La presa di potere da parte dei Talebani ha riacceso i fari sulla questione legata al TAPI: il gasdotto che dovrebbe collegare Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India. Le dichiarazioni del loro portavoce Shaheen fanno intendere le buone intenzioni dei Talebani riguardo la realizzazione del gasdotto, ma sorgono dubbi circa le capacità del nuovo governo di garantire la realizzazione e la messa in funzione dell’opera.
Percorrendo 1814 km e trasportando 33 miliardi di metri cubi di gas all’anno, il gasdotto del TAPI attingerà dai giacimenti turkmeni di Galkynysh fino a giungere nella città indiana di Fazilka, nei pressi del confine con il Pakistan. Si tratta di un’infrastruttura strategica per garantire la sicurezza energetica del subcontinente indiano, quadrante che soffre di una cronica penuria di combustibili fossili. Il progetto rappresenterebbe un’occasione per il Turkmenistan di dirottare parte delle proprie esportazioni verso una regione diversa dalla Russia, tradizionale mercato di sbocco del gas turkmeno. Mosca ha da sempre tenuto un atteggiamento assertivo nei confronti delle politiche energetiche del suo estero vicino, tendendo ad accentrare su di sé i flussi di risorse, che acquistava a basso costo e rivendeva all’estero ad un prezzo maggiorato. La crisi afghana di quest’estate ha gettato un velo di incertezza sul destino del progetto, presto dissipato dai Talebani stessi.
Già nel mese di febbraio una delegazione talebana si è recata ad Ašgabat per rassicurare le autorità turkmene riguardo la realizzazione del progetto. Questa intenzione di collaborare è stata ribadita in estate da Shaheen, portavoce dei Talebani, evidenziando come il TAPI sia “un progetto prioritario a lungo termine”, supportato pienamente da Kabul. Ciononostante, i Talebani contano al loro interno diverse correnti e non tutte perseguono gli stessi obiettivi. Qualora le divergenze dovessero sfociare in vere e proprie scissioni, queste potrebbero mettere in crisi la stabilità del nuovo governo e di conseguenza rallentare, se non fermare, la realizzazione del gasdotto, allontanando gli investitori.
Per Ašgabat il fallimento non è un’opzione
Il Turkmenistan, dal canto proprio, ha già costruito all’interno del Paese il tratto del gasdotto fino al confine con l’Afghanistan. Il governo di Ašgabat, infatti, ha un estremo bisogno di rendere il TAPI funzionante. Come accennato, gli obiettivi del Paese sono: poter diversificare le rotte di esportazione, superare gli attuali limiti alla sua produzione di gas naturale e farne ripartire la distribuzione. Quest’ultima ha subito una forte compressione a causa della pandemia, responsabile della diminuzione della domanda energetica della Cina, prima importatrice del gas turkmeno attraverso un gasdotto che attraversa anche l’Uzbekistan ed il Kazakistan prima di giungere nello Xinjiang.
Il gas turkmeno oggi costa il doppio rispetto al gas naturale liquido statunitense, rendendolo meno competitivo e allontanando numerosi investitori dal Paese centro-asiatico. Il mercato energetico nazionale, fortemente statalizzato e poco aperto agli investimenti dall’estero, rischierebbe di perdere ulteriori posizioni da uno stop al progetto del TAPI. Lo stesso Turkmenistan si è ritrovato nell’impossibilità di ricercare tra i Paesi europei nuovi partner, a causa del niet russo che per lungo tempo ha impedito ad Ašgabat di far transitare autonomamente il gas verso l’Europa. Pertanto, la ripresa dell’economia turkmena, colpita dalla pandemia e dal calo della domanda internazionale di gas naturale, passa necessariamente da Kabul e dal suo nuovo governo. Il mercato indiano è di fondamentale importanza per l’economia turkmena e la stabilità geopolitica della regione rappresenta una conditio sine qua non per l’operatività del gasdotto.
L’interesse dei Talebani nei confronti del TAPI non deriva dall’intenzione di impiegare il gas all’interno del Paese, in quanto l’Afghanistan è una nazione completamente priva di generatori di energia e reti di distribuzione in grado di utilizzare effettivamente il gas turkmeno. Ciò che alletta Kabul è l’introito generato dalle tasse di transito del gasdotto, oltre alla ricaduta positiva sull’occupazione legata ai lavori di costruzione, elementi molto importanti per mantenere la stabilità a livello nazionale.
Rivalità indo-pakistana: un ostacolo da superare
Anche gli altri due attori coinvolti nella realizzazione del gasdotto, Pakistan e India, premono affinché l’opera venga ultimata. Il Pakistan è storicamente un Paese che soffre di scarsità energetica, ma la sua rivalità con l’India è un ostacolo che rischia di compromettere l’attivazione del gasdotto in quanto entrambi gli Stati competono per espandere le rispettive sfere di influenza in Afghanistan.
La presenza degli indiani sul territorio afghano è sempre più consistente. Dopo il ritiro delle truppe statunitensi, infatti, Nuova Delhi si è offerta di fornire assistenza militare al governo di Kabul. Il tentativo dell’India di estendere la sua influenza in Afghanistan non è stato gradito dal Pakistan, e nemmeno i Talebani vedono di buon occhio la presenza indiana. Come contromisura il Pakistan pretenderebbe che il Turkmenistan faccia affluire il gas all’India a patto che questa lo paghi molto di più rispetto al prezzo d’acquisto. Nuova Delhi, dal canto proprio, accetterà di acquistare il gas turkmeno solo se questo non supererà il prezzo di sbarco che l’India paga per il gas naturale liquefatto.
Uno dei principali elementi di frizione tra il Turkmenistan e l’India in merito alla realizzazione del progetto è legata proprio alla ritrosia indiana verso il prezzo desiderato da Ašgabat. L’intesa azero-turkmena di inizio anno, in tal senso, rappresenta il tentativo concreto del Turkmenistan di raggiungere il mercato europeo per beneficiare dei più alti prezzi dell’energia rispetto ai suoi mercati di sbocco tradizionali, Russia e Cina, e potenziali, come l’India.
Un’infrastruttura strategica per l’intera regione
Diversi fattori potrebbero determinare il fallimento del TAPI : la crisi economica indotta dalla pandemia, le divergenze tra le varie correnti presenti all’interno del nuovo governo talebano, i mancati accordi tra gli Stati parte di questo progetto. Nell’ipotesi in cui il TAPI non venisse reso funzionante ciò rappresenterebbe un fallimento soprattutto per il Turkmenistan e l’Afghanistan.
Il Turkmenistan prolungherebbe la sua recessione economica, trovandosi impossibilitato ad aumentare le esportazioni della principale risorsa del suo territorio, il gas, venendo di conseguenza surclassato dalla concorrenza. Il governo talebano perderebbe un importante affare e minerebbe la sua credibilità agli occhi di possibili investitori, i quali rivolgerebbero i loro interessi altrove. Osservando questo scenario si evince come la realizzazione del gasdotto comporterebbe grandi vantaggi a livello economico e politico, rilanciando sullo scacchiere internazionale sia il Turkmenistan sia l’Afghanistan.