L’invasione napoleonica della Russia rappresenta un punto di svolta nella storia europea, segnando il presagio della caduta del Bonaparte e della suo progetto imperiale. Figlio del turbinio ideologico della rivoluzione, il “piccolo caporale” assurto al trono imperiale di Francia scatenò le energie rivoluzionarie della più potente nazione d’Europa in un processo di espansione imperialistica che avrebbe stravolto gli equilibri a favore di Parigi. Il genio tattico, la lungimiranza, la visione strategica e le esperienze raccolte in anni di belligeranza valsero a Napoleone lo scettro di indiscusso genio militare. Allo stesso tempo tuttavia la sua campagna di Russia è considerata come uno dei peggiori disastri della storia bellica. Quali furono i motivi che spinsero Napoleone a tentare l’impresa, quali quelli della disfatta e perché il disastro del 1812 segnò l’inizio della caduta dell’Impero francese, culminato nella sconfitta di Waterloo del 1815?
Le ragioni dietro l’invasione
«Les souverains doivent parfois compter sur une victoire pour tenter une nouvelle entreprise»
L’Europa nel 1812. Situazione politica prima della campagna di Russia di Napoleone.
Allo scoccare dell’anno 1812 l’Europa marciava al ritmo imposto da Parigi. Dopo aver esteso le frontiere francesi ben al di là dei tradizionali confini, piegato l’Austria e la Prussia, nonché collocato clientes e familiari su troni vassalli, l’Empereur poteva guardare alla conformazione politica del Vecchio Continente con un certo compiacimento. Soltanto un rivale gli si opponeva, quel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, fortezza insulare imprendibile grazie alla sua egemonia talassocratica. L’imposizione di un Blocco Continentale, misura paneuropea tesa a sopprimere i traffici tra l’arcipelago e il continente, emerse come la naturale prosecuzione di una politica di isolamento volta a portare Londra a più miti consigli. Alessandro I, zar di tutte le Russie, in nome del trattato Tilsit (1807) si trovò costretto a partecipare all’embargo commerciale a nocumento dell’economia russa, dipendente dagli scambi coi britannici. La decisione (1810) di infrangere il blocco viene vista dagli storici come il casus belli che convincerà l’imperatore della necessità di spingersi verso Oriente.
Al di là della disposizione russa, diversi elementi sono stati discussi per spiegare la proattività bellica di Napoleone. Se non sono da ignorare fattori ideali o ideologici (l’ostilità verso l’autocrazia Romanov, l’orientalismo e un’eccessiva fiducia nei propri mezzi) la risposta risiede nella geopolitica. La Russia, nonostante il trattato del 1807, rimaneva un attore indipendente e dotato di una sfera di influenza. Annichilendo l’esercito dello zar, Napoleone avrebbe rimosso una potenziale minaccia dallo scacchiere continentale, riorganizzato l’assetto dell’Europa Orientale rafforzando il Granducato di Varsavia (creato su terre russe cedute nel 1807) e ristabilito la credibilità dell’embargo. Nel 1812, inoltre, Napoleone era tallonato dalla guerriglia spagnola e portoghese nella “Guerra Peninsulare” e dalla volontà di riscatto delle monarchie centroeuropee. Necessitava dunque di una vittoria che ne rinfrescasse il prestigio e ne perpetuasse la deterrenza. Vista da Parigi la Russia era un colosso dai piedi di argilla pronto a soccombere di fronte alla superiorità delle armate europee. Grosse erreur!
La campagna di Russia
[…] avant dix ans toute l’Europe peut-être cosaque, ou toute en république […]
Nel 1812 l’imperatore radunò un imponente esercito, per entrare in Russia il 24 giugno. Le stime variano, ma gli esperti ritengono che almeno 450.000 soldati della Grande Armée e forse fino a 650.000 attraversarono il fiume Niemen. Un’armata transnazionale: secondi ai francesi (300.000) solo i tedeschi (180.000) seguiti dai polacchi (90.000). Il piano di battaglia dell’imperatore era in apparenza chiaro. Marciando attraverso la steppa russa, Napoleone sperava di costringere l’esercito nemico a dar battaglia, distruggerlo per poi marciare verso Mosca. La caduta della capitale spirituale del paese, insieme alla distruzione dell’esercito, avrebbe inflitto un duro colpo al morale della popolazione portandola a esercitare pressione al fine di ottenere la pace. Il principio dell’impresa fu trionfale. Già quattro giorni dopo l’invasione, le truppe francesi occuparono Vilna e l’8 luglio entrarono a Minsk. Le falle nell’intelligence permisero ai russi di conoscere le intenzioni dell’avversario, così il comando decretò un ritiro sistematico verso l’interno. Invece di marciare compatte e far valere la superiorità numerica, le truppe francesi furono costrette a inseguire gli sfuggenti russi, allungando le comunicazioni e perdendo iniziativa. Ritirandosi, le truppe russe si impegnarono, inoltre, in battaglie di retroguardia, applicarono la tattica della terra bruciata e ingaggiarono azioni di disturbo.
