Non solo deterrenza e armi. Il conflitto in Ucraina tocca anche il settore energetico nucleare, fondamentale per Kiev. Černobyl’ e Zaporižžja sono i due maggiori siti finora coinvolti, con il primo tristemente famoso e sufficiente ad evocare paure e timori incondizionati, cavalcati da media ed informazioni mainstream decisamente incomplete e sensazionalistiche. Vediamo cosa è successo in questi giorni e perchè, quali sono i rischi reali e cosa, invece, resterà nei titoli clamorosi di agenzie e telegiornali.
Quando si parla di nucleare, non è difficile sollevare polemiche, panico e paure, soprattutto se lo collochiamo in uno scenario di guerra. Queste reazioni sono quasi sempre dettate sia dall’enorme potenza di questa fonte di energia, sia dal sensazionalismo, dalla scarsa conoscenza e dalla forte contrapposizione – spesso puramente ideologizzata – che ovunque divide sostenitori e detrattori dell’atomo. Quello che è accaduto e sta accadendo in Ucraina in questi giorni è senza dubbio gravissimo e da condannare con assoluta fermezza, ma titoli quali “Centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia: «Se esplode, 10 volte peggio di Chernobyl»” del Corriere della Sera, “Furiosa battaglia alla centrale atomica di Zaporizhzhia: reattore prende fuoco” di TgCom24 o ancora “Ucraina, l’allarme: “Meteo favorirebbe nube radioattiva verso l’Italia”” da Il Giorno, solo per citarne alcuni, sono assolutamente deleteri e infondati, facenti leva su un sensazionalismo di cui, specialmente in tempo di guerra, faremmo volentieri a meno. Il livello di allerta è ovviamente massimo e la situazione rimane estremamente tesa, ma la competizione al titolo più eclatante fa solamente eco, in maniera più o meno incoscia, a due lati della stessa medaglia:
- la proprensione all’effettismo e all’esagerazione da parte delle autorità ucraine in cerca di crescente supporto;
- la pressione psicologica che Mosca, con queste mosse, sta cercando di aumentare.
Lungi dal giustificare o minimizzare quanto avvenuto, cerchiamo di analizzare il contesto in cui ciò sta avvenendo, cosa è effettivamente successo e perchè, e quali sono i rischi reali che si corrono in questa escalation.
Il nucleare di Kiev e la presenza di Mosca
Quello del nucleare civile è un settore fondamentale per la politica energetica ucraina. Oltre il 51% della produzione elettrica nel 2020 è dipesa dalle 15 centrali nucleari attualmente operative, dati che rendono l’atomo la principale fonte di generazione elettrica del Paese. Prima dello scoppio del conflitto, numerose compagnie straniere hanno stretto accordi e avanzato progetti attratte dai piani espansivi di Kiev, volenterosa di ampliare e potenziare la propria flotta di reattori. Tra i principali stakeholders possiamo citare la statunitense Westinghouse Electric Company, protagonista di una cooperazione pluridecennale e firmataria di un’intesa, lo scorso 22 novembre 2021, per la progettazione e realizzazione del primo reattore AP1000® nel Paese, l’unico di Generazione III+ autorizzato dalle autorità USA e già in uso o in fase di realizzazione in Europa e Asia. Kiev allora accolse entusiasticamente l’accordo per la costruzione di nuove centrali, definite “fondamentali per l’indipendenza energetica ucraina sulla strada verso la carbon neutrality”, mentre ulteriori memorandum venivano siglati nel campo dell’innovazione e delle tecnologie nucleari avanzate e SMRs (Small Modular Reactors, NdA) con altre aziende statunitensi, sudcoreane e canadesi. I grandi progetti futuri ucraini nell’ambito mostrano una grande esclusa: Mosca.
Effettivamente, quello dell’atomo si è forse rivelato il settore in cui Kiev, pur tra le permanenti incognite politiche e finanziarie, ha virato con più decisione verso Ovest, cercando di diversificare le proprie forniture e di uscire dal monopolio tecnologico e commerciale del colosso statale russo Rosatom. Già a partire dal 2008, dopo la cosiddetta “rivoluzione arancione” e con la presidenza Juščenko in carica, la società statale ucraina Energoatom firmò una serie di contratti per la fornitura di combustibile nucleare con la suddetta Westinghouse, ordini poi gradualmente ampliati alla gran parte dei reattori ucraini con il peggioramento delle relazioni con il Cremlino. A ridurre ulteriormente il predominio russo nel settore e l’eventuale presenza di Mosca nei piani a lungo termine dell’atomo ucraino fu, nel 2015, l’annullamento del contratto con l’azienda russa Atomstroyexport (controllata di Rosatom per i progetti esteri, NdA) per il completamento di due unità presso la centrale di Chmel’nic’kij, iniziate negli anni Ottanta e ancora incomplete a causa di varie vicissitudini politiche e finanziarie, tuttora irrisolte. Tuttavia, Rosatom resta un attore rilevante nell’industria nucleare di Kiev, sia per quanto riguarda la manutenzione che il ciclo del combustibile. Tutti le 15 centrali nucleari operative in Ucraina, infatti, sono dotate di tecnologia VVER, ovvero reattori ad acqua pressurizzata di fattura sovietica o russa, avviati tra il 1981 e il 2006 e con caratteristiche peculiari che, in termini ingegneristici, differiscono dai modelli occidentali.
