Quo vadis, Belarus? Una domanda che ci si è posti con l’inizio delle manifestazioni di massa in Bielorussia. Ad un anno di distanza si può provare a rispondere. La rivoluzione colorata nel “Paese delle cicogne” può dirsi, nell’agosto 2021, fallita. Epilogo comune a tutti i tentativi di rovesciare Aleksandr Grigorevič Lukašenko.
Le maree bianco-rosso-bianche dello scorso anno non sono però rimaste senza conseguenze. Sta qui la grande differenza rispetto ai precedenti tentativi di rovesciare Lukašenko. L’impatto è di medio e lungo termine, alla fine dei quali la Bielorussia difficilmente sarà la stessa. Si possono distinguere due categorie di cambiamenti, che, con il permesso dei biologi, potremmo definire fenotipici e genotipici. I primi mutamenti sono esterni e visibili, i secondi invece sono profondi, invisibili e determinano i primi.
Tra i cambiamenti fenotipici, il più rilevante è la riforma costituzionale in corso in Bielorussia. Essa prevede una ristrutturazione dei rapporti tra Presidente e Parlamento, nonché nuovi organismi. Il nuovo design istituzionale che la Bielorussia si vuole dare esprime gli equilibri interni, nonché la coalizione di poteri ed interessi (come la nuova generazione oligarchica bielorussa, gli apparati di sicurezza, la burocrazia centrale, gli organi di pianificazione e con una certa riluttanza la classe operaia – oltre al Cremlino di Putin) che ha deciso di puntare su Lukašenko, per avere voce in capitolo sul futuro del Paese o per mantenere posizioni acquisite.
La nuova Costituzione da una parte segnerà il tracciato che la politica bielorussa seguirà da qui al 2025, anno in cui si terranno le nuove elezioni (salvo elezioni anticipate), e dall’altro segnala quali interessi hanno finito per prevalere in questo turbolento periodo, fornendo indicazioni su quale sarà il futuro del Paese una volta iniziata la transizione.
Il cambiamento genotipico più importante riguarda invece la composizione stessa del corpo della nazione, oggi profondamente mutato. La Bielorussia è segnata dall’esodo di numerosi suoi cittadini verso occidente, sia migranti economici che rifugiati. Tra quest’ultimi in molti sono una parte importante dell’intellighenzia del Paese: analisti, protagonisti della cultura e attori cardine della vita economica di Minsk. Nonostante la risonanza all’estero, la loro assenza dalla Bielorussia pone interrogativi fondamentali sulla tenuta dell’opposizione nel Paese e sulla sua capacità di influenzarlo nel medio-lungo termine. Infine, le manifestazioni hanno prodotto una profonda spaccatura, con precisi connotati di classe e culturali, che avrà un profondo impatto sulle dinamiche politiche ed è già convenientemente usata da tutte le parti in lotta.
Questa analisi è dedicata alla riforma della Costituzione. Seguirà una seconda parte, dedicata al genotipo.
Il processo di riforma costituzionale
A differenza delle altre fallite rivoluzioni colorate (2006, 2011), quella del 2020 ha finito per mettere in moto un processo di cambiamento della struttura istituzionale della Bielorussia, sebbene non nel senso voluto dai manifestanti. Non è la decisione di elaborare una nuova costituzione, di cui si parlava da diversi anni, ad essere il prodotto dell’agosto del 2020: lo è invece l’improvvisa accelerazione impressa ai tempi della riforma.
A partire dal 2015, ovvero dal ventesimo anniversario dei primi emendamenti costituzionali di Lukašenko, il presidente ha fatto vari riferimenti alla necessità di riformare la Costituzione bielorussa nella sua forma iper-presidenziale, al fine di renderla base e garanzia di un reale sistema multipartitico su cui fondare la vita politica del Paese. Conseguentemente, si faceva ampio riferimento a limitazioni del potere del presidente e maggiori margini d’azione per il Parlamento.
La Costituzione, così come emendata nel 1995, era pensata per dare solide basi all’azione personale di Lukašenko in una instabile fase di state e nation building. Essa mal si adatta ad una comunità politica matura pronta a emanciparsi dal proprio padre (bat’ka). Questi annunci di riforma però non furono mai seguiti da alcuna azione concreta, si pensa a causa degli eventi in Armenia nel 2018 e all’improvvisa transizione kazaka, a cui v’era da aggiungere il processo di riforma costituzionale in Russia, tutti elementi che hanno suggerito prudenza a Lukašenko. L’inerzia è stata però rotta con l’Agosto del 2020. A partire da Ottobre, non solo il governo ha annunciato che il “Popolo” deve decidere su una nuova costituzione e sul proprio futuro, ma ha anche messo in piedi una struttura per tal fine fatta di assemblee consultive di base, in cui i bielorussi potevano comporre i propri cahiers de doléancese dalla convocazione per l’11-12 Febbraio del 2021 del Congresso del Popolo Bielorusso (CPB), istituzione rappresentativa (ben 2,4 mila delegati) delle classi sociali del Paese.
