La vittoria nelle elezioni parlamentari consolida il potere di Nikol Pashinyan, primo ministro ad interim dell’Armenia. Svanita ogni possibile opposizione, per il primo ministro della piccola repubblica caucasica sussistono sfide in politica interna come sul fronte estero. Dalla crisi economica alla questione del Nagorno Karabakh, passando per la turbolenta opinione pubblica.
L’Armenia guarda avanti: la vittoria di Pashinyan
Nikol Pashinyan, primo ministro ad interim dell’Armenia, ha rivendicato la vittoria nelle elezioni parlamentari anticipate indette nel Paese. Il processo elettorale giunge in seguito a una fase piuttosto convulsa della vita politica della nazione, successiva alla disfatta nella guerra con l’Azerbaigian per il possesso del Nagorno Karabakh. L’affluenza alle urne si è attestata all’incirca sul 50%, su 2,6 milioni di persone aventi diritto al voto. “Il popolo armeno ha dato al mio partito il mandato per guidare il Paese, e a me personalmente il mandato di guidarlo come primo ministro”, ha riferito Pashinyan nella giornata di lunedì.
Sulla base dei risultati pubblicati dalla Commissione elettorale centrale armena, con il 100% dei 1.281.563 di voti contati, il 53,92% dell’elettorato ha votato per il “Partito del contratto civile” di Pashinyan. In seconda posizione l’”Alleanza Armenia”, guidata dall’ex presidente Robert Kocharian, che ha ottenuto il 21,04% dei voti. Molto indietro, in terza posizione, il blocco “Dignità” guidato da un altro degli ex presidenti dell’Armenia, Serzh Sarkissian, con il 5,23% e “Armenia Prospera”, partito liberale dall’uomo d’affari Gagik Tsarukyan, con il 3,96% dei voti.
I sondaggi avevano previsto una vittoria di misura del primo ministro ad interim e leader di quella “rivoluzione di velluto” che nel 2018 aveva costretto alle dimissioni il governo Sarkissian. Da allora, l’ex giornalista Pashinyan aveva promosso tentativi di riforme ambiziose ma l’esplosione nel 2020 del conflitto con l’Azerbaigian ha scompaginato le carte. Di fronte alla superiorità di Baku, Erevan, chinando il capo, è stata costretta a cedere terreno e accettare la presenza di truppe russe e turche nel territorio conteso. In seguito alla firma del cessate il fuoco il governo ha dovuto affrontare il malumore popolare espresso da proteste di piazza e rivolgimenti politici. Pashinyan ha descritto l’accordo come un disastro, affermando di essere stato costretto a firmarlo per evitare ulteriori perdite umane e territoriali.
La sfida dell’opposizione
Dopo che i risultati preliminari delle elezioni parlamentari di domenica sono stati resi pubblici, il principale partito dell’opposizione, guidato dall’ex presidente Robert Kocharian, ha annunciato che contesterà i risultati elettorali, citando casi di frode e intimidazioni diffuse. In un annuncio diffuso lunedì mattina, l’”Alleanza Armenia” ha espresso gratitudine nei confronti di coloro che l’hanno votata ma ha definito i risultati elettorali “altamente controversi”. Il partito ha affermato di avere motivi per considerare le elezioni “illegittime”, aggiungendo che i risultati non rispecchiano l’equilibrio delle forze nel Paese. Kocharian, comandante militare originario del Nagorno Karabakh e già primo ministro (1997-1998) e presidente (1998-2008), è ritornato in auge in seguito all’arresto del 2018. Accusato di voler “rovesciare l’ordine costituzionale dell’Armenia”, Kocharian, poi liberato, non ha esitato a descrivere le sue vicende giudiziarie come un tentativo di persecuzione da parte dell’attuale classe politica, rilanciandosi all’interno di una parte dell’opinione pubblica.
