Kazakistan e Uzbekistan sono indubbiamente le repubbliche più stabili in Asia Centrale. Una serie di fattori, tra cui la rinnovata apertura economica di Tashkent e il desiderio condiviso di attrarre investimenti stranieri, hanno spinto i due Paesi ad intensificare i rapporti bilaterali. Ma dopo cinque anni i progetti concreti restano pochi.
Il potenziale del rapporto
Negli ultimi cinque anni è stato osservato in Asia Centrale un aumento nelle relazioni bilaterali tra Kazakistan e Uzbekistan. Un rapporto che segnerebbe una pietra miliare, da molti interpretato come il primo passo per raggiungere stabilità e cooperazione nella regione. Il potenziale non manca: Uzbekistan e Kazakistan sono sicuramente i Paesi trainanti da un punto di vista economico e politico nell’area, nonostante siano ancora estremamente diversi tra loro.
Il Kazakistan rimane indubbiamente il fulcro degli interessi mondiali nella zona. Lo dimostra il suo PIL, il più alto tra gli -stan (181 miliardi USD contro i 57 dell’Uzbekistan) e le sue relazioni estere ben più solide dei vicini, come dimostra il volume del fatturato commerciale con varie potenze mondiali (Russia e Germania in primis). L’Uzbekistan segue a ruota, compensando il PIL più piccolo con una maggior crescita nella popolazione. Li accomuna una rinnovata apertura al commercio estero, concentrata soprattutto sull’industria del gas, del petrolio e del turismo e la conseguente voglia di attrarne di più. Sono 2330 i chilometri di confine, stabilizzati alla fine di una discussione durata dal 1991 al 2002, a unire i principali protagonisti della scena economica centroasiatica.
Se da una parte le relazioni bilaterali possono essere considerate fiorenti (soprattutto se paragonate ai rapporti tesi dell’Uzbekistan con Tagikistan e Kirghizistan, o agli altalenanti kazako-kirghisi), bisogna pur dire che questo è un traguardo piuttosto recente. Dai primi anni Duemila, infatti, la visione generale è quella di un Kazakistan forte che ricerca il dialogo coi vicini, con l’idea di porsi alla guida della regione. Dall’altro lato si sviluppa l’Uzbekistan di Karimov, chiuso economicamente e diplomaticamente, attento a ridurre qualsiasi minaccia di rivoluzioni e sollevamenti. Paura non del tutto infondata – vista l’influenza e l’effetto domino che le varie rivoluzioni nelle ex repubbliche sovietiche hanno sempre causato – ma che in questo caso ha ritardato enormemente l’entrata in scena dell’Uzbekistan nei dialoghi semi-regionali, come ad esempio l’uscita dal CSTO nel 2012.
Nazarbayev invece, nonostante sia sempre espresso in modo neutrale (se non pacifico) nei riguardi dell’Uzbekistan, nei fatti ha sempre messo al primo posto la sicurezza e la stabilità kazaka. Questo perché ha principalmente posto aspettative più alte nelle proposte russe e in generale in tutti i progetti che venivano introdotti in Kazakistan da imprenditori stranieri. Fino al 2017 per il Kazakistan allontanarsi dagli “-stan” e da tutte le cattive associazioni che ne derivavano sembrava essere una ragione sufficiente per tollerare costose strategie di sostituzione delle importazioni per i beni mancanti. L’autoesclusione dalle vicende regionali raggiunge l’apice nel 2006, quando Nazarbayev costruisce una barriera di rete, filo spinato e torrette di guardia per impedire l’attraversamento del confine dal nordest dell’Uzbekistan. Un modo per provare ad arginare una delle più popolari rotte del traffico di droga, che tuttora partendo dall’Afghanistan giunge fino in Russia attraversando il cuore dell’Asia Centrale.