Al Congresso (e non solo), Lukašenko ha ribadito che non sarà presidente sotto la nuova costituzione (implicitamente sostenendo che questo sia il suo ultimo mandato), che ci sarà una profonda ridistribuzione dei poteri e la fine dell’iper-presidenzialismo. Al Congresso ha annunciato che il progetto sarebbe stato completato prima della fine dell’anno e sottoposto a referendum all’inizio del 2022. Le parole sono state seguite da un decreto presidenziale che ha istituito una Commissione Costituzionale ad hocformata da membri del Parlamento, della Corte Costituzionale, delle autorità locali, del mondo della finanza e del lavoro direttamente nominati dal presidente.
Alla Commissione è stata dunque demandata l’elaborazione del progetto che sarà poi valutato dal Presidente (insieme alla Commissione) e poi votata dai bielorussi. Nonostante il CPB e le assemblee consultive di base, di fatto il popolo bielorusso viene coinvolto solo attraverso il plebiscito, con una riedizione di quanto fu già fatto da Lukašenko durante la crisi politica del 1995-1996. Una visione imposta dall’alto da far ratificare con vezzo bonapartistico al popolo. Il momento più alto di partecipazione popolare, il CPB, è paradossalmente una chiara dimostrazione del carattere gattopardesco del processo di riforma.
Il CPB è un’Assemblea Rappresentativa su base social-corporativa (si viene eletti nei posti di lavoro e si rappresenta una categoria sociale), che forma, in teoria, un collegamento diretto tra Presidente e Popolo. Il CPB non è una vera istituzione, ma un organo inventato e convocato tradizionalmente da Lukašenko a seguito delle elezioni presidenzialicon lo scopo di discutere e definire le linee politiche del nuovo mandato. Nel 2021, l’evento doveva essere occasione per la partecipazione popolare alla riforma del Paese, ma nei fatti si è trattato di una dimostrazione di forza e coesione da parte del Governo. Dopo le efficaci repressioni a tappeto che hanno avuto luogo soprattuttoda ottobre 2020, a febbraio, quando il Congresso è stato convocato, ogni segno di dissenso era sostanzialmente sparito dalle strade bielorusse.Il CPB veniva trasmesso in televisione mostrando il supporto compatto di vaste fasce sociali di cui ancora godeva il governo e alle quali si sarebbe appoggiato per disegnare il futuro del Paese. Roman Golovčenko dichiarò infatti che “i delegati sono tutti sostenitori dell’attuale corso delle cose”.
Il contenuto della nuova Costituzione
Del progetto della nuova Costituzione si sa ancora poco, se non poche indiscrezioni. Una bozza del progetto è stata pubblicata da YurijVoskresenskij, ex comunista filo-Lukašenko, oggi oppositore, ma fautore del dialogo con le autorità.
In questa bozza ci sono importanti i cambiamenti nella divisione dei poteri e nel ruolo del Presidente. Una delle più importanti differenze rispetto al giorno d’oggi è la (re)introduzione di un limite di due mandati per il Presidente. Esso rimanea capo del Consiglio di Sicurezza, organo che ha ottenuto una certa preminenza nel corso della crisi politica esplosa lo scorso anno. Viene eliminata la possibilità da parte del presidente di emanare decreti aventi valore di legge, ma rimane la facoltà di emanare atti esecutivinel rispetto delle leggi e della Costituzione. Contrariamente a quanto avviene ora, il presidente non potrà licenziare motu propriu il primo ministro né mutare le decisioni prese dal governo. Organo, che risulta relativamente potenziato da questa riforma.
Il CPB, viene costituzionalizzato. Nato come istituzione formale, inventata e voluta da Lukašenko nel 1995 per legittimarsi contro un Parlamento riottoso, essa è sopravvissuta nel corso degli anni. Generalmente convocata a seguito delle elezioni presidenziali, la Costituzione la include tra gli organi dello Stato e la definisce la più alta espressione della sovranità popolare. Il CPB formulerà le linee politiche che dovrà seguire il Paese, interrogherà Primo Ministro e Presidente e potrà mettere sotto impeachment quest’ultimo. Il suo organo permanente sarà il Presidium del CPB. Non si parla però di una diversa forma di governo, il 21 luglio il presidente della Corte Costituzionale bielorussa, Pyotr Miklaševič ha affermato che è stato proposto di mantenere, benché mitigata, la forma presidenziale.
Secondo l’ex giudice della Corte Costituzionale Bielorussa M. Pastukhov, la distribuzione di diversi poteri al CPB indica la volontà del Presidente di lasciare il potere in maniera graduale, su modello Kazako, magari garantendosi il posto di Presidente del Presidium del CPB. Altri esperti invece sono meno ottimisti circa le prospettive di transizione, graduali o meno, affermando che Lukašenko potrebbe comunque concentrare su di sé i poteri delle varie cariche, non essendovi alcun elemento di “incompatibilità” tra esse nella bozza costituzionale.
