Le elezioni della Duma hanno messo alla prova il sistema di potere del partito di governo, più della lealtà al presidente. Chi vince e chi perde, chi potrà restare a galla e chi dovrà cambiare. Ma la domanda più importante resta una: Russia Unita è ancora adeguata alla transizione che si prefigura per i prossimi anni? O rischia, col suo immobilismo, di indebolire lo stesso Putin?
Una vittoria nei fatti, più che nei numeri. Che però non basta a rassicurare il potere. Alle elezioni parlamentari russe, tenutesi lo scorso weekend per il rinnovo quinquennale della Duma, il partito di governo Russia Unita ha ottenuto ancora una volta la maggioranza assoluta dei seggi, 324 su 450 secondo le ultime proiezioni. Un signor risultato, sulla carta, che assicura sufficiente spazio di manovra per leggi potenzialmente impopolari o (ulteriori) modifiche costituzionali. Ma diversi fattori inducono a una maggiore prudenza: tra questi, la sensibile riduzione delle percentuali di consenso per il partito di Putin (dal 54 al 49%) e il probabile ricorso a brogli per contenere i danni nelle circoscrizioni più a rischio.
Le elezioni appena concluse sono state le ottave per la Duma nella storia della Federazione Russa. E sono già tra le più importanti: la geografia elettorale del nuovo parlamento servirà a definire gli equilibri degli ultimi tre anni di potere di Putin, mostrandogli se sarà il caso di proseguire con ulteriori mandati (come da nuove e apposite previsioni costituzionali). Naturalmente il grosso delle decisioni passerà dal Cremlino e dalla cerchia più ristretta dei fedeli del presidente, ma il polso del Paese – ovvero la tenuta del sistema – deve comunque essere misurato con scrupolosa attenzione.
Per comprendere i risultati di domenica, non basta leggere le preferenze espresse dagli elettori – che hanno assegnato, secondo i dati ufficiali, il 49,8% dei voti a Russia Unita, il 18,9% al Partito Comunista (KPRF), il 7,5% al Partito Liberaldemocratico e a Russia Giusta, il 5,3% a “Gente Nuova”. Occorre ripassare la legge elettorale, che attribuisce la metà dei 450 seggi con un sistema proporzionale a circoscrizione unica, liste bloccate e soglia di sbarramento al 5%, e l’altra metà con un sistema maggioritario a turno unico di collegi uninominali. È stato proprio questo impianto misto – e nello specifico la sua parte maggioritaria – a garantire il “premio di maggioranza” a Russia Unita, che altrimenti avrebbe sofferto di più l’arretramento nel voto generale. Se da una parte il partito di governo ha preso 126 seggi su 225, nel computo proporzionale, dall’altra ne ha ottenuti ben 198 su(gli altri) 225 nella lotta per i collegi. I due terzi della Duma sono stati assicurati.
Tra gli altri partiti si registrano alcune novità, di cui la più importante è senz’altro l’avanzata del Partito Comunista (KPRF) che guadagna 15 seggi (e un numero ben più consistente di voti) rispetto alla precedente tornata. Poi si segnala l’ingresso nella Duma di Gente Nuova, formazione di fatto vicina al Cremlino (utile a dividere il campo dei liberali), e l’arretramento dei “liberaldemocratici” reazionari di Zhirinovskij, leali a Putin ma tatticamente critici verso il suo partito. Flop per Jabloko, che nei suoi contrasti interni tra Javlinskij e il resto della leadership (sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Naval’nyj) si è probabilmente giocato buona parte dei suoi sostenitori: con l’1,3% è lontanissimo dallo sbarramento e dunque fuori dalla Duma. Stabile infine il partito Russia Giusta di Sergej Mironov, da qualche anno una piccola spalla di centrosinistra per Putin.
Ancora una volta, ad Aleksej Naval’nyj (in carcere dallo scorso gennaio) è stato di fatto impedito di candidarsi e/o candidare i suoi uomini, attraverso la messa al bando del suo partito Russia del futuro – bollato lo scorso 26 aprile come “organizzazione estremista” dal tribunale amministrativo di Mosca. È quindi rimandata a data da destinarsi l’analisi del suo reale impatto nella politica russa, specie al di fuori degli ambienti metropolitani.
Tuttavia Naval’nyj ha trovato un modo per incidere in queste elezioni, o quantomeno per dare l’impressione di farlo: l’oppositore ha infatti chiesto ai suoi di appoggiare i candidati con maggiore possibilità di successo contro quelli di Russia Unita. Il tutto tramite un’app: Smart Voting, in realtà già attiva alle elezioni locali del 2019 ma adesso (in teoria) operante nell’intero territorio nazionale. Nelle intenzioni del suo fondatore, Smart Voting consentirebbe di superare le divisioni dei partiti d’opposizione – che continueranno a gareggiare tra loro con idee diverse – per far convergere di volta in volta i voti di protesta sul candidato più promettente. “Questione di matematica”, garantisce Naval’nyj.