La svolta del 2017
Un miglioramento nei rapporti si ha solamente nel 2017, con il nuovo presidente uzbeko Mirziyoyev e le sue aperte dichiarazioni in favore di un riavvicinamento coi kazaki. Scopo, quello di sostenere la liberalizzazione dell’economia nazionale dopo la morte di Karimov. All’inizio si trattò di azioni simboliche e diplomatiche, come l’apertura dell’anno del Kazakistan in Uzbekistan nel 2018. Ciononostante, hanno influito positivamente sul fatturato commerciale tra i due Paesi, che già nel 2017 aumenta addirittura del 30%.
Se questo dialogo è iniziato quindi con la morte del presidente uzbeko Islam Karimov, conosciuto per la sua propensione a isolare il Paese di fronte a qualsiasi possibile minaccia, non sorprende che dopo l’abdicazione del padre della Patria kazako, Nazarbayev, esso sia continuato. Infatti, il successore del primo presidente kazako – Tokaev – è stato accuratamente scelto da quest’ultimo affinché continuasse a rispettare la linea che il Kazakistan aveva assunto nell’ultimo decennio, non tralasciando quindi i piani interregionali per il futuro.
Dalla teoria alla pratica
Dopo quattro anni però le attività di cooperazione concrete rimangono ancora poche, anche se le parole “amicizia”, “fratellanza”, “buon vicinato” restano il leitmotiv di qualsiasi dichiarazione ufficiale dopo incontri bilaterali e conferenze. Il potenziale sarebbe però grande, visto e considerato che spesso le necessità dei due Paesi sono complementari: un esempio è la mancanza di forza lavoro nell’agricoltura kazaka, quando in Uzbekistan la popolazione nelle poche zone agricole fertili stenta a trovare occupazione. Nonostante le apparenti mutevoli necessità, l’immigrazione uzbeka in Kazakistan interessa il 7,8% della popolazione. Non si può certo parlare di diaspora, soprattutto se si considera la tradizionale preferenza uzbeka verso la Russia o, in misura molto minore, Europa e Stati Uniti.
Uno dei progetti più recenti riguarda la ferrovia che dovrebbe connettere il Turkestan, e quindi Shymkent con Tashkent. Un tratto molto breve ma, ancora una volta, dal forte valore simbolico. L’idea sarebbe di suggellare un’unione turistica tra i due Paesi permettendo ai flussi di non incappare nelle tipiche difficoltà di trasporto in Asia Centrale. Lo stesso turismo domestico ne sarebbe avvantaggiato: Mamim – primo ministro kazako – stima un aumento del flusso del 22%, e al contempo la creazione di circa 100mila posti di lavoro.
Se da un lato gli osservatori internazionali iniziano a notare una discrepanza tra le parole dette e i risultati finora ottenuti (come nel caso degli accordi di circa un miliardo di dollari millantati da Nazarbayev, che avrebbero dovuto avere luogo in questi anni ma di cui non c’è traccia), dall’altro gli investitori osservano positivamente questo fenomeno. In primis c’è l’Unione Europea: Federica Mogherini già nel 2019 affermava: “Le positive dinamiche regionali in Asia Centrale e una richiesta di una cooperazione più stretta con l’Unione Europea rappresentano un’opportunità significativa per una partnership più forte”. Senza contare la Cina, la quale da una collaborazione pacifica nell’area centro asiatica otterrebbe soltanto migliori connessioni e possibilità di investimento per l’espansione della Belt and Road.
Il panorama centroasiatico è noto per modificarsi velocemente e assumere forme e alleanze sempre nuove. Per ora quindi è impossibile predire quale sarà il vero impatto economico, sociale e politico di questa nuova “alleanza” kazako-uzbeka, ma di certo nel futuro sarà interessante osservarne diversi aspetti. In primis, come cambieranno i rapporti tra le due potenze regionali e quando e se la competizione economica andrà a sostituire di gran lunga la quella sulla sicurezza. Secondariamente, se i cambiamenti nell’interesse internazionale nella regione spingeranno Uzbekistan e Kazakistan ad ostacolarsi a vicenda anziché allearsi. Dopotutto, potenze straniere – storicamente la Russia e poi la Cina – sono sempre riuscite ad influenzare le relazioni interne alla regione, causando spesso reazioni distruttive in tutti i Paesi dell’Asia Centrale.