Černobyl’, psicologia della catastrofe
Giovedì 24 febbraio, le truppe russe occupano il sito della centrale nucleare di Černobyl’, teatro del disastro avvenuto al reattore n.4 il 26 aprile 1986. Il fatto immediatamente solleva numerosi interrogativi sulla pericolosità e sulle motivazioni di tale mossa, riportando così nell’occhio del ciclone la minaccia nucleare e radioattiva del sito. Fino allo scoppio del conflitto, la centrale è stata gestita dall’omonimo ente statale ucraino, che si occupa del monitoraggio e della sicurezza dell’unità incidentata e dello smantellamento delle altre tre unità presenti (e funzionanti fino al 2000, NdA). La parte più pericolosa dell’area di esclusione è chiaramente il reattore 4, dotato di un doppio sarcofago di contenimento in cemento armato e acciaio, il primo dei quali costruito subito dopo il disastro. Il secondo, molto più recente, è frutto di un’ampia collaborazione internazionale, che ha coinvolto tra gli altri l’Ucraina, gli USA, l’Unione Europea e la EBRD (European Bank for Reconstruction and Development) ed è stato completato tra il 2016 e il 2019.
Tale sistema “a doppio sarcofago” fornisce un’adeguata protezione dagli impatti ambientali, ma non è progettato per resistere a determinati attacchi militari. Come sottolineato dagli esperti, Černobyl’-4 può sopravvivere a un piccolo attacco di artiglieria senza alcun rilascio radioattivo, mentre un attacco di artiglieria più ampio potrebbe comportare al massimo perdite localizzate. Tuttavia, scenari apocalittici o repliche dell’incidente del 1986 sono inconcepibili, con buona pace dei titolisti più creativi. “L’unità 4 non è operativa dal 1986, la radioattività sotto le macerie è stata notevolmente ridotta dal decadimento radioattivo negli ultimi 36 anni e la temperatura all’interno dell’edificio è bassa, quindi non sono previste grandi emissioni con effetti a lungo raggio”, afferma il prof. Attila Aszodi della Budapest University of Technology and Economics.
Altri possibili rischi riguarderebbero gli impianti di stoccaggio del combustibile usato delle altre tre unità. A Černobyl’ esistono una struttura di stoccaggio con bacino di raffreddamento (wet storage) e uno di recente costruzione, dedicato allo stoccaggio a secco (dry storage) del materiale fissile esausto. Quest’ultima struttura è stata pensata per accogliere anche il combustibile delle altre 15 centrali ucraine, l’arrivo del quale sarebbe atteso per il prossimo aprile. Questo deposito è costituito da una robusta struttura in cemento, in cui il materiale fissile è stoccato all’interno di contenitori a tenuta stagna e ben protetti dagli impatti fisici e dagli agenti esterni. Qualora questi impianti fossero attaccati, potrebbero effettivamente verificarsi rilasci radioattivi, ma l’impatto significativo rimarrebbe molto probabilmente all’interno della zona di esclusione del raggio di 30 km. Questo perchè il combustibile esaurito di Černobyl’, che si trova nelle piscine di raffreddamento e che può essere trasferito nel sito di dry storage, “è ormai esaurito da decenni, la sua temperatura è bassa e una parte significativa della sua radioattività è già decaduta”, ricorda Aszodi.
Il giorno successivo all’occupazione, alcune stazioni di monitoraggio intorno alla centrale hanno registrato un aumento dei livelli di radioattività. Le fonti locali quali l’Ente ucraino per la sicurezza nucleare (SNRIU) e internazionali come l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) hanno spiegato l’incremento temporaneo con il fitto movimento di truppe e mezzi corazzati nell’area, che avrebbero mosso considerevolmente lo strato superiore del suolo e sollevato la polvere depositata, anch’essa radioattiva. Il rientro nei parametri standard avvenuto nei giorni successivi a questa segnalazione conferma l’interpretazione data dagli enti regolatori.
Zaporižžja, 10 volte Černobyl’ ?