In ambito internazionale il Cremlino e l’Unione europea hanno invece accolto con favore il risultato elettorale. Anche il primo ministro georgiano ha espresso sentimenti simili. Un portavoce del presidente russo Vladimir Putin ha riferito che il Cremlino auspica che la scelta fatta dagli elettori armeni rappresenti uno stimolo per il Paese al fine di intraprendere un percorso di pacificazione e sviluppo. Il presidente del Consiglio d’Europa Charles Michel ha inviato le congratulazioni al primo ministro ad interim Nikol Pashinyan. L’equità del processo elettorale è stata confermata anche dagli osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che hanno parlato di un «clima elettorale competitivo» e di una «gestione soddisfacente».
Nell’occhio del ciclone: l’Armenia tra le grandi potenze
Piccola repubblica nella regione del Caucaso meridionale incuneata tra l’Iran, la Georgia, la Turchia e l’Azerbaigian, l’Armenia sta vivendo un periodo di tensione legato ai profondi mutamenti incorsi nello scacchiere geopolitico circostante. La sconfitta nella guerra con l’Azerbaigian, privando Erevan di ampie porzioni del Nagorno Karabakh, ha instillato nel Paese un senso di frustrazione stante la rilevanza della regione nell’identità e nella memoria dell’Armenia. Il Nagorno Karabakh ha cessato il suo ciclo di vita autonomo per trovarsi suddiviso tra contrastanti sfere di influenza.
Decisivo si è rivelato, sia per Baku che per Erevan, il supporto dei rispettivi sponsor internazionali. Da una parte la Turchia, legata all’Azerbaigian da una comunanza linguistica e identitaria ma anche dagli interessi turcofoni e geopolitici di Erdogan, dall’altra Mosca che ha nell’Armenia l’unico vero alleato (se non un vero e proprio cliente) in un Caucaso sempre meno “cortile di casa” nelle sue ambizioni di grande potenza. Con il Nagorno Karabakh pattugliato da soldati russi e turchi impegnati in missione di peacekeeping, il confine con la Turchia sigillato e la continua assertività delle dichiarazioni della leadership di Baku (l’Azerbaigian promuove una narrativa storica revisionista che accampa rivendicazioni persino nel territorio patrio armeno) la situazione di Erevan è di costante fragilità. Di contraltare il rafforzarsi del legame con la Russia potrebbe indebolire ulteriormente lo spazio di manovra armeno in politica internazionale.
Le sfide del nuovo governo
La pandemia, con la conseguente parziale chiusura dei confini, il forte impatto sul settore turistico e quello sul fragile sistema sanitario, continua a mettere a dura prova la tenuta del Paese. Le proteste di piazza, espressione del sentimento catartico di cordoglio nazionale e delusione in seguito al risultato del conflitto, l’”eterno ritorno” di figure politiche già sulla cresta dell’onda (Sarkissian e Kocharian) nonché la crescita dei movimenti ultranazionalisti, potrebbero mettere a dura prova il governo Pashinyan. Rispetto alla netta vittoria ottenuta nelle elezioni parlamentari del 2018, in cui Pashinyan ottenne il 70% dei voti sull’onda lunga della “rivoluzione di velluto” dello stesso anno, l’esito odierno – per quanto si tratti certamente di una chiara vittoria – mostra crescenti frange di dissenso.
Se al momento non sembrano apparire potenziali sfide al potere e alla persona del primo ministro, bisogna però notare che il leader del campo avverso, Kocharian, pare più orientato ad accreditarsi come realtà alternativa e in tal modo federare la divisa opposizione. Allo stesso tempo rimane piuttosto incerta la prosecuzione del dialogo all’interno del gruppo di Minsk per determinare lo status del Nagorno Karabakh e la gestione del conflitto Baku-Erevan. La Russia, intenzionata a non cedere di un passo, e preservando la residua influenza nella regione, pare intenzionata a sfruttare le debolezze della piccola repubblica caucasica per rafforzare la presenza militare sia nella regione contesa che in Armenia stessa. Niente affatto fantapolitica la possibilità che Mosca possa giovarsi del senso di incertezza diffuso nel Paese per patrocinare cambiamenti politici come contraltare dell’ambiguo Pashinyan.