In Estonia l’aumento dei prezzi di elettricità e gas ha riacceso la miccia del dibattito interno sull’approvvigionamento energetico. Un tema sul quale i Baltici, contrariamente alle aspettative, non sono affatto in sintonia tra loro.
A Tallinn la magia del Natale si è spenta in fretta quest’anno. Letteralmente. La capitale ha deciso di contenere i costi dell’elettricità, che hanno raggiunto livelli da record, eliminando i consumi superflui. Spina staccata in anticipo quindi per le luminarie natalizie in primis, ma anche per i filari di luci decorative di parchi e giardini. La misura dovrebbe permettere alla città di risparmiare circa 55.000 € sulla bolletta dell’energia elettrica. A Viljandi, nel centro del Paese, le cose vanno anche peggio: la città toglierà l’illuminazione stradale da mezzanotte alle 5 del mattino, per compensare le spese di dicembre. Un conto da quasi 20.000 €, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2020.
L’aumento del prezzo dell’energia ha riacceso il dibattito pubblico in Estonia sulla differenziazione delle fonti energetiche, tema che ciclicamente ritorna sul tavolo del governo e che quest’anno si è fatto inaspettatamente urgente, a causa degli spropositati rincari degli ultimi mesi. Lo scorso dicembre, il prezzo dell’elettricità ha registrato un aumento del 345% rispetto all’anno precedente (da una media di 45,90 € / MWh a 202,65 € / MWh), dovuto in parte all’aumento della domanda dei consumi (l’inverno in corso ha fatto segnare temperature più rigide rispetto allo scorso), ma anche alla ripresa delle attività economiche dopo le prime ondate pandemiche. In media, in dicembre il consumo di elettricità in Estonia è cresciuto del 10%, dato che però va in controtendenza con l’andamento generale del 2021, in cui i consumi sono scesi dagli 8,44 Twh del 2020 agli 8,05 del 2021.
Misure di emergenza
Nella seconda metà di gennaio, il governo ha emanato una serie di misure straordinarie a supporto di privati cittadini ed imprese per alleviare l’impatto delle bollette (astronomiche) di gas ed elettricità, in alcuni casi più che raddoppiate rispetto al 2021. Dopo due giorni dalla pubblicazione, nella sola città di Tallinn sono state ricevute più di 5.000 richieste di sussidi, più di quelle che si registrano normalmente in un intero mese. La municipalità se ne aspetta in totale circa 60.000, tanto che è stato necessario assumere 15 funzionari per smaltire tale domanda, e potrebbero non bastare. Il sussidio potrà essere applicato anche retroattivamente, da settembre 2021, e prevede una compensazione da parte dello Stato sia per il prezzo dell’elettricità, che per quello del gas naturale. Per quanto riguarda l’elettricità, lo Stato potrà rimborsare fino all’80% dell’importo della bolletta se il prezzo eccede 0,12 € / Kwh di media, scontando un massimo di 500 € al mese per nucleo familiare, fino ad un tetto massimo di 650 kWh. Per il gas invece la compensazione sarà applicata se il prezzo supera i 65 € / Mwh, a coprire fino al 100% dell’importo della bolletta. Inoltre, il governo ha deciso di rimuovere la spesa fissa per l’allaccio alla rete del gas (mediamente, un appartamento riscaldato a gas a Tallinn consuma circa 1,05 metri cubi di gas all’anno, corrispondenti a circa 10,55 kWh per metro cubo).
Si stima che la manovra costerà all’Estonia tra gli 80 e i 90 milioni €, un buon compromesso tra le parti al tavolo, secondo il Primo Ministro Kaja Kallas, che ha però invitato a non abbassare la guardia sul tema: il prezzo dell’energia potrebbe subire ulteriori rincari, ed è impossibile prevedere quando tornerà a livelli tollerabili. I provvedimenti sono stati pensati per intervenire nel breve termine (resteranno in vigore fino alla fine di marzo), ma potrebbero non bastare comunque. Nelle scorse settimane, alcune migliaia di persone sono scese in piazza a Tallinn per chiedere più sostegno da parte del governo, guidate dal partito conservatore (EKRE), che siede all’opposizione.
E non è solo l’energia a svuotare le tasche degli estoni. Anche fare la spesa è diventato più costoso, con il prezzo di molti generi alimentari in netto rialzo già dall’estate, e le previsioni parlano di ulteriori aumenti nei prossimi mesi. Il rincaro dei prezzi dell’energia e dei cereali ha messo agricoltori e industria alimentare in una situazione scomoda: inizialmente, molti hanno cercato di tamponare l’aumento dei prezzi verso il consumatore finale limando una parte dei propri profitti, ma così non può bastare. Ad esempio, nel 2021 un litro di latte costava in media 0,31 € per il produttore, mentre oggi si paga 0,41 €, con un aumento del 29%. In particolare, le aziende che si servono di gas naturale sono quelle più in difficoltà, mentre un’ulteriore penalizzazione generalizzata è data dall’aumenti dei costi dei trasporti. Le associazioni di categoria hanno espresso la loro preoccupazione nei confronti dei rincari, spiegando che se i prezzi si manterranno su livelli elevati troppo a lungo, c’è il rischio che aziende tedesche o polacche possano invadere il mercato estone ed erodere grosse fette di mercato a discapito dei produttori locali.
