Le nuove sanzioni europee possono mettere alle strette l’economia bielorussa, ma Lukašenko ha già l’alternativa in tasca: agganciarsi a Mosca e Pechino per evitare di indebolire il suo stato sociale – e quindi le fondamenta di un sistema politico già provato da un anno di dure contestazioni.
Tra il 21 e il 24 giugno l’Unione Europea ha approvato nuove sanzioni contro la Bielorussia. Si tratta per la prima volta di vere e proprie sanzioni economiche dirette ai settori strategici dell’economia bielorussa, come richiesto da Svetlana Tikhanovksaja, leader dell’opposizione in esilio. L’effetto sull’economia del Paese sarà duro, ma allo stato attuale delle cose l’attuale regime di Lukašenko ha le carte per sopravvivere.
Le nuove sanzioni possono essere divise in due categorie. La prima include il divieto di fornitura di equipaggiamenti, tecnologie o software finalizzati all’intercettazione di comunicazioni via internet o telefono. È vietata anche la fornitura di beni e tecnologie che abbiano possibili usi militari. Si tratta di misure quasi simboliche, data la possibilità di Minsk di procurarsi simili strumenti via Russia o Cina.
La seconda categoria include il divieto di commercio e trasporto in territorio UE di prodotti petrolchimici, potassa e beni usati per la produzione di derivati dal tabacco, nonché restrizioni all’accesso del mercato di capitali UE, il divieto di prestare assicurazioni ad ogni organismo pubblico bielorusso e lo stop definitivo ai finanziamenti nel settore pubblico da parte della Banca Europea degli Investimenti (BEI).
Con le sanzioni individuali del 21 giugno, entità e cittadini sanzionati hanno raggiunto rispettivamente il numero di 15 e 166. Nella lista sono stati inclusi anche cittadini russi come Mikhail S. Gutseriev, patron della Safmar, unica compagnia russa autorizzata a fornire petrolio alle raffinerie bielorusse. Ad aumentare l’impatto di queste sanzioni contribuiscono analoghe misure da parte di Usa, Regno Unito e Canada.
Gli effetti sull’economia
Sono le sanzioni commerciali ad avere l’impatto maggiore sull’economia bielorussa. Il settore petrolchimico, sotto controllo del gruppo statale Belneftekhim,costituisce il 20% della produzione industriale bielorussa e, nel 2019, il 14,4% del PIL del Paese. Se si aggiunge il settore dei prodotti della plastica, che dal petrolchimico dipende in materia determinante, si arriva a circa un quinto del PIL bielorusso.
Le tariffe scontate del petrolio russo permettono altissimi profitti sul mercato internazionale. Come sottolineato da Margarita Balmačeda, questi sono poi usati per sussidiare lo stato sociale bielorusso e i servizi di pubblica utilità, modernizzare le aziende pubbliche e finanziarne altre meno profittevoli, allo scopo di mantenere la piena occupazione. Un modello che ha permesso alla Bielorussia di ottenere, almeno fino al 2014, sviluppo, crescita, equità e pace sociale.
Nel petrolchimico è soprattutto la raffinazione del petrolio ad avere il peso più importante (il 17% del valore totale delle esportazioni bielorusse nel 2019). Nel 2020, confermando i trend passati, il mercato di sbocco più importante è stato l’Ucraina (66% delle esportazioni), seguita da UE (16%), Russia (9%) e USA (6%). Le esportazioni di potassa invece costituiscono circa l’8,74% del totale, per un valore nel 2019 di 2,7 miliardi di dollari. Ma l’UE ne importa solo l’8% e gli USA il 7%.
Per una stima dei danni i dati del 2019 sono più rappresentativi, dato l’impatto del Covid-19 sul commercio internazionale. Prendendo in considerazione i dati di quell’anno, si può stimare una perdita di 3,5 miliardi di dollari per la Bielorussia, ossia circa il 5% del suo PIL. Ulteriori perdite saranno dovute agli aumenti dei costi di trasporti imposti dalla necessità di aggirare la Bielorussia, e bisogna inoltre considerare la perdita di quelle sovvenzioni derivanti dagli alti rendimenti del settore petrochimico. Come già dichiarato dal primo ministro Golovčenko, la Bielorussia reagirà orientandosi verso mercati alternativi (in particolare asiatici) per limitare i danni – che il governo stima in una somma pari al 2,9% del PIL. Forse una previsione riduttiva, ma difficilmente si arriverà al calo del 10% pronosticato da Vyacheslav Yaroshevich, economista vicino all’opposizione.
