Un anno e mezzo dopo le presidenziali che hanno scosso la Bielorussia, Lukašenko gioca una nuova carta: quella del referendum costituzionale. La futura carta modificherà in maniera radicale l’assetto governativo e decisionale del Paese, ma saranno più cambiamenti di facciata che altro.
Un nuovo capitolo, 11 articoli aggiunti e 83 modificati. Così si prospetta la bozza di riforma costituzionale rilasciata lo scorso dicembre sul sito del governo bielorusso. Il prossimo 27 febbraio i cittadini bielorussi saranno infatti chiamati alle urne per rinnovare l’attuale costituzione, in vigore dal 1994 ed emendata rispettivamente nel 1996 e 2004. Già a partire dal 2016 il presidente bielorusso aveva dichiarato di non voler lasciare al proprio successore lo statuto nella sua versione attuale ed è intenzionato a non farlo. “Il referendum non si terrà solo in un caso: se, Dio non lo voglia, inizierà una guerra [in Ucraina, ndr]”, queste le sue parole ai microfoni dell’agenzia di stampa statale. Mentre i riflettori mondiali sono puntati sull’Ucraina e sullo stallo tra l’Occidente e la Russia, la crisi ucraina sembra arrivata con un tempismo perfetto per non destare troppo nell’occhio.
Secondo quanto descritto nella bozza, la costituzione bielorussa oggi necessita di revisioni a fronte delle tendenze negative della globalizzazione e in un’ottica di restaurazione dei valori tradizionali. Nel preambolo figura un modello di sviluppo per la società bielorussa retto su tre pilastri: uno Stato forte, un’economia di mercato orientata verso le esigenze dei cittadini e la preservazione degli ideali cristiani. La “costituzione del futuro”, così l’ha soprannominata lo stesso Bat’ka. Eppure, la carta rivolgerà uno sguardo anche al passato. Di fondamentale importanza sarà, infatti, la sezione dedicata alla salvaguardia della verità storica e delle gesta del popolo bielorusso durante gli anni del secondo conflitto mondiale. Proprio lo scorso 5 gennaio Lukašenko ha messo nero su bianco il riconoscimento del genocidio del popolo bielorusso. Un processo di damnatio memoriae dell’Olocausto dalla memoria collettiva del Paese e una strumentalizzazione delle eroiche imprese utili a giustificare la repressione interna.
Il capitolo creato ex novo riguarderà, invece, l’Assemblea popolare bielorussa, un consesso a cadenza quinquennale che riunisce un migliaio di rappresentanti governativi, del mondo delle imprese, della scienza e della cultura. Questi, tuttavia, sono per lo più fedelissimi dell’attuale presidente e figure a capo di aziende statali. Spesso, infatti, l’Assemblea è stata spesso derubricata come un raduno di propaganda volto a idolatrare la figura di Lukašenko, alla quale l’opposizione non ha mai avuto libero accesso. Nel 2006, ad esempio, il candidato alla presidenza Aleksandr Kazulin fu oggetto di percosse e fu detenuto per aver provato ad entrare nel Palazzo della Repubblica di Minsk, dove si tiene il congresso. Con il referendum imminente, l’Assemblea popolare acquisirà il ruolo di garante della continuità e della resilienza dei vari meccanismi del potere statale. Ad esempio, si occuperà del processo di formazione sia della Corte suprema che di quella costituzionale e potrà inoltre contraddire qualsiasi decisione presa dagli altri organi e, soprattutto, dal presidente. Lo scopo è chiaro: minimizzare i rischi di una transizione di potere.
Novità anche sul fronte della Commissione elettorale. Non potranno essere nominati i cittadini che si trovino in prigione o coloro che vengano giudicati “non adeguati” da un qualsiasi tribunale. Sarà inoltre vietato il finanziamento della campagna elettorale da parte di uno stato estero, del quale spesso ha parlato Lukašenko in riferimento all’opposizione. Specifici criteri si applicano anche all’elezione dei futuri presidenti della Repubblica di Bielorussia. I prossimi capi di stato dovranno avere un’età superiore ai 40 anni, dovranno risiedere nel Paese da almeno vent’anni e non potranno possedere o aver posseduto in passato una cittadinanza straniera. Requisiti che bruciano in partenza la candidatura della maggior parte delle figure d’opposizione, che vivono ormai da un anno e mezzo all’estero o che si trovano attualmente in carcere.
Mentre resterà invariato il sistema super presidenziale, il Presidente potrà essere eletto solo per due mandati consecutivi. L’Assemblea popolare bielorussa avrà poi l’ultima voce in capitolo relativamente alle sue dimissioni in caso di violazione della carta costituzionale, tradimento dello Stato o qualsiasi altro crimine. Tra i rischi legati alla nuova carta vi è proprio la creazione di due centri di potere, quello presidenziale e quello legato all’Assemblea, aprendo così la possibilità per un futuro scontro. L’Assemblea potrà dunque iniziare una sorta di procedimento di impeachment, se necessario. In questo caso, sarà il Consiglio della Repubblica di Bielorussia, ovvero la camera alta del Parlamento, ad assumere le funzioni presidenziali per mantenere la stabilità del paese. Chi farà parte del Consiglio? Niente meno che gli ex presidenti, che alla fine del loro mandato ne diventeranno automaticamente membri.
