La partnership tra Ankara e Baku si avvale del ritorno dell’ideologia panturca, ma è mossa innanzitutto da interessi spesso affini o convergenti. Il rischio è che l’entusiasmo ideologico, una volta acceso, non si spenga facilmente. E finisca per sfuggire al controllo dei due governi, finora attenti a canalizzarlo entro i limiti delle opportunità contingenti.
Il rapporto peculiare tra la Turchia e l’Azerbaigian è sintetizzato da un motto diffuso in entrambi i Paesi: «due Stati, una nazione» (iki devlet bir millet). Si tratta di un sentimento profondo, radicato nella tradizione intellettuale e nell’opinione pubblica delle due nazioni turcofone. Il legame ideologico che unisce l’Azerbaigian e la Turchia costituisce un elemento identitario che contribuisce a orientare strategie e scelte politiche, ma anche uno strumento retorico di consenso da parte dei regimi al potere nei due Stati. Spesso è difficile distinguere fino in fondo queste due dimensioni, che appaiono indissolubilmente legate l’una all’altra.
Tra i due Paesi turcofoni situati a ovest del Mar Caspio esiste un legame oggettivo e indiscutibile, un’identità in larga misura comune lasciata in eredità da una storia millenaria. Le attuali nazioni della Turchia e dell’Azerbaigian possono trovare le loro radici più profonde nelle invasioni selgiuchidi dell’XI secolo, che portarono all’insediamento di popolazioni di stirpe oğuz – uno dei rami principali dei turchi – in Anatolia e nell’area di raccordo tra il Caucaso meridionale e l’altopiano iranico. Le origini comuni spiegano la grande affinità linguistica e culturale che ancora oggi unisce turchi e azeri. I destini dei turcomanni insediati in Azerbaigian si divisero da quelli dell’Anatolia soprattutto a partire dal XV-XVI secolo: l’Anatolia fu del tutto inglobata nell’impero sunnita degli ottomani, mentre gli azeri finirono definitivamente nell’orbita dell’Iran sciita, fornendo per altro gran parte delle dinastie e della classe dirigente alle diverse incarnazioni dell’impero persiano nell’età moderna. Le diverse affiliazioni politiche e confessionali non cancellarono però l’unità linguistica e culturale, che malgrado tutto si è mantenuta quasi inalterata nel corso dei secoli.
Nell’età contemporanea il legame culturale tra Turchia e Azerbaigian è stato rivalutato e ha assunto una connotazione ideologica, trasformandosi in un potente elemento nella costruzione dell’identità nazionale di entrambi i Paesi. Con il tramonto delle lealtà politico-confessionali tradizionali e l’alba dei nazionalismi più o meno secolarizzati, è infatti emersa come elemento determinante l’unità etno-linguistica dei turchi dell’Anatolia e del Caucaso meridionale. Per la classe dirigente ottomana la riscoperta della propria identità turca è stato un momento fondamentale della costruzione dell’identità nazionale, mentre nell’Azerbaigian annesso alla Russia zarista l’emergere di un sentimento di appartenenza al mondo turco ha rappresentato lo strumento fondamentale per resistere tanto alla russificazione quanto agli irredentismi iranici. Il panturchismo, sempre più diffuso e dibattuto nel mondo intellettuale turcofono, è stato anche una componente importante – seppure non esclusiva – del quadro ideologico in cui si sono mossi tanto i Giovani Turchi quanto il Müsavat, il movimento che ha costruito il primo esperimento nazionale azero nel corso dell’età rivoluzionaria del Caucaso russo. Il carattere turco dell’identità nazionale azera ha costruito un aspetto fondamentale nella breve ma fondamentale esperienza della Repubblica democratica dell’Azerbaigian (1918-1920), i cui transfughi avrebbero del resto dato un contributo fondamentale alla costruzione della Turchia repubblicana.
L’annessione dell’Azerbaigian all’URSS e l’instaurazione del regime kemalista in Turchia – ideologicamente ostile all’irredentismo panturco – costituirono una lunga parentesi in cui il sentimento di unità transnazionale tra Turchia e Azerbaigian fu fortemente marginalizzato a livello ideologico, retorico e simbolico. Ciò non significa che la coscienza di un’affinità etno-linguistica fosse scomparsa, ma che venisse politicamente relegata a gruppi nazionalisti di frangia (specialmente in Turchia, perché nell’URSS non vi era molto spazio neppure per questo tipo di attività marginale).
