L’appartenenza a due blocchi antagonisti nel corso della Guerra Fredda ha fortemente limitato i contatti tra Russia e Corea del Sud. Soltanto con la dissoluzione dell’URSS il dialogo è ripreso, soprattutto grazie al volano economico. I due sistemi sono infatti complementari e non possono che trarre benefici dalla reciproca collaborazione. Eppure, nonostante i buoni propositi, la cooperazione tra il Cremlino e la Casa Blu non sembra decollare.
Per buona parte del XX secolo le relazioni tra Mosca e Seoul non furono particolarmente approfondite. Dopotutto, il confronto bipolare non avrebbe consentito che le cose andassero diversamente, considerando che la Corea del Sud era saldamente arroccata su posizioni atlantiste, essendo un Paese fondamentale per l’architettura delle alleanze statunitensi nella regione Asia-Pacifico. Del resto, Washington era intervenuta direttamente per impedire la caduta di Seoul nel corso degli anni Cinquanta, timorosa di quell’effetto domino che avrebbe teoricamente ridotto l’intero Sud-Est Asiatico in una roccaforte socialista se anche un solo Stato fosse passato sotto il controllo dei comunisti. Inoltre, la vicinanza ideologica tra Mosca e Pyongyang era stata la chiave della sopravvivenza del regime nordcoreano per tutta la durata di quello che Hobsbawm definì il “Secolo Breve”. Soltanto nel corso degli anni Ottanta l’Unione Sovietica e la Corea del Sud sperimentarono un timido miglioramento nelle relazioni commerciali, che fu subito messo alla prova dall’abbattimento, da parte russa, del volo KAL-007 avvenuto il primo settembre del 1983. L’incidente portò alla morte di tutti e 269 i passeggeri del velivolo e non è chiaro il motivo che spinse i sovietici ad abbatterlo, nonostante lo sconfinamento nello spazio aereo del Paese.
Con la dissoluzione dell’URSS, avvenuta ufficialmente il 25 dicembre del 1991, le cose cominciarono lentamente a cambiare. Durante i primi anni dell’era El’tsin la Federazione Russa rese chiaro il proprio supporto per l’unificazione della Penisola Coreana ed assunse una postura piuttosto critica nei confronti di Pyongyang e del suo programma nucleare, interrompendo inoltre gli aiuti diretti al regime. Ciò non poté che migliorare il livello delle relazioni bilaterali con Seoul. Lo sviluppo del rapporto tra i due Paesi fu sanzionato dalla firma, avvenuta nel 1992, del Russian-South Korean Basic Treaty, volto a formalizzare detto processo di normalizzazione.
Tuttavia, la profonda crisi economica che colpì la Russia e i Paesi della regione Asia-Pacifico nel biennio 1997-1998 portò ad un nuovo raffreddamento delle relazioni dovuto principalmente alla volontà di Mosca di concentrarsi quasi esclusivamente sul rapporto con Pechino. Ciò fu reso evidente anche dal fatto che il Cremlino non affrontò più pubblicamente la questione dell’unificazione delle due Coree ed operò un tutt’altro che cosmetico riavvicinamento nei confronti di Pyongyang[1].
Tale trend fu nuovamente invertito a partire dalla seconda metà degli anni Duemila e del resto il valore totale dell’interscambio commerciale tra Mosca e Seoul nel periodo compreso tra il 1992 ed il 2007 era cresciuto significativamente passando da meno di un miliardo a 15 miliardi di $.
Proprio per questi motivi, nel 2008 la Federazione Russa e la Corea del Sud annunciarono l’intenzione di elevare la loro partnership a livello strategico, cosa che avrebbe implicato giocoforza un approfondimento delle relazioni commerciali. Il fatto poi che il Cremlino avesse in animo di favorire lo sviluppo economico dei distretti dell’Estremo Oriente russo non poté che portare ad un ulteriore miglioramento dei rapporti.
Del resto le economie dei due Paesi sono complementari e se da un lato Seoul è attratta dalle ingenti risorse energetiche e dalle possibilità di accesso che la Russia offre rispetto alle varie nazioni dell’Eurasia, Mosca non aveva la minima intenzione di lasciarsi sfuggire la partnership con la quindicesima economia a livello globale[2].