Il divorzio dalla BRELL
Quale perfetto esempio di importatore netto, l’Estonia, così come Lettonia e Lituania, è ben lontana dall’autosufficienza, per quanto riguarda il fabbisogno di energia elettrica. Fino al 2025, i tre Stati Baltici saranno connessi alla BRELL, l’infrastruttura che connette Bielorussia, Russia, Estonia, Lettonia e Lituania, retaggio dell’Unione Sovietica, e che ha continuato a sostentare le tre Repubbliche durante i primi 30 anni dall’indipendenza. Ma l’approvvigionamento energetico è un tema delicato e strettamente connesso alla questione della sicurezza nazionale, e non è un mistero che sul Baltico non piacesse che l’interruttore della BRELL fosse nelle mani di Mosca.
Nel 2017 gli Stati Baltici hanno annunciato di voler divorziare da Mosca per allacciarsi alla rete europea, la CEN (Continental European Network), dalla fine del 2025. Dal punto di vista tecnico e della sicurezza, la separazione non aveva un vero carattere di urgenza, né sembrava assolutamente indispensabile: la Russia non avrebbe potuto arrecare danni seri ai Baltici senza rischiare di danneggiare la propria rete (tagliando fuori l’enclave di Kaliningrad, per esempio). La decisione dei Paesi Baltici è scaturita a seguito dei moniti ricevuti da parte della NATO, che ha evidenziato i rischi della dipendenza nei confronti della Russia. I Baltici hanno formalmente annunciato l’uscita dalla BRELL nel 2018, e la reazione di Mosca non si è fatta attendere: espresso il formale dispiacere, il Cremlino ha dichiarato che avrebbe predisposto la disconnessione dei Baltici e ristrutturato l’apparato, in primis per creare un sistema di approvvigionamento indipendente per la regione di Kaliningrad.
Il trasloco procede spedito: lo scorso dicembre sono state effettuate con successo le prove di allaccio tra Lituania e Polonia, ovvero l’anello di congiunzione tra il sistema europeo e i Baltici. La sincronizzazione tra l’operatore lituano Litgrid e quello polacco Polskie Sieci Elektroenergetyczne è costata nel complesso circa 1 miliardo € (quasi tutti provenienti da fondi europei). Il CEO di Litgrid, Rokas Masiulis, la mattina seguente ai test ha commentato che “si può dire che i tre Paesi Baltici si siano svegliati più sicuri di quando sono andati a dormire la sera precedente”. L’interruttore del LitPolLink sarà installato a Tallinn, insieme al Joint Regional Coordination Centre.
Le ragioni della discordia
Sembrerebbe tutto liscio come l’olio, ma le cose non stanno esattamente così. Il fatto che il progetto sia stato approvato all’unanimità da Tallinn, Riga e Vilnius e stia procedendo a tutta velocità con il sostegno di Polonia ed Unione Europea ha qualcosa di miracoloso, se guardiamo la quantità di polvere sotto al tappeto. In realtà, c’è voluto più di un decennio per sincronizzare la volontà politica e la visione strategica dei tre Baltici.
L’indissolubile unità d’azione e di pensiero baltica è più una leggenda, che non la realtà. In verità, grattando un po’ la superficie, emergono importanti divergenze, in particolare sui temi energetici domestici e regionali. L’esempio più calzante è probabilmente quello della centrale nucleare bielorussa di Astravyets.
La centrale, ufficialmente operativa dal 2021, è stata costruita in gran parte con i soldi di Mosca, e subito additata come esempio di come la Russia utilizzi le proprie aziende energetiche (in questo caso Rosatom) come strumento di destabilizzazione geopolitica in territori stranieri. Sin dalla costruzione, la reazione più agitata è stata quella di Vilnius, che si trova a circa 50km dall’impianto, e che ha subito trattato la faccenda come una minaccia alla propria sicurezza nazionale, iniziando dall’emanazione di leggi che impedissero all’elettricità prodotta ad Astravyets di raggiungere i consumatori lituani e di utilizzare la rete del territorio nazionale per servire i consumatori a nord del Baltico.
Dettaglio non da poco: questi provvedimenti non hanno esattamente ricevuto il benestare da Tallinn e Riga. Anzi, l’azione praticamente unilaterale intrapresa dalla Lituania ha costretto gli altri due Paesi a diversificare le fonti di energia elettrica, con la Lettonia decisa a presentare un esposto davanti alla Commissione Europea a proposito del comportamento scorretto di Vilnius: la chiusura dei rubinetti tra Lituania e Bielorussia ha causato uno spaventoso aumento del prezzo dell’elettricità, che ha raggiunto livelli record. Lettonia ed Estonia hanno dovuto sopperire acquistando il necessario dalla Russia, dalla regione di Pskov, pagando un prezzo quasi quattro volte più alto rispetto a quello del mercato interno russo. E anche la Lituania si è in parte segnata un autogol: il prezzo dell’elettricità aveva già subito un forti rincari dal 2004 quando, per rispettare i regolamenti UE in materia di energia e sicurezza, ha chiuso la centrale nucleare di Ignalina (di nuovo eredità sovietica), trasformandosi, de facto, da esportatore netto a importatore netto.
