Si è tornati a parlare, negli ultimi giorni, di Aleksandr Dugin. Il filosofo russo, spesso considerato come una delle personalità più controverse della nostra epoca, è noto per aver teorizzato la Net-Centric Warfare, ma soprattutto per aver intessuto un’importante rete di contatti in Europa occidentale. Eppure, nonostante un parziale allineamento con le sue politiche, Dugin non può essere considerato un agente del Cremlino.
Non sarà sfuggito ai più il grande scalpore suscitato negli ultimi giorni dall’esplosiva inchiesta di Fanpage sulla sezione milanese del partito Fratelli d’Italia (FDI). Nel video pubblicato sulla pagina Facebook del quotidiano si fa riferimento anche agli opachi rapporti che la formazione politica intratterrebbe con la Russia e, in particolare, con Aleksandr Dugin. Di chi si tratta?
La domanda è più che lecita, anche se il nome non apparrà nuovo a coloro i quali seguono con attenzione le vicende che coinvolgono la Russia. Ad ogni modo, non è affatto semplice disegnare un fedele ritratto di un personaggio che così spesso, nel corso della propria esistenza, ha cambiato pelle. Nato a Mosca nel 1962, Dugin è un filosofo eurasista di idee fortemente slavofile, tra i principali teorici russi della guerra nello spazio dell’informazione. Fortemente nazionalista, nutre da sempre una forte avversione per la “civiltà occidentale”, che considera il principale nemico del mondo slavo. Dugin, dopotutto, identifica la Russia come una potenza eurasiatica [1]. Secondo l’accezione da egli stesso data al termine, la Federazione non sarebbe né del tutto europea e nemmeno del tutto non-europea, possedendo una peculiare identità culturale che contribuirebbe a porre il Paese in una posizione di ponte tra l’est e l’ovest. Proprio l’invidiabile postura della Russia l’avrebbe resa vittima di una subdola offensiva occidentale, volta soprattutto a cercare di controllarne l’infomation space. A tal proposito, appare piuttosto interessante prendere in considerazione le teorizzazioni di Dugin relative a quella che è nota come Net-Centric Warfare (NCW).
Il termine fece la propria comparsa all’interno di alcuni documenti della Marina e del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti nel corso degli anni Novanta. In base alle idee degli strateghi militari americani che per primi studiarono le sue caratteristiche, la NCW aveva un’accezione prettamente tattica. A Washington, infatti, si riteneva che le forze armate avrebbero ottenuto un vantaggio consistente dall’applicazione dei dettami di suddetta teoria bellica. Un vantaggio tale da condurre alla vittoria finale in un conflitto. Secondo le idee degli strateghi militari statunitensi, le nuove tecnologie in campo informatico sarebbero state centrali nella guerra moderna. Unità militari poco numerose, altamente mobili e disperse a livello geografico, grazie alle possibilità offerte dai rapidi sviluppi nel settore dell’Information and Communication Technology (ICT), avrebbero potuto scambiarsi informazioni decisive per le sorti di un’operazione militare. Il concetto è intuitivo, se si considera che le moderne tecnologie nell’ambito dell’ICT hanno permesso di contrarre sensibilmente i tempi di reazione delle unità armate, di ridurre le pause operative e di migliorare la precisione dell’azione bellica.
Aleksandr Dugin fornì una propria peculiare versione della Net-Centric Warfare, evidentemente ampliata rispetto a quella di matrice statunitense. Secondo il filosofo russo, infatti, gli USA non avevano applicato la NCW soltanto sul campo di battaglia strictu sensu, ma erano stati in grado di creare un gigantesco network di intellettuali, accademici, istituzioni, organizzazioni e personalità con l’intento di diffondere la propria narrazione a sostegno dell’ordine mondiale scaturito dalla fine della Guerra fredda, ovvero quello unipolare. Ordine mondiale che, chiaramente, Mosca avversava in maniera neppure troppo nascosta. D’altronde, la Federazione Russa viene considerata una potenza revisionista proprio per il forte contrasto all’idea che un solo Paese, gli USA, possa ergersi a garante della sicurezza e dell’ordine dell’intera comunità degli Stati. Dopotutto, se un momento unipolare ci fu, l’ascesa della Cina e il ritorno della stessa Russia ne hanno sancito irrimediabilmente la fine, perlomeno agli occhi del Cremlino. Sin dalla nomina di Primakov al Ministero degli Affari Esteri nel 1996, Mosca pose fine alla sbornia occidentalista che aveva fatto seguito alla dissoluzione dell’URSS, per concentrarsi sulla legittimazione di un ordine mondiale che fosse multipolare, ovvero composto da diversi centri di potere (i poli, per l’appunto), tra i quali figurava la stessa Federazione.
