La guerra in Ucraina e la richiesta di Mosca di pagare il gas in rubli hanno costretto l’Europa a ripensare i propri legami energetici con la Russia. Estonia, Lettonia e Lituania vorrebbero chiudere i rubinetti, ma a che prezzo?
La posizione dei Paesi Baltici lascia poco spazio alle interpretazioni. Le tre repubbliche sono concordi nel chiedere all’Unione Europea e alla NATO più sanzioni nei confronti del Cremlino, cominciando proprio dalla rinuncia alla fornitura di gas russo. Una posizione che potrebbe avere enormi implicazioni sull’economia dei tre Paesi, e che tuttavia in Europa non è condivisa unanimemente, con la Germania in testa al gruppo degli scettici.
La Lituania è stata la prima a passare dalle parole ai fatti: dal 2 aprile, il gas importato nel Paese tramite la rete che la connette alla Bielorussia è stato pari a 0 MWh. Al momento, l’intera domanda di gas lituano è soddisfatta dal terminal LNG di Klaipeda, mentre dal primo maggio sarà operativo anche il collegamento con la Polonia, il GIPL, che connetterà i Paesi Baltici alla rete europea. Lo stesso modus operandi impostato per l’elettricità: i Paesi Baltici nel 2025 si disconnetteranno dalla BRELL, la rete prima sovietica ed ora russa, per allacciarsi all’infrastruttura europea sempre tramite i terminali polacchi.
Sembra un cielo senza nuvole, ma la realtà dei fatti è più complicata. Il terminal LNG di Klaipeda non è sufficiente a soddisfare la domanda congiunta di Estonia, Lettonia e Lituania, così il primo ministro lituano, Ingrida Simonyte, ha recentemente invitato Tallinn, Riga e Helsinki a riprendere i vecchi progetti per la costruzione di un secondo terminal LNG sul Baltico (al momento, quello di Klaipeda è l’unico operativo nella regione). Sul tavolo si sono alternate nel corso degli anni tre proposte: Skulte (in Lettonia), Paldiski e Tallinn (entrambe in Estonia), ma nessuna ha mai superato la mera teoria. In termini di concretezza, ora che la faccenda si fa seria, l’unico perseguibile sarebbe il progetto di un terminal a Skulte, che si trova circa 40 km a nord di Riga ed è strategicamente adiacente all’impianto di Incukalns (il terzo sito più vasto in Europa per lo stoccaggio sotterraneo di gas). Questo la rende l’opzione più economica fra le tre, e anche la prima realizzabile, in termini di tempistiche di approntamento: a Incukalns viene già immagazzinato il surplus estivo di gas delle tre repubbliche, che è ridistribuito nella rete successivamente, nei mesi invernali.
Benché sulla carta il progetto sembrasse fattibile e conveniente sin dalla sua genesi, l’idea venne progressivamente accantonata da tutti gli interessati, e per ora una ripartenza non sembra imminente. Anche se il ministro della giustizia lettone, Janis Bordans, ha dichiarato che quella dell’approvvigionamento di gas è una questione di sopravvivenza nazionale, e che è assolutamente necessario interrompere le forniture dalla Russia, non è del tutto chiaro quali potrebbero essere le altre frecce all’arco della Lettonia per sopperire alla mancanza: il Paese ha sufficienti riserve per il breve termine (il sopracitato deposito di Incukalns), mentre sembra decisamente più complicato immaginare una strategia in prospettiva. A fine marzo, a Riga si è parlato di pellet e torba, mentre il ministro dell’Economia si recava in viaggio negli Stati Uniti a discutere, tra le altre cose, un possibile futuro finanziamento statunitense proprio per la costruzione del terminal LNG a Skulte.
Inoltre, il governo lettone è tra i più indignati per la richiesta di Mosca di pagare il gas in rubli, ma anche stavolta le cose sono meno semplici di come sembra. Sulla carta Latvijas Gaze, la compagnia statale lettone, ha firmato un accodo con Gazprom che prevede di rifornire di gas la Lettonia fino al 2030, a fronte di pagamenti in euro. Tuttavia, LG si è espressa il 3 aprile comunicando che, a prima impressione, le pretese russe non violano formalmente le sanzioni applicate né il contratto in essere, e che quindi quella di saldare i conti in rubli sarebbe una richiesta lecita. Qualcuno ci vede un cortocircuito: l’azienda è per il 34% di proprietà di Gazprom e per il 16% partecipata da Itera Latvija, una sussidiaria di un’altra compagnia energetica russa, il che conferisce ad aziende russe il controllo del 50% dell’ente. Latvijas Gaze venne istituita nel 1991, dopo l’indipendenza, come azienda statale, e la sua privatizzazione è stata completata solo nel 2002. L’operatore della rete e responsabile dello storage JSC “Conexus Baltic Grid”, invece, venne scorporato dall’azienda nel 2017, e da allora opera nel rispetto delle normative dell’Unione Europea.