Il vero cambio di marcia nel rapporto tra la Federazione Russa e la Corea del Sud si ebbe nel corso del terzo Eastern Economic Forum tenutosi nel settembre del 2017 a Vladivostok. Durante il summit, il Presidente Moon Jae-in annunciò l’implementazione del progetto noto come New Northern Policy. Gli obiettivi di tale politica erano essenzialmente due, ovvero l’espansione della cooperazione economica con i Paesi dell’Eurasia, ed in particolare con la Russia, ed un alleggerimento delle tensioni nella Penisola Coreana raggiungibile soltanto attraverso i reciproci vantaggi della collaborazione in campo commerciale.
Riguardo al Cremlino, il sodalizio sarebbe stato cementato tramite l’implementazione dei cosiddetti “Nine Bridges”. Il governo di Seoul era intenzionato ad avviare progetti cooperativi in nove differenti ambiti.
Il primo “ponte” che Moon Jae-in era interessato a sviluppare era quello relativo al gas naturale, sebbene in questo particolare settore la collaborazione tra Mosca e la Corea del Sud fosse già tradizionalmente rilevante.
L’obiettivo della Casa Blu era quello di diversificare i propri approvvigionamenti facendo affidamento sulle importazioni di LNG russo. Rispetto al gas naturale liquido, infatti, era già in vigore un accordo risalente al 2005, ma i contenziosi internazionali con l’Australia avevano determinato un cambio di rotta nella politica di Seoul. Inoltre il governo sudcoreano sperava di poter avviare la costruzione di una pipeline in grado di collegare la rete di gasdotti del Paese con quella siberiana. Il tracciato delle tubature avrebbe dovuto attraversare anche il territorio della Corea del Nord, la quale avrebbe dunque beneficiato a sua volta del progetto. Il costo totale dell’operazione si aggirerebbe sui 2,5 miliardi di dollari e secondo i tecnici di Gazprom non sarebbe difficile da realizzare. L’unico freno alle ambizioni di Seoul risiederebbe nel regime sanzionatorio imposto nei confronti di Pyongyang, visto che esso limiterebbe la libertà di manovra dei due Paesi rispetto alla partecipazione della Corea del Nord.
Un altro “ponte” piuttosto rilevante è quello legato all’implementazione del progetto ferroviario Trans-Coreano. Secondo le intenzioni di Moon Jae-in l’infrastruttura potrebbe essere collegata alla Transiberiana della Federazione Russa. I tecnici di Seoul hanno già dato avvio agli studi sulle condizioni della rete ferrata nordcoreana ma il progetto sembrerebbe essere realizzabile soltanto in una prospettiva di lungo periodo. Sempre dal punto di vista ferroviario, la Casa Blu avrebbe mostrato l’intenzione di essere integrata nel collegamento denominato Khasan-Raijin. A partire dal 2013, infatti, i governi di Mosca e Pyongyang si sono accordati per costruire un tratto di strada ferrata che potesse mettere in comunicazione la città russa di Khasan con il porto nordcoreano di Raijin. Poiché tale progetto è stato escluso dall’impianto sanzionatorio, non sarebbe difficile portare a termine i lavori nel medio periodo[3].
Il terzo “ponte” riguarda l’intenzione sudcoreana di finanziare progetti volti a sviluppare i porti dell’Estremo Oriente russo. Le attenzioni di Seoul si sarebbero inizialmente orientate su quello di Zarubino ma, a causa della competizione cinese, appare più facile pensare che gli investimenti della Corea del Sud saranno maggiormente concentrati sul porto di Slavjanka. Ad oggi, il capitale proveniente dal paese asiatico avrebbe finanziato ben 11 progetti nella regione, per un investimento totale di 123 milioni di dollari. Particolarmente importanti sembrerebbero i piani per lo sviluppo degli International Transport Corridors di Primorje-1 e Primorje-2.
Il quarto “ponte” fa riferimento allo sviluppo delle rotte artiche. In questo caso non si tratterebbe tanto della necessità di costruire infrastrutture lungo la Northern Sea Route quanto piuttosto della possibile collaborazione nella costruzione di navi cosiddette gasiere. Nel 2019 la controllata di Rostec, Zvezda Shipbuilding, e la coreana Samsung Heavy Industries annunciarono la firma di un accordo in questo ambito. L’impresa di Seoul si sarebbe occupata degli aspetti tecnico-ingegneristici della costruzione, mentre quella russa avrebbe fornito gli impianti e la manodopera. Questo particolare “ponte” si ricollega in modo piuttosto intuitivo a quello legato alla costruzione di gasiere rompighiaccio intese a sviluppare ulteriormente il progetto artico russo noto come LNG-2.
