Negli ultimi anni i social media sono diventati una piattaforma estremamente potente in cui fare politica, più delle piazze. Tra i giovani, questo spazio virtuale è una cassa di risonanza maggiore rispetto ai classici mezzi di comunicazione, come la televisione. Il governo russo vede in questo fenomeno emergente un grande nemico da combattere, etichettando ogni movimento politico concreto opposto al Cremlino come estremista o come un tentativo straniero di destabilizzare il Paese – e dunque sta aumentando i controlli.
Nel primo decennio di questo nuovo secolo, internet in Russia era stato definito come l’area mediatica più libera del Paese. Oltre alle fonti giornalistiche finanziate dal governo, si potevano trovare anche pubblicazioni online di quotidiani indipendenti che esprimevano opinioni anche in opposizione alla linea ufficiale delle autorità, predominante invece nella televisione. Questo clima di libertà mediatica è cambiato durante la cosiddetta “Rivoluzione bianca”, tra il 2011 e il 2013, quando una certa fetta di popolazione ha contestato i risultati elettorali che hanno visto la vittoria di Putin, accusandolo di irregolarità e brogli elettorali. Durante le proteste ha iniziato a elevarsi la voce di un blogger, Aleksej Naval’nyj, la cui missione dichiarata consisteva nel portare alla luce la corruzione nel governo russo. È proprio a causa della diffusione a macchia d’olio di queste accuse, attraverso le piattaforme online, che il governo muoverà i primi passi verso la formulazione di emendamenti per aumentare il controllo dello spazio virtuale.
Roskomnadzor (RKN), il regolatore statale russo dei media, creerà infatti una lista nera di siti e URL da bloccare, riservando ai server nazionali la possibilità di oscurarli nel caso in cui i proprietari delle piattaforme non osservino tale ordinamento. Inizialmente vengono bloccati i siti accusati di promuovere pornografia infantile, autolesionismo e droghe. Poi (a partire dal 2013) le accuse includeranno il sospetto di estremismo, l’organizzazione di aggregamenti illegali, l’incitamento all’odio e la violazione dell’ordine pubblico. L’inclusione di questi ambiti diventa un movente decisivo per limitare in modo effettivo tutte quelle voci che discreditano le manovre del Cremlino, in particolar modo nel 2014 con le proteste in Ucraina, contro gli oppositori all’annessione della Crimea alla Federazione russa. Per questo motivo vengono aumentati i controlli sugli utenti con migliaia di follower e tutte quelle piattaforme definite “organizzatori di disseminazione di informazioni”, che si devono registrare in un database nazionale. Tra queste VKontakte, il social network più popolare in Russia.
Puntando il dito contro l’Occidente, visto come promotore della spinta indipendentista ucraina, il governo russo ha modellato la propria narrativa attorno alle accuse di interferenze straniere da parte delle potenze nemiche e dunque ha sostenuto la necessità di ottenere un maggiore accesso alle informazioni personali degli utenti russi. Nel 2014 viene dunque emanata una legge secondo la quale i loro dati non possono venire archiviati all’estero. Questa legge viene applicata ai servizi di posta elettronica, ai social network, ai motori di ricerca e altri servizi online, tra cui Google, Facebook e Twitter. Inoltre, nel 2016 il governo chiede a tali piattaforme l’accesso ai messaggi criptati.
Tra il 2017 e il 2018 scoppiano, guidate da Naval’nyj, nuove proteste in 95 città russe. I raduni vengono organizzati online, motivo per cui vengono bloccati canali come Telegram (attraverso i quali, a detta del governo, venivano organizzati attacchi terroristici) e i servizi VPN, che permettevano di aggirare le restrizioni statali locali. Vengono inoltre inasprite le pene per chi elude queste nuove regolamentazioni o condivide materiale considerato “fake news” o “irrispettoso”. In aggiunta, la legge sugli “agenti stranieri” viene allargata all’ambito dei media.