Ad ogni buon conto, Dugin sosteneva che, grazie al citato network internazionale, gli USA fossero stati in grado di perpetuare lo status quo scaturito dal termine del confronto bipolare ottenendo diversi vantaggi. In particolare, Washington sarebbe riuscita nell’impresa di diffondere e radicare l’idea che la potenza militare degli Stati Uniti fosse impareggiabile, cosa questa che avrebbe consentito alla Casa Bianca di evitare l’occupazione diretta di territori tramite il dispiegamento massiccio di forze, alle quali gli USA avrebbero dovuto ricorrere soltanto in casi estremi. L’intento statunitense, nell’ottica di Dugin, sarebbe stato quello di mantenere la propria posizione dominante all’interno della comunità degli Stati. L’offensiva occidentale, secondo il filosofo russo, sarebbe stata diretta in modo particolare contro Mosca. Proprio per questo, Aleksandr Dugin ha fortemente sostenuto la necessità che la Federazione contrastasse tale concezione allargata dell’NCW tramite la creazione di un esclusivo network di personalità ed organizzazioni in grado di bilanciare la narrazione americana diffondendone una antagonistica ed affine agli interessi nazionali del Cremlino[2][3][4].
La fitta rete di relazioni che lo stesso Dugin intrattiene con diverse forze politiche in numerosi Paesi dell’Europa occidentale appare assolutamente coerente con le sue teorie. Prima di prendere in esame più nel dettaglio alcuni di questi legami, però, è necessario sottolineare il fatto che il filosofo non è in alcun modo da ritenersi un rappresentante del governo russo. Dopotutto, l’assertiva politica estera condotta da Putin si sposa, per certi versi, perfettamente con alcune delle idee di Dugin ed è molto facile essere portati a pensare che quest’ultimo abbia una certa influenza sul Cremlino. Eppure le cose non stanno affatto così. Secondo diversi analisti, il filosofo non sarebbe preso sul serio dall’élite al potere in Russia e, sebbene sia molto noto all’interno dei confini del Paese, la sua figura sarebbe decisamente più discussa in Occidente che in patria. È innegabile, ad ogni modo, che durante i primi mesi della crisi in Ucraina sudorientale Dugin fosse molto vicino al governo russo. Probabilmente, ciò era dovuto al fatto che egli si espresse decisamente a sostegno dell’annessione del Donbass, come era avvenuto soltanto qualche settimana prima con la Crimea. Il supporto di una personalità del calibro di Dugin non poteva essere sottovalutato dal Cremlino. Tuttavia con il naufragio del progetto Novorossija, egli cadde in disgrazia, perdendo addirittura la cattedra all’Università statale di Mosca. Secondo Foreign Policy, il licenziamento non sarebbe stato possibile senza il consenso delle autorità.
Ciò detto, il filosofo russo non si è risparmiato nell’intessere una fitta rete di rapporti con numerosi partiti politici dell’Europa occidentale. Quasi a voler creare autonomamente il network di personalità, accademici, istituzioni ed organizzazioni che, in base alle sue stesse idee, servirebbe gli interessi nazionali della Russia. In Francia, ad esempio, Dugin è in ottimi rapporti con Alain Soral, già membro del Front National e noto soprattutto per le idee negazioniste sull’Olocausto. Allo stesso modo, il filosofo vanta una relazione amichevole di lunga data con Alain de Benoist, teorico della “Nuova Destra” francese. In aggiunta, nel 2014 fu tra i promotori di un incontro privato che comprendeva anche Marion Maréchal-Le Pen, ovvero la nipote dello storico leader del Front National, eletta proprio quell’anno come vicepresidente del partito, e Heinz-Christian Strache, futuro vicecancelliere austriaco e leader dell’FPO fino al 2019. Persino la formazione politica greca nota come Syriza parrebbe intrattenere un rapporto amichevole con Dugin. È interessante notare come la cosa sia venuta alla ribalta grazie alla diffusione, da parte di un gruppo hacker russo, di diverse e-mail scambiate tra alcuni membri di alto livello del partito greco e uno dei principali collaboratori del filosofo, Georgij Gavriš. All’interno dei documenti trafugati si farebbe inoltre esplicito riferimento all’intenzione di creare un network di politici e intellettuali europei con una postura non antagonista nei confronti della Russia.
Dugin appare dunque molto attivo nella costruzione di una complessa rete di contatti ideologicamente affini. Le idee del filosofo russo sono vicine a quelle degli ambienti maggiormente conservatori, a volte considerati persino estremisti. Ciò è perfettamente coerente con le sue interpretazioni di quella che è stata definita Net-Centric Warfare. Eppure, nonostante un certo allineamento con le politiche del Cremlino, sarebbe del tutto fuorviante ritenere che Dugin agisca in nome delle autorità di Mosca, dal momento che non gode di particolari simpatie in seno all’élite al potere.
Note
[1] A. De Benoist, A. Dugin, Eurasia, Vladimir Putin e la Grande Politica, Napoli, Controcorrente Editore, 2014.
[2] O. Fridman, Russian Hybrid Warfare, Resurgence and Politicisation, New York, Oxford University Press, 2018.
[3] O. Fridman, “The Russian Perspective on Information Warfare: Conceptual Roots and Politicisation in Russian Academic, Political and Public Discourse”, in Academic Journal, 2017. DOI: 10.30966/2018.riga.2.3.
[4] O. Jonsson, The Russian Understanding of War, Blurring the Lines Between War and Peace, Washington, DC, Georgetown University Press, 2019