Il 20 luglio i francesi occuparono Mogilev impedendo agli eserciti russi di combinarsi. Solo grazie a ostinate battaglie di retroguardia e all’abilità di manovra gli eserciti russi riuscirono a farlo il 17 agosto vicino a Smolensk, il teatro della prima grande battaglia. Lo scontro durò tre giorni, durante i quali russi respinsero gli attacchi francesi e si ritirarono in buon ordine, lasciando la città in fiamme al nemico. Sconfitti, i russi continuarono a ritirarsi in direzione di Mosca. Nel frattempo lo zar, di fronte all’incedere del malcontento popolare esploso a causa dell’abbandono delle città, e pressato dalla nobiltà che premeva per battersi sul campo, nominò comandante dell’esercito l’esperto ma prudente generale Michail Kutuzov. Al comando del veterano delle guerre russo-turche, il 7 settembre a Borodino i russi decisero finalmente di dare battaglia. Quella che Napoleone definirà “la più terribile delle mie battaglie”, si rivelò uno degli scontri più sanguinosi delle campagne napoleoniche. Oltre 70.000 uomini di ambedue gli schieramenti perirono, vittime di un utilizzo indiscriminato dell’artiglieria. I francesi vinsero, ma subendo perdite notevoli e non rimpiazzabili. I russi, a loro volta notevolmente indeboliti, riuscirono a sganciarsi e prendere la strada di Mosca.
L’abile Kutuzov era riuscito ad evitare la disfatta ed aveva indebolito l’armata avversaria, ma la situazione restava complessa. I reggimenti erano fiaccati dalle perdite e le prospettive incerte. Dopo qualche incertezza ordinò la ritirata, abbandonando Mosca ai francesi. Il 14 settembre 1812 Napoleone la occupò. Il giorno stesso la capitale, svuotata dai suoi abitanti, venne avvolta da uno spaventoso incendio. L’incendio rafforzò il patriottismo russo e intaccò la disciplina della Grande Armée, trasformatasi da orgogliosa macchina da guerra in un’accozzaglia autorizzata al saccheggio. Di fronte al rifiuto dello zar di aprire ai negoziati, Napoleone fu costretto a lasciare la città il 19 ottobre. Dell’imponente contingente iniziale, a questo punto della campagna rimanevano in piedi solo 100.000 soldati: i restanti erano morti, feriti, defezionati o abbandonati lungo la linea di rifornimento. Conscio dell’incedere della disfatta, l’imperatore pianificò una ritirata sul fronte meridionale, ma fu costretto a tornare sulla strada percorsa all’andata priva di adeguate fonti di rifornimenti. La ritirata si trasformò in una rotta generale, un’ecatombe impietosa resa insopportabile dall’incedere di un inverno insolitamente precoce nonché dalla asfissiante guerriglia cosacca. Alla fine di novembre, la Grande Armée riuscì a sfuggire al completo annientamento attraversando il gelido fiume Berezina. Il 5 dicembre, Napoleone lasciò l’esercito sotto il comando di Gioacchino Murat e si precipitò verso Parigi da dove giungevano voci di un tentativo di colpo di stato.
Le motivazioni dietro la disfatta
«N’interrompez jamais votre ennemi quand il fait une erreur»
Questa immagine mostra il percorso che Napoleone ha intrapreso nel suo viaggio a Mosca (la linea Tan). Il diradarsi della linea marrone chiaro indica il ridursi della consistenza numerica della Grande Armée a causa del freddo e della fame. La linea nera mostra la ritirata di Napoleone.
La disfatta di Napoleone fu totale. Al di là dell’ecatombe umana (le perdite sono ancora oggi dibattute dagli storici contemporanei, da un minimo di 200.000 a un massimo di 400.000 uomini), l’imperatore dei francesi subì uno smacco al suo prestigio e alla sua influenza su alleati, vassalli e indomiti nemici. La vulgata tradizionale vede come causa dell’annichilimento della già invitta macchina da guerra, motivazioni inflazionate e riduzionistiche. Al di là del “generale inverno”, evocato da Napoleone stesso e tradizionale spauracchio nella letteratura di storia militare, le cause della sconfitta del più abile comandante di eserciti dell’epoca sono molteplici e concatenate. Se le probabilità giocavano inizialmente a favore dell’imperatore (superiorità numerica, esperienza e equipaggiamento della macchina da guerra napoleonica, perizia strategica) i semi della disfatta francese (come già accaduto a un precursore di Napoleone, il re svedese Carlo XII) erano ben presenti già alla vigilia dell’invasione stessa.