L’avanzata russa incombe sul bacino del basso Dnepr’, e nella notte tra il 3 e il 4 marzo punta la città di Energodar, sede della centrale nucleare di Zaporižžja, che viene colpita e infine occupata dalle truppe del Cremlino. Notizie confuse e contraddittorie si propagano ovunque con differenti gradi di allarmismo e tengono banco per gran parte della mattinata (come i titoli citati in apertura), nonostante i report ufficiali provenienti dalla centrale, dalle autorità di Kiev e infine dall’IAEA. Durante l’attacco, i russi hanno colpito un edificio adiacente ai reattori, distante circa 300 metri, usato per la formazione del personale della centrale, che non conteneva alcun materiale radioattivo e in alcun modo connesso alla corretta e sicura operatività della centrale. Nessun danno alla struttura dei reattori o ad “elementi essenziali” della centrale è stato riportato, così come nessun rilascio di sostanze radioattive è avvenuto, tanto che il livello delle radiazioni non ha registrato alcuna variazione rispetto agli standard.
Il “reattore che prende fuoco” rimane solamente nelle prime pagine di alcuni media, ma il domino psicologico non sembra arrestarsi, alimentato anche dalle dichiarazioni dei politici di Kiev. Il ministro degli Esteri ucraino parla di “una catastrofe pari a 10 volte quella di Černobyl’” (poi ridotte arbitrariamente a 6 da alcune fonti), senza addurre motivazioni o spiegazioni scientifiche dietro a tale affermazione. Tuttavia, la frase-effetto è lanciata e ampiamente condivisa sulle pagine e le bacheche di tutto il mondo. Ma la realtà è, fortunatamente, ben diversa.
Innanzitutto, la struttura di contenimento dei reattori di Zaporižžja (e in generale di quelli moderni) è estremamente sicura e prova di calamità naturali, attacchi aerei e artiglieria convenzionale. Černobyl’ non disponeva di alcun edificio di contenimento, per contenere i costi e permettere la sostituzione del combustibile durante il normale funzionamento del reattore, al fine di produrre plutonio per l’industria bellica del tempo. Nei VVER, che sono esclusivamente utilizzati a scopi civili, la sostituzione del combustibile è possibile soltanto spegnendo l’impianto. Inoltre, i reattori VVER sono ad acqua pressurizzata e differiscono enormemente dagli RBMK utilizzati a Černobyl’, il cui moderatore era costituito da grafite, altamente infiammabile. Insomma, al netto dei titoli, la riproposizione di uno “scenario alla Černobyl’”, persino aumentato n volte, è fisicamente impossibile. Tuttavia, la remota possibilità di un incidente radiologico, di ben diversa portata, non è da escludere finchè i combattimenti non cesseranno.
La sicurezza prima di tutto
“Anche se possiamo usare espressioni come ‘normali operazioni’ riferite al contesto tecnico, voglio sottolineare che non c’è nulla di normale nelle circostanze in cui i professionisti delle quattro centrali nucleari ucraine riescono a mantenere in funzione i reattori che producono metà dell’elettricità del paese”. Questa la ferma condanna di Rafael Mariano Grossi, direttore generale dell’IAEA, in uno dei quotidiani bollettini che l’Agenzia redige, coadiuvata dall’Ente regolatore ucraino SNRIU e dall’operatore statale Energoatom. Pur fugando allarmismi e false notizie, Grossi non nasconde la profonda preoccupazione per quanto sta accadendo in Ucraina e il suo continuo impegno nel comunicare con le parti e concertare ogni azione per garantire la sicura gestione dei due siti occupati.
Secondo gli ultimi rapporti, infatti, a Zaporižžja due reattori su sei sono tuttora operativi a piena o quasi piena capacità (rispettivamente unità-2 e -4), mentre la prima era già in manutenzione programmata allo scoppio del conflitto e le altre tre sono o in fase raffreddamento (-3 e -6) o in riserva (-5). Qui come a Černobyl’ gli operatori ucraini continuano a lavorare incessantemente, nonostante la pressione dei vertici militari russi in loco, che per diversi giorni hanno ostacolato dapprima la turnazione dei lavoratori, con conseguenti stress fisici e mentali, e poi le comunicazioni locali con l’ente centrale, contravvenendo ai “sette pilastri” recentemente pubblicati dall’IAEA.
Nel frattempo, i bombardamenti su Kharkiv hanno colpito anche gli edifici dell’Istituto di Fisica e Tecnologia locale, ospitante un piccolo reattore di ricerca per lo studio dei materiali e la produzione di radioisotopi medici. Nonostante i danni alla struttura, il reattore non ha subito alcun danno e nessun rilascio radioattivo è stato registrato. Grossi ha già proposto un incontro congiunto presso l’impianto di Černobyl’ per discutere con le forze in campo l’impegno a garantire la sicurezza di tutti gli impianti in Ucraina e cessare azioni militari verso questi. Lunedì 7 marzo Mosca ha risposto accettando la proposta del direttore dell’IAEA, rifiutando tuttavia la scelta del luogo dell’incontro.
