A trent’anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli Stati baltici hanno progressivamente riorientato l’asse dei collegamenti terrestri prioritari: dallo storico Est-Ovest che li congiungeva alle altre repubbliche sovietiche, al nuovo Nord-Sud, rappresentato dal tracciato della Rail Baltica, il percorso non ancora ultimato che collegherà Helsinki a Varsavia. Tuttavia, il vecchio assetto orizzontale non è rimasto un binario morto, specialmente da quando la Cina ha fatto il suo ingresso sulla scena.
Sia la Russia che la Cina rivestono un ruolo di primo piano nello sviluppo delle connessioni logistiche e tecnologiche degli Stati baltici. Per la Russia, il legame con Estonia, Lettonia e Lituania ha radici storiche e geografiche. Anche oggi, con le repubbliche indipendenti da tre decenni, Mosca fa sentire la sua influenza sulla regione, quel “vicino estero” che ancora considera sua zona di interesse. La Cina invece non ha legami territoriali né storici, e a prima vista sembrerebbe difficile intuire perché Pechino nutra interesse per tre Paesi che non spiccano per abbondanza di risorse naturali, né per le dimensioni dei loro mercati. Estonia, Lettonia e Lituania potrebbero invece rivelarsi tasselli strategici per incrementare la presenza cinese in Europa, sia come snodi per il trasporto dei prodotti cinesi verso i mercati dell’Europa occidentale, sia come potenziali clienti per le aziende dell’high tech. Ma sia la Russia che la Cina devono fare i conti anche con la presenza della NATO e dell’Unione Europea sul territorio.
La Russia preme sul Baltico
Mentre sul piano dell’influenza tecnologica la Russia ha poche carte da giocare, per quanto riguarda i trasporti Mosca è da tempo attiva in due direzioni: da una parte, sta rapidamente potenziando le infrastrutture portuali e terrestri nella regione di San Pietroburgo, con l’obiettivo di aumentare il flusso di merci in transito nell’area, e dall’altra, il Cremlino non perde di vista la possibilità di controllare la rete dei trasporti nei Paesi baltici, specialmente i collegamenti ai porti e all’Oblast’ di Kaliningrad, inaccessibile direttamente dalla Russia per via terrestre.
Dal 2000 i porti di San Pietroburgo, Ust Luga, Primorsk e Vysotsk hanno incrementato notevolmente la movimentazione di merci, passando dagli 11,8 milioni di tonnellate del 2010 ai 102,6 del 2020. All’inizio, a soffrirne maggiormente è stata l’Estonia, ma dal 2018 la più colpita è stata invece la Lettonia: in particolare, nel 2020 le ferrovie e i porti lettoni hanno movimentato il 41,9% in meno di merci russe rispetto all’anno precedente, retrocedendo ad un volume complessivo di 24,1 milioni di tonnellate. Al contrario, nello stesso periodo, la Lituania non ha sofferto particolarmente del cambio di rotta di Mosca, che aveva invece già pagato agli inizi del 2000: il porto di Klaipeda ha visto crescere i suoi numeri del 53% nel periodo compreso tra il 2010 e il 2020, grazie al 32% di merci di provenienza bielorussa che transitano dallo scalo lituano (corrispondenti circa a 155 milioni di euro).
Mosca mette costante pressione a Minsk per riorientare i flussi di merce dai porti russi, in particolare proponendo tariffe agevolate per il transito di alcune categorie di prodotti, ma al momento non ha ancora raggiunto lo scopo desiderato. Dalla crisi bielorussa del 2020 lo scenario volge però sempre più favorevolmente per la Russia, anche a seguito delle sanzioni imposte a Minsk dall’Unione Europea nel giugno 2021. Nel frattempo, Mosca cerca di ottenere dalla Lituania un accordo per acquisire il controllo del corridoio ferroviario che la congiunge a Kaliningrad eliminando controlli doganali e alla frontiera. La Lituania ha invece già respinto, agli inizi del 2000, il progetto “2K” proposto dalla Russia, per un coordinamento congiunto dei porti di Kaliningrad e Klaipeda.
Potenzialità e rischi della penetrazione cinese nei Baltici
La pressione russa nell’area è funzionale alla strategia di espansione cinese, in quanto ha l’effetto di ridurre la competizione per le infrastrutture esistenti, e fa aumentare l’interesse dei Paesi baltici per i flussi di merce provenienti dalla Cina. Allo stesso tempo, la Russia guadagna dal transito delle merci cinesi sul proprio territorio, in quanto le rotte ferroviarie che congiungono la Cina all’Europa la attraversano inevitabilmente. Tra il 2008 e il 2018 i Paesi baltici avevano grandi aspettative circa la possibilità di attrarre merci cinesi, anche nell’ottica di compensare il calo di quelle russe. Questo specialmente grazie alle promesse cinesi sugli investimenti nell’ambito dell’iniziativa “Belt and Road (BRI)”, ma le previsioni iniziali si sono progressivamente rivelate inesatte.
