazia dei vaccini e la recente proposta di riprendere i colloqui a sei, la Russia ha enfatizzato il rapporto privilegiato con la Corea del Nord, riproponendo il suo ruolo di partner affidabile e di mediatore nei processi di contenimento della potenza nucleare. Dietro alla retorica, tuttavia, incombe la presenza cinese, a cui lo stesso Cremlino continua a cedere spazio.
Mosca e Pyongyang vantano da sempre un rapporto speciale. Fin dalla sua costituzione nel 1948, la Corea del Nord ha ricevuto importanti aiuti economici e sostegno militare da parte dell’Unione Sovietica, impegnata a limitare l’influenza statunitense in Asia.
Negli anni, la questione della sicurezza è il fattore che più di tutti ha condizionato la politica del Cremlino nei confronti di Pyongyang. Mosca non ha mai visto di buon occhio il programma nucleare nordcoreano, che rappresenta una minaccia importante per le regioni orientali russe adiacenti. Tuttavia, la Federazione ha sempre compreso che la denuclearizzazione della penisola non è realistica. Dunque, invece di concentrarsi sulla rimozione completa delle armi, Mosca si è mantenuta in stretto contatto con la leadership nordcoreana, adottando una politica indipendente e quieta.
Il fatto che Mosca sia determinata a mantenere lo status quo per favorire la stabilità nella regione è fonte di attrazione per il regime alleato. Pyongyang ha sempre visto la Russia come un partner affidabile e un possibile mediatore con le altre grandi potenze, favorendo la nascita di un rapporto privilegiato tra i due Paesi.
Un approccio pacifico nei confronti del vicino ha inoltre permesso a Mosca di promuovere negli anni numerosi progetti in ambito economico. Per quanto non vi sia interdipendenza commerciale tra i due Paesi, la posizione geografica e la presenza nordcoreana lungo i territori dell’Estremo oriente russo giocano un ruolo non trascurabile nel sistema produttivo e nello sviluppo della regione. Qui si trovano in effetti migliaia di lavoratori che lasciano la penisola in cerca di un’occupazione e vanno a sopperire alla carenza di forza lavoro nei suoi territori.
Inoltre, la cooperazione con il vicino, secondo i piani del Cremlino, potrebbe facilitare l’accesso al più grande mercato asiatico, dando un forte impulso alla cosiddetta strategia del “Turn to East”. A questo scopo, spesso si è discusso sulla creazione di infrastrutture che colleghino i due Paesi, tra cui un gasdotto che attraversi la penisola coreana, e il miglioramento della ferrovia che passa per la Zona Economica Speciale Rason-Khasan e arriva fino al porto adiacente.
L’introduzione nel 2017 delle sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in risposta all’esecuzione di test nucleari da parte di Pyongyang ha, tuttavia, ostacolato queste ambizioni e rotto la diga verso il declino del rapporto privilegiato tra i due vicini.
Riconosciuto il fallimento della politica della “tolleranza strategica,” gli Stati Uniti, sostenuti dalla Cina, hanno cercato di risolvere la questione nucleare nordcoreana applicando “massima pressione” sul regime. A sua volta, Mosca, indebolita dai conflitti con l’Occidente e intimidita dalla crescente presenza del vicino orientale, ha cercato in un primo momento di partecipare ai processi diplomatici relativi alla Corea del Nord senza essere eccessivamente attiva.
La Federazione, perfettamente consapevole che la minaccia non era diretta contro lei stessa, ha comunque sostenuto le disposizioni promosse dalle due grandi potenze. Mosca puntava infatti a mantenere la legittimità e la credibilità all’interno della comunità degli stati coinvolti nella crisi nordcoreana, ancor più che continuare a perseguire i suoi interessi economici nell’area e mantenere la relazione privilegiata con il vicino.[1] Prevedibilmente, tali risoluzioni hanno portato a un calo delle relazioni economiche bilaterali e alla perdita di fiducia da parte di Pyongyang, che ha smesso di considerare il Cremlino come un partner di riferimento per la risoluzione delle tensioni o per il rifornimento di aiuti umanitari.
Conscia dell’indebolimento della propria autorità e determinata a non abbandonare i propri interessi in Asia, Mosca ha pertanto adottato un ruolo attivo nel richiedere un allentamento delle sanzioni nei confronti della Corea del Nord, facendo leva sul possibile rischio di una crisi umanitaria e la conseguente instabilità esacerbata dalla minaccia nucleare.
