Tre ipotesi e nessuna certezza su ciò che accadrà nei prossimi giorni: un grande bluff, la paventata guerra o un colpo di stato. Scenari che possono persino sovrapporsi. Grande è la confusione sotto il cielo di Kiev, e se anche gli attori in gioco non ci vedono chiaro i segnali non sono affatto buoni.
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“Penso che oggi ci siano troppe informazioni su un possibile attacco da parte dei russi. Si parla persino di date approvate. Comprendiamo tutti i rischi […], se qualcuno ha qualche informazione aggiuntiva sulla possibilità di un’invasione al 100% ce la dia”. E ancora (significativamente, in inglese): “Abbiamo informazioni diverse, in questo momento. Il più grande nemico del popolo è il panico nel nostro Paese, e tutte queste informazioni stanno solo alimentando il panico. E non ci aiutano”.
Le parole pronunciate ieri dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskij possono essere un buon inizio per comprendere cosa sta succedendo in queste ore ai confini orientali del nostro continente. Quantomeno perché, se vogliamo credervi (e non abbiamo ragioni sensate per non farlo) ci rassicurano su un fatto essenziale: non siamo i soli a vedere molta, troppa nebbia attorno all’escalation tra Russia e Ucraina (o meglio, tra Russia e Stati Uniti) che sembra non smettere mai di raggiungere nuovi picchi.
In altre parole, ciò a cui stiamo assistendo non è affatto lineare, e non può essere spiegato solo attraverso le solite analisi su costi e benefici. Qualcosa sta sfuggendo a tutti, persino ad alcuni attori centrali della scena (come appunto il presidente ucraino), figuriamoci a chi può limitarsi a valutare le mosse di questi ultimi. La nostra missione però ci impone di trovare delle spiegazioni, nonché delle caute previsioni, sulla base dell’esperienza storica e di tutte le informazioni ad oggi disponibili. Senza alcuna pretesa di infallibilità.
Iniziamo dallo scenario che continuiamo a ritenere più improbabile: un’invasione in grande stile dell’Ucraina da parte russa, che punti su Kiev e sull’occupazione di una larga fetta del suo territorio (escluse le province più occidentali). Risparmiamo al lettore le carte – ormai molto diffuse tra i media nostrani, per chi volesse – che illustrano bene le possibili tappe e direttrici di una simile blitzkrieg. Più utile, a nostro avviso, sottolineare l’inverosimiglianza dello scenario, come abbiamo già fatto da qualche settimana a questa parte: a pesare sarebbe soprattutto l’altissimo prezzo – geopolitico, finanziario, reputazionale e forse umano – che Mosca dovrebbe affrontare per mettere a frutto una simile impresa. A che pro?
Fin qui, comunque, rientriamo nelle consuete valutazioni costi-benefici di cui si nutrono tutti gli analisti. E non è infatti un caso che in larga maggioranza (almeno limitandoci a chi non si è improvvisato tale) siano arrivati alle stesse conclusioni. Ma qualcosa, è bene segnalarlo, sembra essere cambiato nelle ultime 48 ore. Al punto da accelerare in modo imprevisto le consultazioni, alimentando la percezione di un rischio bellico imminente – e nell’approssimarsi di una guerra le percezioni sono (quasi) tutto. Il presidente statunitense Biden ha insistito per un nuovo confronto telefonico con Putin, ottenendolo a stretto giro dopo qualche pressione. Il suo omologo francese Macron, già fresco protagonista di una fallimentare (ormai possiamo dirlo) missione a Mosca e Kiev, ha avviato un’iniziativa parallela. Su tutto, ha gravato l’ombra di una Russia non più passiva spettatrice degli eventi, ma pronta ad agire – non si sa bene come.
Il nervosismo è un tratto ormai comune, ma ha iniziato a trapelare in modo sorprendente anche dalla sponda russa, solitamente più fredda. E questo forse ha allarmato i vertici rivali, insieme a qualche altra possibile rivelazione di cui ovviamente non possiamo sapere. Restando su questa linea possiamo avanzare le prime due ipotesi.