Il sesto “ponte” riguarda invece la cosiddetta “Asian Super Grid”, ovvero l’idea di creare un unico network per la trasmissione di energia elettrica in tutta l’area Asia-Pacifico. La cosa maggiormente interessante del progetto è l’intenzione di impiegare fonti rinnovabili, grazie in particolare alla partecipazione della Mongolia, Paese molto ventoso e soleggiato. A tal proposito, le autorità di Mosca si sono espresse diverse volte a favore della possibilità di integrare entrambe le Coree nell’ “Asian Super Grid”, che già vede la partecipazione di Cina, Giappone e, appunto, Russia e Mongolia.
Il settimo “ponte” fa riferimento a tutte le attività legate alla pesca. Diversi investitori della Corea del Sud si erano dimostrati interessati al finanziamento di impianti per la lavorazione e la conservazione del pescato a Vladivostok ma il progetto è stato rallentato enormemente dalle incertezze degli interlocutori russi e dalle carenze della flotta di Mosca.
L’ottavo “ponte” proposto da Moon Jae-in è relativo alla cooperazione tra le parti in ambito agricolo. I due Paesi hanno avviato progetti congiunti nella regione di Primorje con l’obiettivo di migliorare la resa dei terreni. Per questo è stata prospettata la costruzione di un impianto per la produzione di fertilizzanti del valore di cinque miliardi di dollari nella zona di Kozmino. Del resto, anche in questo settore le economie dei due Paesi sembrerebbero complementari, considerando che la Federazione Russa è ricchissima di terreni e la Corea del Sud ha necessità di importare prodotti agricoli (in particolare la soia).
Infine, il nono “ponte” riguarda la costruzione di un complesso industriale nella regione di Primorje. Il progetto non sembra essere definito in quanto vi sono poche informazioni in merito. I lavori sarebbero gestiti dalla ditta sudcoreana Korea Land and Housing Corp e dovrebbero interessare un’area di 150 ettari a 15 km di distanza dall’aeroporto di Vladivostok. Per portare a termine la costruzione verrebbe inoltre impiegata anche manodopera nordcoreana.
La New Northern Policy di Moon Jae-in, sebbene decisamente ambiziosa nelle intenzioni, non ha ancora raggiunto i risultati sperati. Dopo quasi quattro anni, molto ancora rimane da fare ed i progetti interessati procedono a rilento. Chiaramente l’impatto del Covid-19 si è fatto sentire anche rispetto alle relazioni commerciali esistenti tra Mosca e Seoul ma la stagnazione delle attività relative ai “Nine Bridges” sembra avere radici differenti rispetto alla diffusione del virus. La Corea del Sud, dopotutto, rimane un alleato degli Stati Uniti e, nonostante non abbia aderito al duro regime sanzionatorio imposto alla Russia dopo l’annessione della Crimea, è indubbio che l’embargo abbia creato alcuni problemi. In aggiunta, gli imprenditori sudcoreani non sembrano essere particolarmente fiduciosi nel funzionamento del sistema economico russo, che ai loro occhi presenta regole non chiare. Inoltre anche l’isolamento internazionale e le pesantissime sanzioni di cui è vittima la Corea del Nord, in questo caso e per ovvie ragioni impostegli anche da Seoul, non possono che rallentare l’implementazione dei diversi progetti, considerando l’importanza rivestita da Pyongyang per alcuni di essi. Questi ostacoli sembrano, almeno per il momento, difficilmente aggirabili ma è altrettanto difficile immaginare che il Cremlino e la Casa Blu rinuncino alle possibilità reciprocamente offerte da una partnership approfondita, soprattutto considerando la necessità russa di sviluppare l’Estremo Oriente del Paese.
Bibliografia
[1] E. Shiraev, K Khudoley, Russian Foreign Policy, Londra, Red Globe Press, 2019.
[2] A. V. Rinna, Moscow’s “turn to the East” and challenges to Russia–South Korea economic collaboration under the New Northern Policy, in “Journal of Eurasian Studies”, 10:2, New York, SAGE, 2019. DOI: https://doi.org/10.1177/1879366519851984
[3] J. M. Pepe, The Eastern Polygon of the Trans-Siberian rail line: a critical factor for assessing Russia’s strategy toward Eurasia and the Asia-Pacific, in “Asia Europe Journal”, 18, Berlino-Heidelberg, 2020. DOI: https://doi.org/10.1007/s10308-019-00543-5