Gli equilibri di potere nella regione sono mutati ulteriormente nel 2018, con lo scoppio della guerra commerciale tra Washington e Pechino. Mosca non solo si è trovata in una posizione ambigua tra la comunità internazionale e Pyongyang, ma ha dovuto inoltre decidere se mantenere la sua posizione di autonomia strategica o appoggiarsi a una Cina in continua espansione. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno estraniato ulteriormente i due Paesi confinanti avviando un dibattito bilaterale serrato con il leader nordcoreano.
Poiché le due potenze considerano come priorità massima la stabilità piuttosto che la denuclearizzazione della penisola e il Cremlino ha gli occhi puntati su altri scacchieri geopolitici, Mosca ha preferito schierarsi con Pechino, che ha assunto il ruolo di guida nella regione. Quest’ultimo ha organizzato numerosi summit e promesso un aumento esponenziale degli scambi tra i due Paesi. In stretta coordinazione con il Dragone, la Federazione ha dunque adottato una posizione attiva nel tentativo di contenere la pressione economica degli Stati Uniti su Pyongyang, con lo scopo di allontanarli dalla regione.
La perdita di incisività da parte di Mosca si è palesata nel 2019, durante l’incontro tra Putin e Kim a Vladivostok. La visita del leader nordcoreano ha visto i due Paesi riaffermare la loro influenza e le loro connessioni durante le discussioni sul nucleare. Eppure, questa si è dimostrata una solidarietà nell’ombra. Le controparti non hanno avanzato proposte commerciali concrete, ma si sono limitate a tenere dialoghi simbolici per il mantenimento dei canali di comunicazione. La Russia, ancora una volta, ha dimostrato come non sia disposta a mettere in discussione le disposizioni della Comunità internazionale per rafforzare il proprio rapporto con Pyongyang, a costo persino di tenere in pausa le sue ambizioni economiche nella regione.
In questo contesto, la pandemia non ha fatto che acuire tale tendenza. Mosca, sin dal principio, ha assunto il ruolo di benefattore nei confronti di Pyongyang, chiedendo nuovamente un allentamento delle sanzioni, non avvenuto, e pubblicizzando l’invio di kit per testare la popolazione e partite di vaccini. Le donazioni all’apparenza verso un Paese dal rapporto privilegiato in realtà si inseriscono nella più ampia strategia di Mosca, che cerca di sfruttare il suo traguardo scientifico con lo scopo di riacquistare rilevanza a livello internazionale. Ironico il fatto che la stessa ambasciata russa, data la chiusura dei confini nordcoreani, dubiti che i farmaci siano effettivamente arrivati a destinazione.
Situazione opposta a quella della Cina che, senza farsi pubblicità, negli ultimi mesi avrebbe mandato importanti aiuti alimentari al vicino e ha dichiarato di voler riavviare gli scambi commerciali con la penisola entro la fine del mese.
Gli ultimi giorni di marzo, in risposta alle esercitazioni militari congiunte da parte di Washington e Seoul, la Corea del Nord ha nuovamente effettuato test nucleari. In una posizione di bilico tra la volontà della comunità internazionale e quella di Pyongyang, durante il suo incontro con la controparte sudcoreana, Lavrov ha espresso la necessità di riprendere i colloqui a sei sul contenimento del nucleare nella penisola. Proprio come gli anni precedenti, la spinta a riavviare tali dialoghi non deriva da una minaccia diretta nei confronti dei propri territori, quanto dalla preoccupazione di Mosca di venire esclusa dal processo di denuclearizzazione della penisola.
Visto il basso grado di influenza che il Cremlino ha dimostrato negli ultimi anni, se effettivamente si riusciranno a fare passi avanti sulla questione della sicurezza sarà solo grazie alla mediazione cinese, unico attore veramente rilevante. Pechino, dal canto suo, continua a promuovere i rapporti bilaterali con Pyongyang in quanto ha visto nell’alleanza con la potenza nucleare una nuova possibilità per contrastare la politica assertiva statunitense nella regione.
Nonostante le grandi dimostrazioni di vicinanza e alleanza strategica, indebolita dal confronto occidentale e messa in ombra dall’espansione di Pechino, Mosca negli ultimi anni ha perso il ruolo di mediatore effettivo nelle relazioni con le grandi potenze nei confronti della Corea del Nord. Il maggiore interesse per altri scacchieri geopolitici ha spinto il Cremlino ad allentare la presa sul vicino, facendo spazio alla Cina, che ha saputo abilmente riempire il vuoto di potere. Pyongyang, attirato dalla pragmaticità e incisività del Dragone, non ha perso l’occasione per saltare sul carro della potenza dominante e ha promesso di sviluppare un rapporto con Pechino che sarà “invidiato dal mondo”.
[1] A. V. Rinna, Sanctions, Security and Regional Development in Russia’s Policies Toward North Korea, Asian International Studies Review, Vol. 20 No. 1, 2019, p. 21-37.