Odessa è forse oggi il centro con più contraddizioni in Ucraina, come testimoniano i fatti del 2014 e le interpretazioni che ad essi sono state date dai suoi cittadini. Senza un’attiva volontà di riconciliazione le due anime della città saranno sempre più distanti. E vicine a un conflitto senza ritorno.
Odessa è una delle perle del Mar Nero con le sue particolarità, le sue attrazioni e la sua architettura zarista. Questa è almeno l’impressione che suscita a uno straniero privo di familiarità con la storia russa, sovietica e post-sovietica. Sono stati molti gli eventi che, sin dalla rivoluzione di Euromaidan, hanno contribuito a dipingere la città come un centro sull’orlo della violenza. Il picco è stato raggiunto con gli scontri del 2 maggio 2014 tra i residenti filorussi, favorevoli alla creazione della Repubblica Popolare di Odessa, e i filoucraini, nazionalisti locali mobilitati in difesa dell’integrità territoriale di Kiev. Un breve excursus storico faciliterà ulteriormente la comprensione dell’attuale situazione sociopolitica della città.
Sin dalla sua fondazione ufficiale da parte della zarina Caterina la Grande, la situazione demografica di Odessa è mutata continuamente. Le massicce migrazioni di cosacchi nella Nuova Russia (Novorossija), area a nord del Mar Nero conquistata dall’impero zarista nel XVIII secolo, stabilirono una nuova identità regionale per i secoli a venire. Identità fino ad oggi sfruttata come carta vincente dall’élite politica russa, in particolare da Vladimir Putin. Ad ogni modo, i cambiamenti non cessarono con il crollo dell’Impero nel 1917. Sotto Stalin, l’Unione Sovietica continuò la guerra demografica contro le aree a maggioranza ucraina. Negli anni Trenta, temendo il crescente nazionalismo radicato tra i contadini locali, considerato una minaccia per l’unità dell’URSS, Stalin iniziò il processo di dekulakizzazione per contrastare tali sentimenti principalmente nelle regioni a sud-est del Paese.
La Grande Carestia (Holodomor), ritenuta dagli odierni studiosi, storici e funzionari governativi ucraini un atto deliberato che causò circa sette milioni di morti tra il 1932 e il 1933, fu una conseguenza di queste politiche antinazionaliste. I contadini autoctoni sopravvissuti furono sottoposti a ulteriori repressioni e deportazioni in Siberia, in conformità con i decreti di Stalin. Successivamente si verificò un’ulteriore ondata di migrazione russa verso le terre abbandonate dagli ucraini. Famiglie di etnia russa si spostarono nelle grandi città industriali, come Donetsk e Lugansk, per lavorare nelle miniere locali, o nelle città costiere del Mar Nero come Odessa. Conseguentemente, dopo il crollo dell’URSS, il sud-est dell’Ucraina si trovò fortemente popolato da russi e ucraini di lingua russa. Secondo il censimento della popolazione del 2001, nel Paese i russi costituiscono il 17,3% della popolazione totale. Si stima inoltre che almeno un terzo degli ucraini sia russificato.
Le conseguenze di queste trasformazioni demografiche nella composizione etnica dei residenti di Odessa persistono. Sin dall’inizio della crisi del 2014 le autorità di Mosca, compreso il presidente Putin, hanno sostenuto la necessità di garantire la protezione dei connazionali e della popolazione russofona nel cosiddetto Estero Vicino. Una scelta rafforzata dai riferimenti a norme del diritto internazionale come, per esempio, la responsabilità di proteggere (R2P) e il diritto all’intervento umanitario.
Tuttavia, a Odessa scenari simili a quelli di Donetsk e Lugansk sono stati scongiurati. L’occupazione dell’edificio amministrativo nel campo di Kulikovo il 2 maggio 2014 si è conclusa con la morte di oltre 40 persone di etnia russa, bruciate vive all’interno dello stabile. Da allora, i familiari delle vittime si riuniscono annualmente sul luogo per commemorarne la memoria, affiancati da persone che, invece, celebrano gli eventi interpretandoli come una vittoria sulla minaccia separatista. Durante le commemorazioni, i familiari in lutto agitano palloncini neri. I “celebranti” invece palloncini rossi, per mostrare la propria identità politica.
