La cooperazione tra la Cina e i Paesi dell’Europa centro-orientale sembra scricchiolare sotto il peso del ritiro della Lituania annunciato da Gabrielius Landsbergis, ministro degli Esteri di Vilnius, ai media locali. Secondo il politico, infatti, il forum avrebbe un carattere “divisivo” sul piano europeo.
Il Forum 17+1, iniziativa fondata dal Ministero degli Affari Esteri cinese per promuovere i rapporti con alcuni Paesi dell’Europa centrale e orientale tramite una serie di investimenti sul territorio, sembra quasi essere arrivato al capolinea.
Lo scorso maggio, la Lituania ha assestato un duro colpo dichiarando di provare una profonda insoddisfazione nei confronti dell’organizzazione che, secondo lo Stato baltico, rischia di diventare divisiva. Il ministro degli Esteri lituano Landsbergis ha aperto quindi le porte a un approccio 27+1 definito “molto più efficace”, e ha invitato anche altri Paesi a seguire l’esempio. L’appello potrebbe non rimanere inascoltato: molte nazioni aderenti al forum si definiscono deluse dai risultati ottenuti dai rapporti con la Cina. Esse, infatti, sottolineano una diminuzione degli investimenti cinesi, soprattutto per quanto concerne le nuove Vie della seta, e un aumento del deficit commerciale con il colosso asiatico. Il malcontento, però, non si esaurisce su questo fronte: il forum di cooperazione è accusato anche di destinare il credito in modo iniquo all’interno dell’organizzazione, e di accumulare ritardi e scarsi risultati sui progetti annunciati. Un esempio significativo è dato dalla Romania, il cui impegno attivo con Pechino non ha portato ad alcun sostanziale beneficio.
La situazione sta diventando critica: l’ultimo schiaffo a Xi Jinping, segretario generale del Partito comunista cinese, è stato sferrato al summit 17+1 di quest’anno, a cui i Paesi baltici avevano inviato dei ministri minori. Come se ciò non bastasse, il ministro dell’economia lituano ha fatto trapelare che il Paese aprirà un ufficio commerciale a Taiwan, “provincia ribelle” della potenza asiatica. La risposta del Dragone non si è fatta attendere: il portavoce degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha invitato caldamente la Lituania a “rifiutarsi di essere sfruttata dalle forze separatiste di Taiwan, e a evitare di fare qualsiasi cosa dannosa per la fiducia reciproca politica bilaterale”. Ha inoltre aggiunto che il suo Paese è “fortemente contrario alla costituzione reciproca di agenzie ufficiali e scambi ufficiali in tutte le forme tra la regione Taiwan e Paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Cina, compresa la Lituania”.
Questa non sarebbe però la prima volta che Vilnius crea dei problemi alla Cina: nel 2019, la Lituania è stata la prima nazione baltica a indentificare le azioni di spionaggio cinese come un pericolo per la sicurezza nazionale. Non c’è quindi da stupirsi che, nel National threat assessment 2021 dei servizi lituani, sia stato riportato che “la Cina sfrutta la pandemia per ampliare la sua influenza in Lituania e in altri Paesi”. Tutto ciò, mentre la coalizione politica attualmente al governo nel Paese ha dichiarato di voler proseguire con una linea “basata su valori” nell’ambito della politica estera. Traducendo, ciò starebbe a sottintendere che Vilnius sarebbe orientata a rafforzare i propri rapporti con gli Stati Uniti.
È importante sottolineare che anche l’Estonia ha preso posizione e sta rivalutando la propria inclusione all’iniziativa 17+1, considerando l’atteggiamento della Cina come una minaccia ai valori occidentali e non tollerando il trattamento riservato agli uiguri che, secondo Tallinn, sarebbe una grave violazione dei diritti umani. Sulla questione si è espressa anche la Lituania, tanto che il Paese è diventato cruciale sul fronte delle denunce riguardanti gli avvenimenti nella regione dello Xinjiang.
Di ben altra opinione è la stampa cinese. Il Global Times, un tabloid prodotto dal quotidiano ufficiale del Partito comunista cinese che si concentra per lo più su faccende internazionali, usa altri toni e sfumature per discutere di questi avvenimenti. Infatti, in un articolo del 24 marzo sono state riportate le parole di Li Baiyang, membro del team che conduce la “ricerca sulle questioni scientifiche di base dei sistemi decisionali di gestione della sicurezza nazionale” e borsista post-dottorato presso il Centro di ricerca sulle risorse informative dell’Università di Wuhan, che sembrano indicare un punto di vista molto differente da quello riportato dai media europei.
Li, infatti, ha affermato: “i media lituani hanno una capacità limitata in termini di creazione delle proprie notizie, che hanno anche poco appiglio sull’opinione pubblica globale. Quindi, vengono prese informazioni anti-cinesi come principale risorsa che portano ai rapporti citati”. L’accusa è di notevole importanza: le parole di Li implicano, infatti, che i mezzi di comunicazione locali lituani stiano svolgendo un certo ruolo nella diffusione di notizie false sul genocidio degli uiguri. Ma non solo: secondo il tabloid, sarebbe inoltre altamente improbabile che altri Paesi possano seguire la Lituania nel ritiro dal forum, in quanto Vilnius avrebbe lì un’influenza insignificante.
Nonostante i punti di vista discordanti dei Paesi implicati e la credibilità delle notizie riportate dalla stampa di una nazione non propriamente nota per la libertà di parola, rimane lampante la notevole fragilità del forum e l’incompatibilità dei suoi membri. La Cina sembra, infatti, essere più interessata a salvaguardare i propri affari in Europa che a curarsi della salute della propria unione che rischia di sgretolarsi come neve al sole. Pechino è quindi in difficoltà e si sta confrontando con una realtà molto meno controllabile della propria politica interna, scontrandosi con le esigenze di un’Europa che pretende risultati in cambio della propria amicizia. Un rapporto che la Cina sembrerebbe star inesorabilmente perdendo.
Giorgia Vernillo