Nonostante le aspettative l’imperatore risultò privo della tradizionale visione strategica di lungo periodo, anteponendo una debole improvvisazione a una coerenza generale sull’andamento delle operazioni. Man mano che l’armata francese avanzava si avvertiva il senso comune di una contraddizione strategica, mentre la superiorità numerica si ritorse contro l’armata francese. La conduzione di un esercito multinazionale, l’ammontare delle distanze da percorrere in territorio nemico e la scarsa consistenza delle linee di approvvigionamento intaccarono la logistica degli invasori. Gli ufficiali russi, intrisi di cultura francese, conoscevano la lingua e le tattiche dell’esercito nemico, a differenza di quest’ultimi ebbri di hybris e orientalismo. La lunghezza delle linee di rifornimento privò i francesi di approvvigionamenti adeguati, originando una propensione al saccheggio che ne intaccò la reputazione e incrementò, di rimando, il morale dell’esercito zarista, permeato di fervore patriottico e orgoglio nazionale. Le variabili climatiche (un’estate torrida e un durissimo inverno), l’insorgere di epidemie e le diserzioni, infine, falcidiarono l’armata indebolita dalla terra bruciata e dalla perizia tattica dei russi.
L’impatto della campagna di Russia sul destino del condottiero
“N’interrompez jamais votre ennemi quand il fait une erreur.”
La disfatta in territorio russo fu un colpo di grazia per le ambizioni francesi di dominio. Un evento che innescò un importante rimescolamento nello scacchiere geopolitico europeo. L’abilità diplomatica di Alessandro I fu determinante per tessere la tela di quella Sesta Coalizione originatasi dalle defezione della Prussia. Il suo re Federico Guglielmo III decise infatti di affiancarsi, con il suo esercito ricostituito e rafforzato, all’esercito russo dello zar. Il quale, inseguendo i resti della Grande Armata, era penetrato in Polonia rimescolando le carte in favore della coalizione. Napoleone dopo il rientro a Parigi cercò di organizzare nuove forze e di sconfiggere l’alleanza, riportando qualche risultato contro le armate russo-prussiane a Lützen e a Bautzen. Alessandro I riuscì a raccogliere il sostegno della Prussia e dell’Austria, giustificando l’invasione dell’Europa come una guerra di liberazione. La Russia si inserì nelle questioni europee portando il fardello dell’emancipazione dei popoli oppressi dalla tirannia napoleonica. Sebbene l’imperatore francese riuscì in breve tempo a radunare un altro enorme esercito, stavolta quest’ultimo era a corto di cavalleria ed esperienza. Napoleone vinse alcune battaglie, ma subì una schiacciante sconfitta nell’ottobre 1813 a Lipsia. Nel marzo successivo, Parigi venne occupata dalle forze della coalizione e l’imperatore costretto all’esilio all’isola d’Elba. Nel 1815 questi fece un altro tentativo di prendere il potere: evase dall’esilio, riconquistò il supporto dell’esercito ma fu vinto nella battaglia di Waterloo.
Napoleone Bonaparte è valutato come dei più grandi strateghi militari di sempre, nonché una personalità che dimora nell’Olimpo della storia europea. Dall’alto del suo carisma, e con il supporto delle potenzialità demografiche ed economiche francesi, riuscì a plasmare un personale sistema politico schiacciando chiunque si trovasse sul suo cammino. Senza sminuire le doti dell’imperatore, nessuna delle imprese napoleoniche avrebbe potuto sussistere senza il supporto dell’esercito, macchina bellica forgiata nel ferro e nel fuoco rivoluzionario, e senza l’ausilio di quella fedelissima cerchia di generali (e funzionari) figli della meritocrazia di matrice illuminista. La campagna di Russia contribuirà, in tutta la sua gravità, ad annientare la consistenza numerica dell’esercito, sfoltendo le fila dei veterani ma anche il mito dell’invincibilità forgiato in anni di marce trionfali. La disfatta di Napoleone in Russia ne intaccò la reputazione irrimediabilmente. Per le umiliate e piegate monarchie centroeuropee, per l’invitta Gran Bretagna, per la Russia in piena esaltazione patriottica o persino per la guerriglia spagnola e i sanfedisti italiani, Napoleone aveva cessato di essere quell’invitto semidio della guerra. Il feretro dell’epopea napoleonica riposa nei campi di Waterloo ma porta impresso, in caratteri cirillici, le ferite mortali della Campagna di Russia.
Bibliografia
Nigel Nicolson, Napoleone in Russia, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli (2001)
Henri Troyat, Alessandro I, Milano, Biblioteca Storica Il Giornale (2001)
Adam Zamoyski, Marcia fatale. 1812. Napoleone in Russia, UTET (2013)
Peter Paret, Makers of Modern Strategy: From Machiavelli to the Nuclear Age. Princeton Press (1986)