A marzo il Brasile ha bloccato l’importazione del vaccino Sputnik V. Scelta particolarmente criticata dai produttori del farmaco, che vi hanno intravisto lo zampino degli Stati Uniti. La grande strategia russa della diplomazia dei vaccini sembra dunque incontrare i primi ostacoli, dovendo ora fare i conti con un Occidente che non guarda più solo al suo interno.
Jair Bolsonaro si è commosso quando, durante un vertice virtuale del gruppo BRICS lo scorso novembre, Vladimir Putin lo ha elogiato, dipingendolo come un esempio di “coraggio” per essere sopravvissuto al virus e per la sua gestione della pandemia. I due capi di Stato negli ultimi mesi si sono avvicinati gradualmente, tanto che il Brasile, una volta che il suo leader ha riconosciuto la gravità della pandemia, è stato uno dei primi Paesi ad annunciare di voler importare milioni di dosi di Sputnik V per far fronte ad essa.
La relazione è decollata dopo due anni in cui Bolsonaro ha corteggiato un altro collega del suo stesso stampo: Donald Trump. I due, che hanno conquistato le loro cariche attraverso una narrativa nazionalista e populista molto simile, hanno sempre ostentato forti legami. Il presidente brasiliano si è infatti più volte dichiarato ammiratore della controparte americana e ha dimostrato la sua fedeltà a Washington avviando politiche non sempre in linea con gli interessi del proprio Paese. Criticando, ad esempio, potenze come la Cina, con cui Brasilia vanta ottimi legami commerciali.
Questo rapporto, apparentemente marmoreo, non ha tuttavia sciolto ogni paura degli Stati Uniti nei confronti della crescente presenza di Mosca, che cerca di attirare il Paese sudamericano nella sua zona di influenza. Il legame tra Bolsonaro e Trump si è dimostrato dunque vacillante. Non a caso, tra settembre e ottobre 2020, diverse compagnie hanno iniziato a prendere accordi con il Russian Direct Investment Fund per produrre Sputnik V nel Paese.
L’incantesimo si è poi spezzato completamente con la mancata rielezione del presidente repubblicano. Biden durante la campagna elettorale aveva criticato fortemente l’amministrazione Bolsonaro per la deforestazione dell’Amazzonia, rendendo ancora più fragili i rapporti con Brasilia. Ciononostante, questo riallineamento delle alleanze non è solo il risultato dei più recenti eventi. Negli ultimi anni le attività russe nella regione sono aumentate, come parte di una più ampia strategia globale di Mosca che vuole erodere i rapporti tra gli Stati Uniti e i suoi vicini.
La strategia russa in America Latina
Sin dal ritorno di Putin come presidente della Federazione russa nel 2012, Mosca ha allargato gli orizzonti della sua politica estera. Il mancato avvicinamento all’Occidente e le rivoluzioni colorate considerate come interferenze nel suo vicinato hanno spinto il Cremlino ad adottare una strategia globale in contrasto con il sistema liberale unipolare vigente.
In risposta all’operato occidentale, la Russia ha iniziato a interessarsi in misura sempre maggiore al giardino di casa statunitense, nonostante la distanza geografica e le risorse limitate. In altre parole, il Cremlino ha visto nel deterioramento delle relazioni tra Washington e molti dei suoi vicini un’opportunità per erodere l’egemonia della grande potenza. Per questo motivo ha promosso numerose iniziative in campo economico e militare: vendita di armi, accordi energetici, aumento del commercio e investimenti nella regione.
Cosciente che il suo spazio di manovra in questi settori è limitato a causa della presenza americana e incrementalmente di quella cinese, Mosca ha modellato la sua strategia sul rafforzamento delle relazioni in ambito politico. Essa ha infatti avviato una tattica multilaterale e multilivello.
Il Cremlino sta promuovendo numerosi incontri con le leadership di diversi Paesi, sia a livello bilaterale che nel contesto di organizzazioni internazionali, ad esempio con il Brasile in ambito BRICS. In aggiunta, sta cercando di plasmare l’opinione pubblica sfruttando il crescente accesso da parte della popolazione a Internet e ai social media per espandere le sue piattaforme di propaganda. Nel 2018, in particolar modo, anno di elezioni in diversi Paesi della regione, Mosca ha sostenuto le campagne dei candidati antiamericani aperti al dialogo con il Cremlino.
Nuove alleanze, ma solo per poco
Fiera del suo primato nella produzione di un vaccino contro il coronavirus, Mosca ha fin da subito individuato nella vendita del farmaco uno strumento centrale per la strategia globale russa. Prima ancora di assicurare la completa distribuzione nei propri territori, la Federazione ha iniziato a prendere accordi di esportazione in numerosi Paesi.
La volontà di Brasilia di importare Sputnik V, come passo verso il consolidamento dei rapporti con Mosca, ha spaventato sia l’amministrazione statunitense uscente che quella entrante. La Casa Bianca si è dunque svegliata dal suo torpore e si è attivata per contenere l’afflusso dei farmaci russi in America Latina. A fine aprile Anvisa, l’Agenzia Nazionale di Vigilanza Sanitaria, ha annunciato che Brasilia non avrebbe accettato il vaccino russo, nonostante poche settimane prima Bolsonaro avesse rinnovato il proprio interesse per l’acquisto e la produzione interna del farmaco. L’ente ha infatti espresso preoccupazione per la mancanza del controllo qualità e dei dati sull’efficacia del vaccino. Esso ha inoltre accusato l’Istituo Gamaleya, produttore del farmaco, di aver impedito all’organo di ispezione brasiliano di accedere alle sue strutture.
I produttori del vaccino, per tutta risposta, hanno accusato Anvisa di aver bloccato le importazioni del farmaco per motivi politici e non legati all’accesso alle informazioni o alla scienza. A riprova di questo, hanno ripreso un passaggio di un rapporto pubblicato a gennaio dal Dipartimento della salute e dei servizi umani statunitense in cui il governo ha ammesso di aver cercato di prevenire l’acquisto del vaccino russo da parte del Brasile.
Non sono molti gli elementi di continuità tra l’amministrazione Trump e quella Biden, ma senz’altro la necessità di contenere l’espansione russa è uno di essi. Resisi conto di essere in ritardo nella più ampia partita della diplomazia dei vaccini, gli Usa sono passati dalla difesa all’attacco. Una settimana dopo le dichiarazioni di Anvisa, Biden ha sostenuto la proposta in seno al WTO di sospendere i brevetti sui vaccini, accompagnata dall’annuncio della rinnovata volontà di finanziare la donazione di milioni di vaccini all’estero. Tra i beneficiari si è parlato anche di Brasilia.
Mosca, che i primi mesi dell’anno aveva visto la propria politica estera globale prendere slancio grazie alla massiccia esportazione dello Sputnik, ha ben presto dovuto fare i conti con l’entrata in gioco delle altre grandi potenze. Assicurata la quantità di dosi necessarie per far ripartire il proprio sistema, gli Usa stanno scendendo in campo per riaffermare la propria figura di egemone. Grazie ai suoi rapporti diplomatici, Washington sta dimostrando di esercitare ancora un ruolo preponderante nella regione, mettendo il bastone fra le ruote al Cremlino.
Ad ogni modo, la partita è ancora in corso. Resta da vedere in che modo Mosca giocherà la prossima mano.