La spaccatura ideologica a Odessa non si manifesta soltanto sul lato sociale, ma anche su quello politico. Gli esempi sono numerosi. Recentemente alcuni deputati del Consiglio Regionale della città hanno promosso un disegno di legge volto a innalzare un memoriale alle vittime di Kulikovo, una decisione accolta tra numerose critiche dai residenti filoucraini e dai veterani dell’Operazione Antiterrorismo (ATO). Questi hanno marciato contro il Consiglio lo scorso 6 aprile, esigendo spiegazioni su tale scelta. La protesta si è svolta sotto lo slogan СТОПРЕВАНШ (stop alla vendetta), dato che i manifestanti hanno interpretato tale decisione come un’azione di rappresaglia pianificata intenzionalmente in risposta agli eventi del 2014. Un altro caso eloquente è stato la denigrazione da parte di rappresentanze filorusse del memoriale dedicato agli ucraini caduti nel Donbass. Il monumento, situato a ridosso dell’Amministrazione Regionale di Odessa, è stato ripetutamente vandalizzato e coperto con escrementi umani, atto che ha scatenato la rabbia dei residenti filoucraini e dei veterani dell’ATO.
La spaccatura ideologica si manifesta anche in contesti inaspettati di vita quotidiana. Nell’aprile di quest’anno, alcuni giornali locali di Odessa hanno gridato allo scandalo a seguito dell’apertura del ristorante Rebernja (costolette), rinomata catena con sede a Leopoli, nell’Ucraina occidentale. A suscitare sdegno negli odessiti è stata principalmente la presenza di due immagini nel locale: la prima raffigurante Caterina la Grande intenta a fare autostop con due valigie e un cartello in mano con su scritto Rostov, città della Russia meridionale; la seconda dedicata al duca di Richelieu, ministro di Caterina e primo governatore di Odessa (1803-1814), rappresentato con una valigia e accompagnato dalla scritta ponaichalo, espressione gergale dispregiativa utilizzata contro gli immigrati, da tradurre liberamente con “che ci siete venuti a fare qui”. Il linguaggio visivo è chiaro: Caterina e Richelieu sono immigrati indesiderati a Odessa e il loro posto è in Russia. Dopo soltanto due settimane dall’apertura del ristorante, le due immagini sono state rimosse. Una breve conversazione con il direttore del locale ha chiarito che la loro mancata rimozione non avrebbe soltanto condotto al boicottaggio del ristorante, richiesto a gran voce dagli odessiti, ma avrebbe anche influito pericolosamente sull’incolumità del personale regolarmente soggetto a minacce di morte, ragione per cui i proprietari hanno fatto ricorso a un’agenzia di sicurezza privata.
La risposta dei veterani ATO non si è fatta attendere: ben presto l’associazione Veteran Hub ha organizzato un seminario sulla storia di Odessa, che ha visto la partecipazione di numerosi studiosi. Da notare che sia i relatori che i partecipanti (essenzialmente membri della succitata associazione) sono stati collocati all’esterno del ristorante (nonostante il cibo fosse stato offerto dallo stesso), e che, nonostante gli interventi fossero al microfono, l’audio era talmente basso da impedirne un ascolto scorrevole, cosa che non ha comunque evitato che alcuni passanti di cogliessero l’occasione di inveire contro i partecipanti.
Uno degli organizzatori, quando intervistato, ha dichiarato che l’evento era da intendersi come una risposta alle dichiarazioni di alcuni rappresentanti locali del mondo russo che generalmente tendono a omettere verità storiche sulla città di Odessa, il cui passato si estende oltre i duecento anni. Tali rappresentanti vorrebbero infatti instillare negli odessiti il mito della fondazione della città da parte di Caterina. Si tratterebbe, sempre secondo quanto dichiarato dai membri di Veteran Hub, di una percezione altamente fuorviante, trasmessa costantemente da un Paese aggressore (la Russia) che vuole alterare la realtà – dato che la prima menzione di Odessa risale al 1415, quando il centro abitato era un importante porto polacco chiamato Hajibey.
Queste due contraddittorie narrazioni storiche contribuiscono ad ampliare la spaccatura ideologica ben sedimentata nel tessuto sociale della città. La situazione, sin dal 2014, rimane tesa e il rischio che si ripetano atti di violenza simili a quelli di Kulikovo non è del tutto da escludere – considerata anche la mancanza di gesti di riconciliazione tra le parti in conflitto, nonché l’assenza di misure giudiziarie volte a fare luce sulle dinamiche degli eventi.
I forti sentimenti filorussi creano terreno fertile per Mosca, sempre più interessata a soddisfare le proprie ambizioni in questa regione dell’Ucraina meridionale. Un territorio geopoliticamente determinante in quanto via di collegamento tra il Donbass, la Crimea e la Transnistria dove – si ricorda – è stanziato un consistente contingente militare russo. I rapporti tra questi due campi opposti, aventi convinzioni politiche e ideologiche contrastanti, possono dunque innescare in qualsiasi momento una reazione a catena e degenerare in un conflitto senza alcuna via di ritorno.
di Laura Pennisi