Due Paesi apparentemente distanti, Ucraina e Siria, in realtà condividono molto – almeno agli occhi di Mosca. Dalle coincidenze cronologiche al passaggio dei mercenari, fino al ruolo chiave dell’ambigua Turchia: una ricostruzione che ci aiuta a chiarire i legami tra il Mar Nero e il Mediterraneo.
Pochi si sono accorti di una curiosa coincidenza: il 21 gennaio, a Ginevra, si sono incontrati il ministro degli Esteri russo Lavrov e il segretario di Stato Usa Blinken per parlare di Ucraina, ma anche l’inviato delle Nazioni Unite per la Siria Geir Pedersen con il vice segretario di Stato Usa per il Medio Oriente Ethan Goldrich. Però, appunto: una coincidenza? Nel caso particolare, ovvero nel giorno e nel luogo, forse sì. Ma è piuttosto evidente che Ucraina e Siria sono legate da un filo rosso che si dipana a partire dalle strategie (sempre che non si debba chiamarle urgenze) politiche del Cremlino.
Pensiamo a quanto furono ravvicinati gli interventi russi: il 20 febbraio del 2014 partì la riannessione della Crimea (poi, il 6 aprile, cominciarono gli scontri nel Donbass) e il 30 settembre del 2015 le truppe russe si posizionarono in Siria. E pensiamo a quanto si somiglino, nel profondo, le ragioni delle due mosse: nell’uno come nell’altro caso si trattava di non lasciare spazio all’ulteriore avanzata degli Usa e dei loro alleati in aree considerate cruciali per gli interessi geopolitici della Russia
È chiaro che per Mosca, su entrambi i terreni, si è trattato di mettere in pratica quanto Vladimir Putin, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco del 2007, disse con estrema durezza: “È un mondo (quello di oggi, n.d.r) in cui c’è un padrone, un sovrano. Alla fine questo non solo è pericoloso per tutti quelli compresi in questo sistema, ma anche per il sovrano stesso, perché distrugge se stesso dall’interno… Io penso che nel mondo d’oggi il modello unipolare non solo sia inaccettabile ma che sia anche impossibile”. In modo assai significativo, subito dopo questo passaggio Putin aggiungeva che nessuna potenza aveva “risorse militari, politiche ed economiche sufficienti” per affermare una leadership esclusiva. E se ci pensiamo bene, da allora ogni occasione è stata buona, per il Cremlino, per tentare di dimostrare questo teorema: la guerra con la Georgia per l’Ossetia del Sud nel 2008, la Crimea e il Donbass nel 2014, la Siria nel 2015, adesso un nuovo confronto con l’Occidente per interposta Ucraina.
La Siria, tra l’altro, è servita alla Russia per tutta una serie di altre cose nella stessa linea. Con la base navale di Tartus si è dotata di una interessante testa di ponte nel Mediterraneo. E con la base aerea di Hmeimim ha reso alla Nato una piccola ma significativa pariglia. La riannessione della Crimea aveva lo scopo di sventare la possibilità, temuta tuttora, di ritrovarsi portaerei Usa o missili Nato ai confini. Ma in Siria, e Hmeimim appunto, le forze armate russe hanno potuto installare, grazie agli accordi con Bashar al-Assad, i sistemi missilistici di difesa aerea S-300 e S-400, che si trovano così a soli 300 chilometri dalla base aerea Nato in terra turca di Incirlik, dove sono state a lungo dispiegate le bombe atomiche americane. Per non parlare di uno spiffero che arriva da Israele, secondo cui la Russia starebbe arruolando volontari siriani da mandare a combattere in Ucraina, una volta concluso l’addestramento in una base non lontana da Homs.
C’è infine un altro fattore che lega l’Ucraina alla Siria, ed è il complesso rapporto tra Mosca e Ankara e tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan. La Turchia di Erdoğan non ha mai riconosciuto la riannessione della Crimea alla Russia e, anzi, sta sviluppando una partnership strategica con l’Ucraina. I droni turchi Bayratktar TB2 hanno dato nuova sicurezza alle truppe ucraine che combattono nel Donbass. E nella regione di Kiev sono stati già avviati i lavori di costruzione di una fabbrica da cui usciranno i droni di tipo Ucav che avranno motori ucraini e avionica turca. Nello stesso tempo, sfidando anche le ire degli Usa, la Turchia nel 2021 ha acquistato il famoso sistema missilistico russo S-400. Il tutto dentro un quadro in cui Erdoğan e Putin hanno costruito la coppia più strana e imprevedibile del momento. In Ucraina, come detto, rischiano di far scontrare i “gioielli” dei rispettivi arsenali. In Siria hanno sostenuto parti ferocemente in lotta (la Russia ha salvato Assad dalla disfatta, la Turchia ha in seguito fatto lo stesso con le formazioni ribelli e islamiste che appoggiava in funzione anti regime), ora pattugliano insieme la provincia di Idlib, entrambi incapaci di mettere definitivamente le redini ai guerriglieri che la controllano. Per non parlare della Libia: anche lì, Putin ed Erdoğan sono in teoria acerrimi nemici, visto che il primo si è schierato accanto all’Egitto per il generale Haftar mentre il secondo, insieme con gli Emirati Arabi, è dalla parte del Governo di Tripoli. Ma alzi la mano chi non ha la sensazione che, come in Siria e in Ucraina, anche in Libia l’uno trovi nell’altro il migliore dei nemici possibili.
Fulvio Scaglione