Dei tre Stati Baltici, quello più indietro sul tema è l’Estonia. Tallinn ha fatto sapere che, al pari di molti altri Paesi europei, come la Germania, l’Italia e i Paesi Bassi, il Governo sta vagliando la possibilità di costruire un terminal LNG galleggiante, ma che il progetto potrebbe funzionare soltanto con il coinvolgimento dei vicini, in primis Lettonia e Finlandia. Altrimenti, la spesa non sarebbe semplicemente sostenibile: al momento l’Estonia non dispone di nessuna delle infrastrutture necessarie per la gestione del gas (e quindi tankers, aree di stoccaggio per il gas, scambiatori per la rigassificazione del gas liquido da -167° e condutture per il suo trasporto). Secondo Taavi Aas, ministro dell’Economia e delle infrastrutture, “l’Estonia non può decidere da sola come muoversi.[…] L’unica opzione percorribile nel breve termine sarebbe un terminal galleggiante, ma difficilmente questa soluzione potrebbe risultare operativa prima della fine dell’anno”. Ed è una previsione alquanto ottimista.
Qualcuno ha già provato a fare i conti in tasca all’Europa, nell’eventualità di percorrere davvero la strada dell’indipendenza dal gas russo. Per rimpiazzare circa 102 miliardi di metri cubi di gas russo annui, l’Unione Europea potrebbe ricorrere al carbone e al petrolio, oltre che all’LNG, che però si stima possa “coprire”, solo una cinquantina di miliardi di metri cubi di gas, importandolo da diversi Paesi. La coperta sarebbe quindi ancora una volta troppo corta. In realtà, l’Europa avrebbe tutte le carte in regola per rigassificare fino a 170 miliardi di metri cubi di LNG all’anno, ma la maggior parte si trova nella penisola iberica, e non vi sono condutture per trasportarlo verso altri Paesi. Inoltre, costruire terminal LNG, continentali o galleggianti, può richiedere anni, senza considerare il costo dei tankers: al momento, il costo di un LNG terminal Vessel è stimato attorno ai 300 milioni di euro, che diventano 50-70 in caso di leasing annuale. La Germania ha annunciato che è allo studio la possibilità di costruire tre unità di rigassificazione e stoccaggio galleggianti sul mare del Nord, della capacità di circa 27 miliardi di metri cubi, ma la costruzione potrebbe richiedere cinque anni.
Durante la loro vita, le tre repubbliche baltiche sono state connesse esclusivamente alla rete sovietico-russa, ma la storia per come la conosciamo sta per finire. Il GIPL (Gas Interconnector Poland – Lituania, attivo da maggio 2022) e il Balticconnector (il corridoio tra Estonia e Finlandia, commissionato a gennaio 2020) segneranno la svolta nell’approvvigionamento energetico dei tre Paesi, aprendo un varco verso il territorio europeo. In particolare, il GIPL (che è stato classificato come “Progetto di Interesse Comune” e cofinanziato dall’Unione Europea per circa il 60% dell’importo del lavori, per un totale di 500 milioni di euro), è uno dei progetti di punta nell’ambito dei Trans European Networks – Energy (TEN-E), concepito con lo scopo di integrare nel mercato energetico europeo i Paesi Baltici e la Finlandia, altrimenti isolati. Dei 508 km di lunghezza complessivi del GIPL, 165 si trovano in Lituania.
Al momento è difficile stimare quali saranno i flussi di gas che transiteranno dal corridoio polacco, e chiaramente questo non basterà per soddisfare in toto i consumi delle tre repubbliche, ma, insieme allo sfruttamento delle alternative disponibili, potrebbe permettere di coprire almeno l’estate e l’autunno sul Baltico, in attesa di una strategia (necessariamente comune) per superare l’inverno.
Guendalina Chiusa