Ma le differenze nell’approccio alle macroquestioni energetiche non finiscono qui. La Lituania sta anche facendo pressione sulle altre sorelle per realizzare il prima possibile dei test sulla rete elettrica a livello regionale, ma i tentativi finora sono tutti caduti nel vuoto. Una simulazione era in programma nell’estate del 2019, ma Estonia e Lettonia hanno insistito per cancellarla, visto che la Russia ne aveva in calendario una simile a Kaliningrad nello stesso periodo. Il motivo di tanta insistenza da parte di Vilnius è la fretta di entrare nella CEN avendo già verificato i possibili incidenti di percorso per la sincronizzazione tra i due sistemi, mentre Tallinn, per contro, trova inopportuno testare l’intera rete senza prima verificare la prontezza delle singole parti. Questo, sia per risolvere eventuali intoppi in maniera graduale, che per evitare di rivelare in maniera “plateale” al mondo le possibili inefficienze dell’apparato proprio durante le prove generali.
I recenti aumenti esponenziali dei prezzi dell’energia hanno (solo) messo la ciliegina sulla torta. Alcuni movimenti populisti hanno colto la palla al balzo per questionare gli ingenti investimenti messi in atto per modernizzare e rinforzare il troncone che unisce Estonia e Lettonia, lavori assolutamente necessari in vista della sincronizzazione (e quasi totalmente finanziati con fondi comunitari). Dato che in Estonia (contrariamente a Lettonia e Lituania) non sono in vigore leggi speciali che favoriscano l’implementazione del progetto di sincronizzazione, l’avanzamento delle pratiche si basa esclusivamente sulle concessioni emanate da ciascuna autorità locale, e quindi è sufficiente che un funzionario scettico si metta in mezzo per accumulare pesanti ritardi sula tabella di marcia burocratica.
La carta del nucleare
Per tentare di uscire dall’impasse che rischia di paralizzare il dibattito nazionale, sia il Primo Ministro estone Kaja Kallas che il Ministro degli Affari Economici e delle Infrastrutture Taavi Aas hanno rilanciato l’ipotesi nucleare. “Se vogliamo parlare di indipendenza energetica, allora dovremmo scommettere sul nucleare”, ha dichiarato quest’ultimo. Un focus group è già al lavoro dall’estate del 2020 per valutare la fattibilità del progetto, sostenuto anche da una cerchia di imprenditori locali favorevoli a cofinanziarne una parte.
L’argomento nucleare è però sempre controverso. Il Primo Ministro si è detto consapevole che in Europa è presente un pronunciato sentimento anti-nucleare e, anche stavolta, pure nella vicina Lituania la popolazione si è espressa contro la costruzione di una centrale sul suolo nazionale durante un recente referendum. Di contro, a un passo dal confine, sia Finlandia che Russia continuano a generare energia elettrica da centrali nucleari. Altri piani erano già naufragati nel 2006, quando la proposta di rimodernare la centrale lituana di Ignalina con la partecipazione di tutte e tre le sorelle aveva trovato in disaccordo tutti i partecipanti al tavolo.
Il fatto è che l’Estonia, prevedibilmente, non ha molte frecce al suo arco. La produzione di energia eolica è irrisoria e troppo dipendente dai cambiamenti atmosferici e metereologici, e anche lo scisto bituminoso non è una risorsa in grado di cambiare lo scenario. Una centrale nucleare attiva entro il 2030 permetterebbe inoltre non solo al Paese, ma a tutta la regione baltica, di chiudere i rubinetti del gas proveniente da Mosca, assicurandosi un vantaggio strategico non da poco. Ma sarebbe un investimento economico sensato? Costruire una centrale da zero richiederebbe grossi stravolgimenti dei bilanci nazionali, in un momento in cui le spese sanitarie e di difesa hanno la priorità indiscussa, e richiederebbe anche la presenza di esperti ed ingegneri nucleari, figure che al momento in Estonia sono pressoché assenti.
Previsioni incerte
Non è ancora possibile determinare se le misure messe in atto per contenere la crisi dell’aumento dei prezzi dell’energia saranno sufficienti per superare l’inverno, anche per il governo di Kaja kallas. Fatto sta che Estonia, Lettonia e Lituania potrebbero non reagire all’unisono, e una prova ne è il fatto che la questione al momento scotta sul tavolo di Tallinn, mentre nelle altre due capitali la situazione è ancora relativamente distesa. L’inverno però è ancora lungo, soprattutto alle latitudini del Baltico.