Tra il 2019 e il 2021 viene infine emanata una nuova legge, la quale stabilisce che una percentuale maggiore del traffico internet russo venga instradato attraverso server situati all’interno del Paese. Scopo dichiarato è la creazione di un internet russo (o “Runet“) più indipendente e a prova di attacchi informatici. Ad ogni modo, la legge prevede l’uso di una nuova tecnologia e l’istituzione di un centro di controllo subordinato a RKN in grado di monitorare e censurare il flusso del traffico internet a livello centrale nel cyberspazio russo, permettendogli di non dover più fare affidamento sull’assistenza di fornitori non sempre in linea con il governo.
Le elezioni di settembre e le possibili manipolazioni del governo
Negli ultimi anni, una delle voci più ascoltate tra i cori contro la cattiva gestione del governo e la mobilitazione delle masse in protesta contro la corruzione dell’establishment in Russia appartiene dunque ad Aleksej Naval’nyj e al suo team. Attraverso un blog personale su Live Journal, l’attivista ha dedicato la sua carriera alla messa in luce di tutti quei meccanismi di clientelismo nel governo russo e di falsificazione dei risultati elettorali con lo scopo di cementare l’occupazione di determinate cariche governative da parte dell’élite al potere.
La voce di Naval’nyj negli anni è diventata sempre più forte, tanto che l’attivista è stato riconosciuto (almeno all’esterno del Paese) come l’oppositore più credibile al governo di Putin. L’appoggio occidentale tuttavia gli è costato il titolo di spia e di estremista, accusato di sostenere l’agenda del nemico a detrimento della linea del Cremlino. Ciononostante, il blogger ha visto la consolidazione di una crescente rete di sostenitori, soprattutto tra i più giovani. Non è un caso, infatti, che successivamente al suo avvelenamento e incarcerazione, i social network hanno avuto un ruolo centrale nell’organizzazione delle proteste contro l’operato del governo. Queste piattaforme sono infatti più popolari tra i giovani e hanno permesso di mobilitare complessivamente 200.000 persone in 125 città. I partecipanti hanno preso parte a manifestazioni per la liberazione del blogger, nonostante le frequenti incarcerazioni dei partecipanti.
Proprio per questo motivo il 2021 ha visto un aumento importante delle restrizioni nei confronti dei social network e di internet. È stato infatti limitato temporaneamente l’accesso a Twitter e sono stati rimossi contenuti relativi al blogger, inoltre è stato ridotto lo spazio per la mobilitazione online attraverso l’arresto degli attivisti che si organizzavano sulle piattaforme digitali e sono stati messi al bando i più importanti gruppi di opposizione, etichettati come “estremisti”. Il governo ha anche preso di mira i media indipendenti online, utilizzando la designazione di “agente estero” per rendere più difficile il loro funzionamento.
Bloccato in prigione sin dall’inizio del 2021, e messo al bando il suo partito, Naval’nyj non ha potuto presentarsi alle elezioni parlamentari che hanno avuto luogo tra il 17 e il 20 settembre scorsi. Ciononostante, il gruppo a sostegno dell’attivista non ha abbandonato la sua causa cercando di sostenere candidati alternativi alle attuali figure governative attraverso l’uso dell’app “Smart Vote”. Questa piattaforma, utilizzata già dal 2018, avrebbe indirizzato gli elettori avversi all’establishment verso i candidati più vicini a sconfiggere Russia Unita. Si è calcolato che l’app, in precedenti occasioni, abbia permesso ai politici in opposizione al partito di governo di ottenere il 5,6% in più dei voti.