Deterrenza e non solo
I motivi dietro le mosse militari del Cremlino in questi scenari particolari potrebbero essere molteplici, ma un fattore trasversale su cui tutti concordano è quello della pressione psicologica, strategia a cui, più o meno inconsciamente, anche i titolisti più avventati e sensazionalisti contribuiscono, come sottolineato in apertura. La deterrenza e il panico diventano ancora una volta potenti strumenti di rivendicazione, utilizzati sì dalla Russia, ma con differenti obiettivi anche dall’Ucraina.
L’occupazione di Černobyl’, secondo Mosca, è giustificata dai presunti piani ucraini di sviluppare un ordigno atomico in situ, progetto segreto le cui prove si limitano alle affermazioni di rappresentanti e media russi. Dietro a tale motivazione, abbastanza singolare, si cela molto più pragmaticamente il controllo di un’area estremamente simbolica, delicata ed instabile, che necessita monitoraggio e supervisione costanti, e che costituisce uno strumento di deterrenza contro Kiev e l’Europa. Come sottolineato dal prof. Aszodi, “con l’occupazione delle strutture di Černobyl’, la responsabilità della loro sicurezza fisica è stata inevitabilmente assunta da parte delle stesse truppe russe”.
A proposito di Zaporižžja. L’impianto costituisce la più grande centrale nucleare d’Europa in termini di capacità netta. Ciascuno dei suoi 6 reattori VVER-1000/V320 progettati dalla Russia ha una capacità netta complessiva di 5.700 MW, capace di generare energia sufficiente per circa quattro milioni di case, il 20% di tutta l’elettricità prodotta in Ucraina e quasi la metà dell’energia generata dagli impianti nucleari del paese. Prendere possesso di tale infrastruttura ha un valore enormemente superiore alla sua distruzione e alle eventuali conseguenze. Mosca occupa adesso un’impianto strategico, dotato della tecnologia da essa stessa creata e gestibile autonomamente, con il quale può decidere se lasciare a corto di elettricità intere regioni ucraine. L’attacco militare, inoltre, è avvenuto con armi convenzionali, da cui i reattori come detto sono estremamente protetti. Il proiettile (non identificato) che ha scatenato l’incendio nell’edificio accessorio sembra piuttosto far parte di uno schema mirato, volto ad accrescere esclusivamente il panico nell’opinione pubblica nella piena consapevolezza di colpire una struttura inutile al corretto funzionamento della centrale.
Come ribadito dal prof. Leon Cizelj, presidente della European Nuclear Society, l’interruzione della produzione di energia elettrica sarebbe ottenibile molto più facilmente concentrandosi sulla rete elettrica, senza attaccare o danneggiare gli impianti, che hanno invece l’obiettivo di aumentare la pressione psicologica sotto la costante minaccia di un attacco imminente. Anche il rilascio di sostanze radioattive nell’ambiente è un’eventualità difficilmente praticabile, date tutte le misure di sicurezza precedentemente trattate. Nel remoto caso questo avvenga, afferma il prof. Cizelj, i materiali radioattivi verrebbero per lo più rilasciati nelle vicinanze della centrale elettrica e rappresenterebbero il pericolo più grande per il personale della centrale e gli aggressori nelle vicinanze della centrale nucleare danneggiata. Una mossa sostanzialmente sconveniente per gli attaccanti, a maggiore ragione se provenienti da un paese confinante come la Russia, che verrebbe inevitabilmente coinvolta. Infine, chiude Cizelj, “un reattore nucleare non può esplodere come una bomba, è fisicamente impossibile”, nonostante gran parte della narrativa sembri concentrarsi su questa eventualità.
Al contempo, l’Ucraina utilizza funzionalmente questa drammatica situazione, senza lesinare proclami e dichiarazioni eccessivamente allarmistiche. Quelle citate del Ministro degli Esteri, altre ancora di Zelensky o di altri rappresentanti, contribuiscono giustamente a tenere alta l’attenzione su quanto accade, ma mirano, in secondo luogo, ad ottenere ulteriore supporto di fronte a catastrofi annunciate come imminenti e globali. Senza tener conto della dimensione reale del problema, gli avvertimenti di Kiev concorrono ad aumentare il livello complessivo di tensione, panico e incomprensione di un momento estremamente delicato, grave e preoccupante, in cui la chiarezza dovrebbe essere prioritaria.