Il dibattito sui contenuti della costituzione si fonda comunque su una bozza non verificata, con diversi esperti che dubitano che Voskresenskij sia davvero riuscito ad entrare in possesso della bozza della costituzione. Ciò non toglie che essa, sopratutto per quanto riguarda ilruolo CPB, il limite dei mandati e la riduzione dei poteri presidenziali riprende tutta una serie di indiscrezioni fatte dalle stesse autorità nei confronti della Costituzione.
Senza dubbio è vivace il dibattito attorno al possibile rafforzamentodel principio di “neutralità” all’interno della nuova costituzione. Si tratta di un elemento che, vista l’escalation nel conflitto tra Occidente e Bielorussia, potrebbe essere al centro di un riesame.
Nonostante le numerose indiscrezioni e la difficoltà nel ricostruire una idea chiara del progetto costituzionale a cui l’apposita Commissione sta lavorando (un elemento che la dice lunga sulla trasparenza e incisività del processo), è possibile, negli ultimi mesi, individuare delle chiare tendenze.
Quale transizione si sta preparando
A partire da luglio, subito dopo i primi annunci sul fatto che il progetto fosse pronto, Lukašenko ha fatto rallentare i lavori con varie giustificazioni. All’inizio di Agosto il presidente ha chiesto alla Commissione di ritornare sul progetto perché eccessivamente confuso e dunque non ancora pronto per la lettura presidenziale, pur confermando febbraio del 2022 come termine per il referendum.
È possibile che questi rallentamenti siano originati sia da uncerto senso di sicurezza da parte di Lukašenko, che dalla volontà di utilizzare la transizione politica come merce di scambio con l’UE e sopratutto con la Russia, entrambe interessate ad avervi parte attiva.
In ogni caso, i tempi saranno decisi da Lukašenko sulla base, come sempre, delle convenienze politiche del momento. La nuova Costituzione è anche parte di un gioco che si gioca principalmente con Mosca, inizialmente pronta a guidare la transizione a Minsk, ma poi quasi tagliata fuori da bat’ka, e in secondo luogo con l’UE. La riforma è anche diretta all’interno, ma non costituisce un momento di dialogo nazionale, diricucitura del tessuto sociale irrimediabilmente spezzato, come generalmente accade con nuove costituzioni.Essa al massimo è un processo di ricompattamento dei ranghi attorno al presidente, nonché un tentativo di garantire da una parte sicurezza personale a Lukašenko (tramite una dose di potere da mantenere nel Consiglio di Sicurezza o nel Presidium del CPB) e dall’altra di far sopravvivere al suo creatore il Lukašismo, perpetuando quegli interessi che attorno ad esso si sono storicamente coagulati. Con essa si vuole decidere un futuro ben preciso per la Bielorussia, tagliandone fuori i bianco-rosso-bianchi, chiusi dal processo di state restructuring.
La riforma pone le basi per una transizione che prenderà luogo nel corso di uno o più cicli politici che seguiranno l’adozione della nuova costituzione.Le attuali indiscrezioni lasciano pensare all’assenza di misure per istituire un funzionante sistema multipartitico ed alla costruzione di un sistema rappresentativo centrato non sul Parlamento, ma sul CPB, tramite cui si rafforzerebbero i canali di controllo sociale e politico costituiti a partire dal 1994.
La maggior parte degli eletti al Parlamento è formalmente eletta non in quanto membri di una lista di partito, ma in quanto candidati di “collettivi del lavoro” (di fabbrica), egemonizzati e controllati dai sindacati di Stato, sotto controllo dell’amministrazione presidenziale o dall’Associazione pro-governativa Belaya Rus’. In particolare, ai sindacati si demanda la disciplina sul posto di lavoro, sia in senso politico, che economico. Queste strutture hanno il monopolio ed il controllo della politica nelle imprese statali (vietata ai partiti), che ancora oggi impiegano circa il 40% della forza lavoro bielorussa, (58% se si aggiungono le aziende con partecipazione statale).
I collettivi sono anche la sede dell’elezione della maggioranza assoluta dei membri della CPB a cui si aggiungono militari, forze dell’ordine e rappresentanti dell’amministrazione. Vi sono anche i rappresentanti della società civile, ma devono essere “invitati” a partecipare.
La costituzionalizzazione del CPB ed eventualmente la sua centralità, rafforza dunque delle specifiche classi sociali organiche al sistema social-corporativo bielorusso. Nello specifico le forze di sicurezza (militari e polizia), l’industria di Stato ed una parte del privato dipendente dalle concessioni dellogoverno. Tutti elementi che hanno dimostrato compattezza attorno al governo nel corso della crisi politica iniziata nel 2020. Ad essi è verrà fornito un quadro per mantenere le sorti del Paese.
L’interrogativo, tuttavia, è se questi si organizzeranno, dando ad esempio a Belaya Rus’ una forma partitica e radicata nel territorio, con una transizione che manterrà le attuali caratteristiche del sistema bielorusso, spostando il centro del potere da un singolo ad una entità collettiva. Si tratta di un’esigenza vitale di cui i leader di Belaya Rus’ sono ben coscienti e che probabilmente verrà realizzata durante il periodo di transizione che si aprirà con le elezioni presidenziali che seguiranno la nuova Costituzione.
German Carboni