Di certo, un salto di qualità rispetto agli sterili boicottaggi messi in atto in altre elezioni, e probabilmente più graditi dalle stesse autorità centrali. Il governo infatti stavolta non è rimasto a guardare, ma ha fatto rimuovere l’app contestata dagli store e dai risultati di ricerca di Apple, Google, Youtube, Telegram e Yandex. E anche se Naval’nyj ha provato a contrattaccare pubblicando gli elenchi di Smart Voting su Github, l’efficacia politica del trucco è stata sicuramente annacquata.
Non sapremo mai dunque se e quanto il “voto intelligente” abbia inciso sui risultati elettorali, tanto più che dietro questi ultimi si cela l’ombra di un discreto rimaneggiamento. Stavolta ben più palpabile che in altre occasioni, causa voto elettronico e anomalie nei conteggi di Mosca, i cui risultati (poi favorevoli a Russia Unita) sono stati pubblicati con sospetto ritardo. A segnalare che qualcosa sia andato storto non è solo la denuncia “di rito” proveniente da governi stranieri e ONG (secondo l’associazione Golos, sarebbero circa 5000 le violazioni contestate ai seggi[1]), ma anche la dirigenza del Partito Comunista, che teme di essere stata defraudata con un colpo di mano. Tanto che il KPRF ha ufficialmente rifiutato di riconoscere i risultati del voto elettronico nella capitale[2], e ha annunciato manifestazioni di protesta per il 25 settembre e il 3 ottobre.
Eppure, per il partito erede del PCUS risultati simili non si vedevano da tanti anni (per la precisione dal 1999, se si esclude l’ottima performance del 2011 che ha quasi eguagliato quella odierna) e dunque sarebbe forse ragionevole soprassedere, prendendosi la fetta che gli spetta. Ma anche al di là dell’inossidabile Zyuganov, la nuova generazione di comunisti (quella attratta dal restyling marxista-leninista, intelligentemente messo in opera dalla dirigenza negli ultimi anni) è probabilmente meno incline al compromesso con il governo. E così si avvicina anche per il KPRF – da anni accusato, da altri oppositori, di opportunismo politico e connivenza con Putin – il momento della verità (maturità?). Quello in cui dovrà scegliere tra la piazza e gli strapuntini, tra la comfort zone del dissenso formale e le acque inesplorate dell’opposizione sostanziale.
Anche per Russia Unita si avvicina il momento della verità. La vittoria ottenuta non può infatti nascondere una crisi di consenso e persino d’identità avviata già da qualche anno, e sulla quale (a porte rigorosamente chiuse) si discute ormai regolarmente. Due le strategie che sembrano emergere dal confronto interno: il rafforzamento, anzi il puntellamento, di un partito da cui in troppi (Putin compreso, forse) non hanno più il coraggio di uscire, oppure il suo superamento per eccesso di longevità e conclamata perdita di slancio ideologico[3]. I partiti non sono dogmi, e negli anni scorsi sono state già viste complesse e talvolta spudorate operazioni di ingegneria politica (restyling, accorpamenti, creazioni dall’alto). Ma Russia Unita vive dal 2001 e nel bene o nel male ha accompagnato l’intera parabola presidenziale di Putin, anche quando (ed è accaduto spesso) la popolarità del partito ha viaggiato su numeri ben più bassi di quella del suo ideatore. In una classe dirigente costruita sul mantra della stabilità, non è difficile immaginare il timore di abbandonare la barca.
La maggioranza dei fedeli di Putin sembra dunque propendere per la prima opzione – quella del puntellamento – mostrando un irrigidimento reso plastico già dall’ascesa politica di Sergej Shoigu. Il rischio, per la dirigenza di Russia Unita (e per i siloviki) è che la mania del controllo prenda il sopravvento fino a diventare controproducente, come già sta avvenendo col trattamento riservato a Naval’nyj – la cui fama in Russia è cresciuta col suo avvelenamento e incarcerazione. Per adesso il sistema ha dimostrato di saper tenere botta, probabilmente tirando pure il freno d’emergenza elettorale laddove i risultati stavano diventando “problematici”. Ma certi settori dell’opinione pubblica sono saturi e il minimo che il Cremlino possa concepire, per evitare un’evoluzione “bielorussa”, è una transizione morbida che non stringa troppo le maglie del potere politico. Prima, però, dovrà evitare una guerra tra bande al suo interno, in attesa del 2024. Missione non scontata.
[1] https://www.bbc.com/news/world-europe-58614227
[2] https://tvrain.ru/news/kprf_otkazalas_priznat_rezultaty_elektronnogo_golosovanija_v_moskve-538237/