In caso di decesso del presidente, invece, sarà il Consiglio di sicurezza nazionale a mantenere il controllo del Paese, secondo quanto previsto da un recente decreto. Tra i membri del Consiglio di sicurezza nazionale figura Viktor Lukašenko, primogenito dell’attuale presidente bielorusso. Un passaggio di potere tutto in famiglia, insomma. Una volta terminato l’esercizio delle funzioni presidenziali, poi, il presidente non potrà essere ritenuto responsabile delle azioni condotte durante il proprio mandato. Una riforma ad personam, che garantirà a Lukašenko l’immunità una volta tornato dietro il sipario.
Per quanto riguarda invece la troppa concentrazione di poteri nelle mani del capo dello stato, questa preoccupa in misura diversa e per ragioni opposte sia l’opposizione che Lukašenko. La prima in realtà vorrebbe un cambiamento radicale da una repubblica super presidenziale ad una semipresidenziale o, addirittura, parlamentare. L’uomo forte di Minsk, invece, ha deciso di tornare sui propri passi. Se il referendum del 1996 si proponeva di concedere al presidente un enorme margine di manovra, quello attuale effettua invece un brusco dietrofront. Questo perché Lukašenko teme che con un nuovo leader quel palazzo di vetro che con cura ha costruito negli ultimi vent’otto anni si possa scheggiare e possa cadere in mille pezzi da un momento all’altro. È stato lo stesso presidente bielorusso a dichiararlo: “Con o senza Lukašenko, questo è il nostro Paese: lo abbiamo nutrito per più di un quarto di secolo e non dovremmo darlo via a nessuno”.
Ulteriore modifica degna di nota è la scomparsa delle clausole di stato denuclearizzato e neutralità in politica estera, inserita nell’articolo 18 dell’attuale costituzione. All’interno dell’articolo compariva infatti un trafiletto, secondo il quale il territorio bielorusso non avrebbe potuto essere usato per lanciare aggressioni territoriali. Lo scorso 30 novembre poi, il presidente bielorusso stesso ha proposto la dislocazione di armamenti nucleari russi sul suolo bielorusso. Sembrerebbe che il Cremlino abbia presentato il conto per il sostegno fornito nell’ultimo anno e mezzo.
La sensazione di molti è che il prossimo referendum possa tradursi in una versione 2.0 delle presidenziali del 2020 con nessun tipo di garanzia a livello di corruzione. Al plebiscito saranno presenti osservatori internazionali provenienti esclusivamente da Paesi della Comunità degli stati indipendenti. Inoltre, i bielorussi che vivono all’estero non avranno la possibilità di partecipare al voto: pena da scontare per chi ha ignobilmente lasciato la propria patria. La vittoria praticamente scontata del referendum potrà poi essere usata da Lukašenko per mostrare al mondo il supporto da parte della stessa popolazione. L’opposizione sta cercando di convincere i cittadini a presentarsi ai seggi, rendere le schede invalide fuori dalla cabina elettorale e mostrare il proprio malcontento. Questo tipo di boicottaggio è forse l’opzione più realistica per l’opposizione, ma è probabile che non funzioni. Non sono infatti una novità le pratiche di voto forzato, soprattutto nei confronti di chi lavora nella sfera pubblica. Altra opzione è quella dell’utilizzo della piattaforma Golos per conteggiare i voti in maniera parallela a quella ufficiale. Le autorità bielorusse stesse, tuttavia, non si aspettano nessun tipo di protesta o contestazione dati i livelli di repressione raggiunti.
Dunque, quali scenari per il post referendum? Se ne delineano almeno due. Il primo vede Lukašenko aspirare ad un ulteriore mandato, dal momento che probabilmente questa riforma avrà effetto a partire dal prossimo presidente eletto. Altrimenti, Bat’ka potrebbe presto diventare un membro del Consiglio della Repubblica o dell’Assemblea popolare bielorussa. La seconda ipotesi sembra in realtà la più plausibile e prevederebbe una sorta di mix tra il modello kazako e quello del partito di stato cinese. Una riforma che cambierà radicalmente l’assetto governativo del Paese, ma che si presenta più come un cambiamento cosmetico che altro. L’unica vera transizione che si avrà sarà quella di Lukašenko da una sedia all’altra. Nel frattempo, il suo Grande fratello continuerà a supervisionare la situazione da una posizione privilegiata, qualunque essa sia. Cambiare tutto per non cambiare niente.