La prima – forse la più plausibile – è che Putin stia portando avanti un bluff estremo, forse il più ardito e pericoloso della sua pur lunga carriera da leader: la minaccia credibile di un intervento militare in Ucraina, su vasta o ridotta scala, per costringere le sue controparti a sedersi sul tavolo delle trattative con qualcosa di più concreto delle parole di circostanza, di cui il presidente russo non si fida più. Azione temeraria, ben inquadrabile nel chicken game (per chi ha studiato la teoria dei giochi) e dunque non esente dal rischio di dover portare a compimento le minacce paventate. Un all-in che ben spiegherebbe la vitalità della questione ucraina – o meglio, della difesa dall’espansione NATO – per gli interessi nazionali russi.
La seconda ipotesi si muove sugli stessi binari, ma presuppone che il Cremlino abbia già realmente deciso in favore di un intervento in Ucraina (a meno di ormai improbabili dietrofront dei rivali). Nessuna invasione su vasta scala, per le ragioni già esposte prima, ma un attacco mirato che colga di sorpresa l’élite ucraina (scettica oggi su tale possibilità) e magari sveli un altro bluff, quello di Washington che non sarebbe davvero disposta a correre in aiuto di Kiev. I costi politici e materiali dell’operazione sarebbero pur sempre molto alti, ma le stime di Mosca potrebbero divergere dalle nostre. O più semplicemente Putin potrebbe essersi stancato dell’ennesimo tira e molla con la NATO, optando per una soluzione “imprevista” – usiamo qui paradossalmente la parola – anche per liberarsi dalle accuse interne di scarsa assertività nella risposta alle aggressioni dei rivali.
Entrambe le ipotesi spiegherebbero l’improvvisa frenesia di consultazioni a Occidente, che si somma ai crescenti inviti verso i propri concittadini a lasciare l’Ucraina e a un già tesissimo clima mediatico – che a sua volta non giova certo a distendere i toni, come ha opportunamente segnalato Zelenskij. Tali scenari deformano la percezione corrente del rapporto rischi-benefici per Mosca (ancora oggi, per tanti analisti, appiattita sulla linea della passività per non cadere in trappola) e ci introducono in una situazione pericolosamente nuova, anche se ponderabile.
Del tutto imponderabile è invece un’ipotesi terza, che ci sentiamo pur tra le dovute cautele di avanzare. Ci siamo fin qui concentrati sul “gioco” in atto tra i due protagonisti della contesa, la Russia e la NATO guidata dagli Stati Uniti. Occorre forse ricordare che l’Ucraina, oggetto della disputa, è anch’essa suo malgrado protagonista, e come tale può rivelarsi determinante nell’alterazione degli equilibri in campo. Le parole di Zelenskij, riportate all’inizio di questa analisi, non sono il frutto di un colpo di testa improvviso ma solo l’ultima esternazione di un timore già espresso da settimane, e condiviso da tutti i membri del suo entourage. Insomma, per il governo ucraino il pericolo più grande non sarebbe l’invasione russa, bensì il panico diffuso in modo scriteriato tra la sua popolazione – e tra i suoi investitori internazionali, aggiungiamo noi, ricordando la dipendenza di Kiev dai prestiti del FMI.
Condivisibili o meno, le tesi di Zelenskij e soci riflettono un chiaro malumore nei confronti dell’alleato statunitense, dunque un tangibile scollamento all’interno del fronte che dovrebbe contrastare l’offensiva russa. Qualcosa che già stonerebbe in tempi “normali”, figuriamoci adesso che la crisi è alle stelle. Ecco perché non è poi così peregrina l’idea di un cambio dei vertici ucraini, in forma morbida (una formale crisi di governo) o violenta (un colpo di stato). Non sarebbe la prima né l’ultima volta, e potrebbe servire a ricompattare il Paese su toni nazionalisti, magari allo scopo di una drastica offensiva sul Donbass – e a quel punto Mosca difficilmente resterebbe a guardare.
Non sono i soli scenari possibili, e non è neanche detto che in qualche misura non possano sovrapporsi. Tuttavia servono a fornirci qualche prospettiva plausibile su un futuro mai così incerto come si presenta adesso. Ad ogni modo resta, tra tutti gli osservatori, la sgradevole sensazione che qualche conto non stia tornando. E che un conflitto di proporzioni indefinite possa inaspettatamente manifestarsi dopo anni, anzi decenni di allarmi a vuoto. Ci auguriamo soltanto di allungare tale scia.