L’impatto sulla società
Visto il ruolo dei settori petrochimico e della potassa nell’economia bielorussa, le sanzioni saranno capaci di influire su altre produzioni industriali e consumi, colpendo ben più delle circa 100mila persone occupate in questi due settori nel 2020. La politica di piena occupazione e i frequenti aumenti per decreto presidenziale hanno tradizionalmente sottoposto l’economia del Paese a una forte pressione inflattiva, oggi attorno al 5%. Il supporto degli operai dell’industria di Stato (circa il 23% della forza lavoro), la cui mancata adesione all’opposizione ha decretato il fallimento di quest’ultima, è fondamentale per Lukašenko.
Nel discorso tenuto per l’80° anniversario dell’inizio della Grande Guerra Patriottica, Lukašenko ha tracciato una forte continuità tra le pressioni dell’UE di oggi e l’invasione nazifascista del 1941. La resistenza è stata il leitmotiv della sua orazione. In termini pratici, il presidente bielorusso ha promesso una serie di misure per mantenere occupazione, salari e produzione a livelli costanti. Se si dovesse fare affidamento sulla stampa di rubli, è possibile che, come nel 2011, Minsk possa presto sperimentare nuove spinte inflattive in grado di erodere il potere di acquisto dei bielorussi. Una situazione aggravata dalle sanzioni e dal loro impatto sulla potassa e il settore petrolchimico.
Le nuove misure europee attaccano il nucleo del modello economico bielorusso e della sua stabilità politica, ma finiranno inevitabilmente per danneggiare la maggior parte della popolazione del Paese, incluse categorie fragili (come i pensionati), dipendenti in parte da trasferimenti statali. La strategia dell’opposizione consiste anche nel far leva sulla disperazione e portare alla defezione i comuni cittadini.
Cosa aspettarsi?
Il governo bielorusso avrà in una prima fase buone carte per screditare l’opposizione e l’UE. Inoltre, come velatamente minacciato da Lukašenko nel discorso del 22 giugno, Minsk favorirà l’incremento del flusso migratorio verso l’UE attraverso la nascente “rotta bielorussa” per ottenere nuove leve negoziali. Tuttavia, nel medio termine è necessario trovare soluzioni strutturali e le opzioni sono poche: il mercato e i capitali russi e cinesi.
La dipendenza ucraina dal settore petrolchimico bielorusso difficilmente permetterà a Kiev di accodarsi all’UE. La Russia approfitterà dell’impatto negativo delle sanzioni per costruire un’immagine favorevole di sé, con un sostegno (graduale) alla Bielorussia, come traspare dalla decisione di creare un sistema comune di resilienza.
La crescente dipendenza di Minsk dalla Russia non per forza si tramuterà in un assorbimento nella Federazione: più la Bielorussia è instabile e più Lukašenko incrementa la sua leva nei confronti di Mosca. Tutto dipenderà da come e se la Russia riuscirà ad ottenere delle defezioni nell’élite bielorussa capaci di far perdere al suo presidente la capacità di presentarsi come unica alternativa per Mosca, ed iniziare così un processo di transizione e maggiore integrazione. Se questo obiettivo non dovesse essere raggiunto in tempi ragionevoli, Mosca potrebbe ridurre il prezzo del petrolio, consentendo al petrolchimico bielorusso di recuperare una buona parte delle perdite.
Minsk premerà per una maggiore integrazione nell’Unione Economica Eurasiatica e avvierà misure di riorientamento commerciale (già a gennaio la Bielorussia ha iniziato a usare i porti russi per l’esportazione di petrolio e potassa) in cui Cina e Turchia possono avere un ruolo importante. Con queste sanzioni si chiudono dunque le possibilità di dialogo con l’Occidente, con l’effetto di aumentare l’influenza russa e la vocazione eurasiatica di Minsk.
German Carboni