Il decreto presidenziale del 9 maggio potrebbe avvicinare la Bielorussia all’agognata riforma costituzionale, promessa da Lukashenko da ben prima dell’avvio delle proteste dello scorso agosto. Eppure il provvedimento sembra favorire una conservazione del potere, forse in linea con la transizione “morbida” già scelta dal Kazakistan di Nazarbayev.
A seguito delle proteste iniziate nell’agosto del 2020, il presidente bielorusso Lukashenko ha promesso una riforma della costituzione che avrebbe rivisto i suoi poteri in favore del Parlamento e di altre istituzioni. Promesse che vengono periodicamente ribadite, anche con la costituzione di appositi gruppi di lavoro.
Dopo quasi un anno nessun mutamento dell’attuale quadro istituzionale è stato deciso, ma l’annuncio (il 24 aprile) di un nuovo decreto presidenziale (ukaz) ha smosso le acque. Il provvedimento, approvato definitivamente il 9 maggio, è una risposta alla presunta trama per assassinare Lukashenko e prevede una procedura di successione nel caso in cui il presidente venga ucciso. In una tale evenienza, i poteri presidenziali verrebbero trasferiti al Consiglio di Sicurezza Nazionale (CSN), con immediata dichiarazione dello stato d’emergenza e mobilitazione dell’esercito.
Questa misura dà un’idea dell’indirizzo preso dalla Bielorussia. In virtù della composizione del CSN, nel breve e medio termine viene consolidato il ruolo delle gerarchie militari, e nel lungo periodo (salvo futuri mutamenti) quello delle forze che vorrebbero la definitiva integrazione del Paese nella Federazione Russa.
Il primo atto di una transizione a lungo annunciata
Lukashenko parla di riforme e di una sua successione da ben prima delle proteste. Con gli eventi di agosto l’eventualità, vista anche la pressione in tal senso di Mosca, sembrava più concreta, ma fino ad ora niente è stato fatto. La repressione è stata affiancata da aperture più simboliche che reali. L’incontro di ottobre tra Lukashenko e i prigionieri politici non si è risolto in nulla, e il Congresso del Popolo Bielorusso tenuto tra l’11 e il 12 febbraio ha visto l’opposizione di fatto esclusa: l’evento si confermava un trionfo del presidente, con l’esibizione di grandi sacche di consenso in suo favore. L’unico rappresentante dell’opposizione presente, Anna Konopatskaya, l’ha definito “un incontro dei vincitori”. Al Congresso Lukashenko ha affermato che avrebbe trasferito il proprio potere una volta data alla Bielorussia una nuova costituzione, garantendo che ciò sarebbe avvenuto alla fine dell’anno. Se e in quale forma la costituzione muterà il quadro istituzionale si vedrà, di certo il Congresso ha confermato la stabilizzazione del potere di Lukashenko.
Un primo cambiamento è arrivato col decreto presidenziale del 9 maggio. L’ukaz chiarisce una volta per tutte cosa succederebbe se Lukashenko venisse ucciso, riconoscendo un certo potere a precisi attori istituzionali. E lascia intendere un diverso corso rispetto alla devolution di potere al Parlamento, almeno nel breve termine. Il decreto prevede infatti che il potere passi direttamente al CSN, bypassando ogni istituzione rappresentativa. Il Consiglio sarebbe sì presieduto dal primo ministro, ma le decisioni verrebbero prese collegialmente con voto segreto.
Composizione e ruolo del CSN
Il Consiglio di Sicurezza Nazionale non è un organo nuovo, ma è previsto dall’articolo 84 della costituzione bielorussa – secondo il quale il presidente lo costituisce e lo presiede. Come si evince dal suo nome, il Consiglio coordina e organizza le attività relative alla sicurezza del Paese. Ci sono membri fissi e membri nominati ad hoc dal presidente. Nella prima categoria si trovano il primo ministro, i presidenti delle due camere del Parlamento, il capo dell’amministrazione presidenziale e il segretario di Stato per la sicurezza nazionale. A questi bisogna aggiungere i ministri della Difesa, degli Interni, degli Esteri, delle Finanze ed altre cariche minori legate alla sicurezza.
Prende rilievo il fatto che il 1° marzo il primogenito di Lukashenko, Viktor, dopo aver assunto la presidenza del Comitato Olimpico Bielorusso, sia stato “licenziato” dalla carica di Consigliere presidenziale per la Sicurezza e, contrariamente a quanto riportato da alcuni titoli, non figuri più tra i membri del CSN. Una decisione che oggi allontana lo spettro di una successione familiare.
Il potere nelle mani del CSN e la sua gestione collegiale permettono di risolvere contemporaneamente due importanti questioni. Da una parte si evita che un altro individuo finisca per godere di ampi poteri presidenziali, dall’altra si fa in modo che si rivesta di legittimità politica un organo che, in virtù della sua composizione, già possiede le leve del potere, ossia i massimi gradi delle forze armate, delle forze dell’ordine e dei servizi segreti – e dunque possa far fronte ad una possibile situazione di instabilità politica. Ne consegue inoltre che questa successione garantirebbe il potere attraverso tali strumenti dell’ordine costituito, allontanando i timori di una prossima annessione da parte di Mosca.
La Bielorussia nel breve e nel lungo termine
Il decreto è stato firmato dopo la scoperta, il 17 aprile, della presunta trama per assassinare Lukashenko. Sebbene sia improbabile che il presidente venga assassinato, l’ukaz dà un’idea dei rapporti di forza nelle istituzioni in questo momento. Il CSN include rappresentanti di istituzioni civili, ma la contemporanea dichiarazione dello stato di emergenza e l’assenza di poteri effettivi da parte del Parlamento lasciano intendere che la transizione sarebbe gestita dalle gerarchie militari. Si tratta di un riconoscimento importante per le forze armate, che hanno ora, per la prima volta – anche se in forma ipotetica – una parte riconosciuta nella vita politica del Paese.
Già a febbraio, Artem Shraibman scriveva che Lukashenko pianificasse una transizione nello stile “kazako”. Uno scenario possibile, qualora Lukashenko dovesse riformare il CSN prevedendone l’appartenenza d’ufficio per gli ex presidenti. Sarà importante seguirne la composizione e l’evoluzione.
Nel lungo termine potrebbero trarne vantaggio le forze filorusse. L’esercito bielorusso e il suo corpo ufficiali sono tendenzialmente filorussi per via della loro educazione militare. Il 6 marzo un partito pro-Mosca, dall’evocativo nome Soyuz (“Unione”), ha tenuto il suo congresso fondativo a Minsk. In una società in maggioranza ancora filorussa, dominata dai media moscoviti e con un’economia che finirà per dipendere ancora di più dalla Federazione (unica linea di credito per la Bielorussia di Lukashenko), l’indirizzo preso dall’eterno presidente sembra favorire la militarizzazione del regime. E nel lungo termine le forze filorusse, che fin da ora cominciano a organizzare il proprio consenso.
German Carboni