L’occasione per un recupero ideologico del legame turco-azero si concretizzò negli ultimi anni della Guerra fredda, a ridosso della caduta dell’URSS. Il processo di disfacimento del sistema sovietico coincise nel Caucaso con la rinascita di forme di nazionalismo dal carattere etnico e dai toni sovente esasperati, che si legittimavano nel riportare alla luce e nello sfruttare le tragedie di un passato violento e conflittuale. Per gli azeri la ripresa di una coscienza panturca ebbe un significato importante per riaffermare il proprio ruolo e la propria peculiarità nei confronti dei gruppi nazionali rivali nella regione, in particolare gli armeni con cui si avviò una stagione di drammatica e luttuosa conflittualità. Per l’Azerbaigian indipendente emerso dal crollo del gigante sovietico rivendicare un’identità turca è uno strumento importante non solo per emanciparsi simbolicamente dall’ingombrante tutela russa, ma anche per riaffermare il proprio nazionalismo laico e resistere alla possibile influenza del regime khomeinista affermatosi in Iran. Anche la Turchia post-kemalista uscita dal golpe del 1980 ha usato il sentimento panturco per ricalibrare in senso nazionalista e conservatore la propria identità repubblicana. Con la scomparsa dell’URSS e la fine della Guerra fredda, la riscoperta dei temi panturchi è stata anche un elemento retorico funzionale a ristabilire un ruolo e un’identità per Ankara nella stagione di incertezza che ha caratterizzato i primi anni del mondo post-bipolare.
Tra la retorica ideologica e le scelte politiche concrete vi è tuttavia sempre uno scarto, che nelle relazioni turco-azere dell’ultimo trentennio è stato per altro piuttosto marcato. La breve esperienza del governo di Əbülfəz Elçibəy in Azerbaigian tra il ‘92 e il ‘93 è stata l’unico momento in cui il nazionalismo etnico panturco si è realmente trovato al centro dei programmi e delle prospettive di governo in un Paese turcofono. Il governo di Elçibəy attirò le simpatie e gli entusiasmi dell’estrema destra nazionalista turca, ma al di là dei proclami si scontrò in concreto con una certa freddezza e indifferenza da parte dei governi di Ankara. La caduta di Elçibəy – dovuta alla pessima conduzione della guerra contro l’Armenia e da altri enormi problemi – dimostrò quanto l’entusiasmo panturchista si reggesse su basi geopolitiche fragili. Il solido regime che la famiglia Əliyev ha in seguito instaurato in Azerbaigian ha tenuto un atteggiamento in fondo speculare a quello della Turchia: i proclami di fratellanza tra le due “nazioni sorelle” sono rimasti un accessorio importante della retorica su cui si fonda l’identità nazionale, ma i programmi dei due governi sono stati orientati da interessi ben più concreti e a volte divergenti seppure in un contesto di amicizia.
Le cose sono improvvisamente cambiate nell’ultimo anno, che ha visto un avvicinamento repentino tra i due regimi, soprattutto nel contesto della seconda guerra tra Azerbaigian e Armenia nell’autunno del 2020. Il ricorso a una retorica etno-nazionalista e panturca non è mai stato così forte e pervasivo come lo è oggi in entrambi i Paesi, mentre sembra essersi cementata un’alleanza politico-militare di inedita solidità tra i due Stati turcofoni. Benché il nazionalismo etnico sia oggi effettivamente sostenuto da settori importanti in entrambi i regimi, la ripresa di una retorica panturca così aggressiva è anche e soprattutto funzionale a priorità geopolitiche ed economiche molto concrete, sostenute dalle pretese egemoniche di Erdoğan e dalle esigenze vitali del regime al potere in Azerbaigian. Quello tra Turchia e Azerbaigian è inoltre un rapporto inevitabilmente asimmetrico. Soprattutto dal punto di vista degli Əliyev potrebbe presto risultare allettante la prospettiva di smarcarsi almeno parzialmente da una tutela ingombrante come quella della Turchia, che nel concreto si muove più per sostenere le proprie ambizioni che per difendere gli interessi del regime azero.
Nonostante tutto bisogna tenere comunque conto del fatto che le costruzioni ideologiche esercitano un peso profondo sulle realtà politico-sociale. L’utilizzo di una immaginario così potente e pervasivo non è qualcosa a cui si possa fare ricorso pensando che non abbia conseguenze con cui fare i conti. L’apparente successo dell’asse turco-azero nel recente conflitto caucasico ha alimentato in entrambi i Paesi un entusiasmo nazionalista dai tratti estremamente radicali. Un simile contesto ideologico non è sempre semplice da controllare e indirizzare per le finalità desiderate dai regimi al potere, soprattutto se le speranze su cui si fonda dovessero venire frustrate. Come tutte le ideologie, il nazionalismo è un possibile strumento di consenso nelle mani di chi governa, ma può anche trasformarsi in una forza animata da vita propria e in grado di forzare la mano in modo drammatico a coloro che pensano di potersene servire. La storia della regione è del resto ricca di esempi storici che possono confermarlo.
Carlo Pallard