È iniziata in questo modo la lotta del governo contro le piattaforme che continuano a dar voce al blogger. RKN ha bloccato l’accesso degli utenti russi ai siti web associati a Naval’nyj, accusati di venire utilizzati per promuovere “attività estremiste proibite”. All’inizio di giugno vi è stata una fuga di dati di tutti gli iscritti all’app di Naval’nyj nel mercato nero. RKN ha chiesto a Google, che possiede il dominio di Smart Vote, di interrompere tutto il supporto tecnico al sito web, sostenendo che “tratta[va] illegalmente i dati personali dei cittadini russi”, mentre gli agenti di polizia bussavano alle porte dei sostenitori di Naval’nyj identificati nei database trapelati, chiedendo loro di sporgere denuncia contro il blogger e la sua squadra per aver gestito illegalmente le loro informazioni personali. L’app, tuttavia, non è stata rimossa e a inizio settembre RKN ha minacciato Apple e Google di multe salate per aver rifiutato di cancellarla dagli store. L’agenzia ha affermato che la mancata conformità da parte delle due società avrebbe potuto costituire almeno due reati: interferenza nelle elezioni parlamentari russe di settembre e partecipazione alle azioni di organizzazioni estremiste.
Utilizzando un nuovo hardware, una suddivisione speciale di RKN ha iniziato a bloccare il sito internet di Smart Vote, che è stato rimosso insieme ai suoi mirror anche da Yandex. A questo punto, Ivan Zhdanov, l’ex capo della Fondazione anticorruzione, ha annunciato che il team di Naval’nyj avrebbe cessato di raccogliere dati personali dagli user di Smart Vote. Messe nuovamente sotto pressione dal Cremlino, Apple e Google venerdì 17 settembre hanno effettivamente rimosso l’applicazione creata dall’opposizione. Le compagnie si sono giustificate sostenendo che l’applicazione sarebbe stata bloccata in quanto avrebbe incluso “materiale illegale in Russia”. Oltre a questa nota indirizzata al team di Naval’nyj, le due imprese americane si sono rifiutate di dare ulteriori spiegazioni in merito alla loro decisione.
Russia Unita, il partito di cui Putin è uno dei fondatori, ha dunque vinto nuovamente la maggioranza dei seggi alla Duma con il 49,82%, con un consenso poco più basso (solo di 4 punti percentuali) rispetto alla tornata precedente. Una volta pubblicati i risultati delle elezioni non sono mancate tuttavia le lamentele da parte dell’opposizione, che ha accusato il governo di brogli elettorali – possibili a suo avviso grazie a un sistema di votazione online opaco implementato a Mosca. I rappresentanti del Partito comunista sono scesi in piazza a protestare sostenendo che le elezioni non fossero valide in quanto non era stato permesso a Naval’nyj di candidarsi, ma soprattutto che il proprio partito aveva ottenuto molti più voti di quelli ufficialmente dichiarati.
Molti critici hanno inoltre affermato che il voto online si sia rivelato una “scatola nera”, con accesso molto limitato ai dati anche per i funzionari elettorali. Tre membri di una commissione elettorale istituita per il voto online di Mosca hanno dichiarato che i laptop utilizzati i per monitorare il processo di voto sono stati tagliati fuori dal sistema dall’inizio del conteggio dei voti fino alla pubblicazione dei risultati il giorno successivo. Inoltre, i risultati sono arrivati alla commissione in versione PDF senza alcun certificato di autenticità. Allo stesso tempo, anche un sito internet predisposto per il monitoraggio pubblico del voto online ha interrotto l’aggiornamento dei dati proprio durante la decrittazione dei voti espressi la notte dopo le elezioni. Dal canto suo, Putin si è detto soddisfatto del nuovo sistema, annunciando che in futuro verrà utilizzato anche nel resto del Paese.
Le interferenze statali nei media non sono un tratto specificamente russo. In entrambi gli emisferi non è un mistero che i politici si siano serviti dei social media per guidare l’opinione pubblica promuovendo certi slogan o censurando informazioni scomode. Le più recenti elezioni e le successive proteste hanno confermato nuovamente questa tendenza anche nella Federazione. L’etichettamento dei rivali politici come agenti esterni ed estremisti, accompagnato dalla manipolazione delle piattaforme online per favorire il mantenimento del potere delle élite, sono strumenti estremamente potenti. Eppure, una parte della cittadinanza continua a trovare nuovi canali per esprimere le proprie opinioni e organizzare movimenti di protesta. Rimane infine centrale il ruolo delle grandi compagnie tecnologiche occidentali, il cui schieramento può influire in maniera decisiva nell’esito di questa sfida.