Le Ferrovie Russe hanno riportato che nel 2020 il transito di merci sulla rotta Cina-EU-Cina è stato di 592.000 TEU (l’unità che corrisponde ad un container da 6 metri), ovvero il 54,2% in più rispetto ai volumi del 2019. Di questi, 55.300 diretti o transitati dalla Lituania (mentre i volumi si Estonia e Lettonia sono stati irrisori), che corrispondono a 630 treni contro il 130 dell’anno precedente. Nonostante tutto, i volumi non soddisfano le aspettative: le merci cinesi rappresentano solo circa il 2% dei flussi complessivi lituani. È inoltre importante sottolineare che la Lituania beneficia del passaggio delle merci cinesi soprattutto grazie all’iniziativa di Mosca di costruire un hub per il transito dei beni diretti nella regione di Kaliningrad. Il nastro è stato tagliato nel 2019, e al momento i risultati sono stati eccellenti, sia a favore della Russia che della Lituania: dei 55.300 TEU di merci cinesi transitati sulle ferrovie lituane nel 2020, 47.500 (ovvero lo 86,5%) erano diretti a Kaliningrad.
I motivi dell’incremento dei flussi dalla Cina verso i Paesi baltici sono molteplici. A seguito della pandemia di Covid-19, le rotte ferroviarie hanno conosciuto una considerevole espansione, principalmente a causa dei forti rallentamenti subiti dai trasporti marittimi e del conseguente aumento esponenziale delle relative tariffe. Inoltre, le tre aziende postali nazionali baltiche hanno stretto accordi con importanti partner cinesi per ottenere la gestione logistica delle merci dirette in Europe e in Russia: dal 2017, Latvijas Pasts detiene un accordo con Alibaba, in particolare per quanto riguarda le merci via aereo; Lietuvos Pastas ha firmato un contratto con China Post nel 2019 che la designa a hub per i treni a viaggio diretto provenienti dalla Cina; e nel 2015 Estonian Post ha siglato un accordo di cooperazione con S.F. Express, una tra le aziende logistiche leader in Cina.
La Cina sta anche cercando di costituirsi parte attiva nella realizzazione delle infrastrutture portuali della regione. Pechino ha tentato l’acquisizione del porto di Klaipeda agli inizi del 2000, ma nella fase conclusiva del progetto, nel 2017, l’intelligence lituana ha messo in guardia il parlamento dal proseguire i lavori, a causa delle implicazioni negative per la sicurezza nazionale e delle possibili interferenze da parte del governo cinese negli affari interni. Al momento, il progetto sembra essere stato archiviato definitivamente. Diversi esperti di sicurezza baltici sostengono che la Cina non tenterà la stessa strada con il porto di Riga, in Lettonia, a causa del coinvolgimento di diversi partner russi.
Diverse aziende strategiche cinesi hanno anche tentato di partecipare alla costruzione della Rail Baltica, che connetterà, tra gli altri, gli Stati baltici al sistema ferroviario europeo (per la prima volta con lo stesso scartamento dei binari, quello europeo, appunto). Allo stesso tempo, i cinesi si sono mostrati molto interessati anche ad altri progetti più settentrionali, come la Northern Sea Route, che dovrebbe arrivare fino a Berlino, e la Arctic Railway. Al contrario, l’atteggiamento russo nei confronti del progetto della Rail Baltica è esplicitamente ostile, definito dal Cremlino “irrealizzabile sia a livello economico che geopolitico”.
Per quanto riguarda l’espansione delle aziende high-tech e informatiche cinesi nei mercati baltici, l’atteggiamento delle tre repubbliche è di totale cautela e diffidenza, in quanto si teme che la Cina potrebbe avvantaggiarsi in maniera sleale dagli accordi raggiunti attraverso sistemi di sorveglianza nascosti e intromissioni nell’operatività e nei progetti di interesse nazionale. Anche in questo caso, alle aspettative positive di inizio secolo è seguita una brusca battuta d’arresto negli scorsi anni che ha congelato i progetti cinesi nella regione.
Un impatto (ancora) limitato
Mentre la Russia tutt’oggi sviluppa la sua strategia per i Paesi baltici puntando sui forti legami economici risalenti all’Unione Sovietica (come il comune sistema di approvvigionamento dell’energia elettrica, considerevoli partecipazioni nei porti baltici, e la posizione dominante nella fornitura di gas naturale), la Cina, al contrario, guarda a potenziali progetti di penetrazione nella regione per il prossimo futuro. Per il momento, nessuno degli scenari favorevoli escogitati da Pechino ha ancora visto la luce (primo fra tutti, l’investimento cinese nell’ambito dell’iniziativa One Belt One Road). In termini concreti, questo implica inoltre che nessuna delle due potenze è finora riuscita a mettere seriamente in crisi l’egemonia della NATO (e di Washington) nell’area del Baltico, ma lo scenario è ancora, decisamente, aperto.
Guendalina Chiusa