Le parole recentemente pronunciate dal presidente ucraino Zelens’kyj, che ha ravvisato la necessità di trasformare l’Ucraina in “un grosso Israele”, si prestano a parecchie interpretazioni. Di certo la diaspora ex sovietica a Gerusalemme e dintorni e i legami del presidente stesso giocano un ruolo, ma la questione riguarda soprattutto il modello di sicurezza. Perché Kiev potrà essere europea solo fino a un certo punto. Nuova puntata di “Dietro lo Specchio”, la rubrica di Fulvio Scaglione.
Ai primi di aprile il presidente Volodymyr Zelens’kyj ha incontrato i rappresentanti della stampa ucraina. E in quell’occasione ha fatto una serie di affermazioni che avrebbero forse meritato un’analisi più ampia. Zelens’kyj ha detto che dopo la guerra “l’Ucraina non potrà affatto essere ciò che volevamo che fosse all’inizio, non sarà completamente liberale, europea, non sarà una Svizzera. Tutto dipenderà dalla forza. Di ogni casa, di ogni palazzo, di ogni persona”. E aveva aggiunto: “Sono assolutamente convinto che il tema della sicurezza sarà quello principale per almeno dieci anni… Saremo come un grosso Israele con le nostre caratteristiche… Non sarei sorpreso se in futuro avessimo rappresentanti delle forze armate o della guardia nazionale nei cinema, nei supermercati, e civili armati in strada”.
Com’è noto, anche prima di queste parole c’era una sottile linea rossa che legava l’Ucraina a Israele e, più in generale, al tema dell’ebraismo. Zelens’kyj, per cominciare, è l’unico presidente ebreo al mondo fuori da Israele. Diversi suoi parenti vivono in Israele, emigrati come molti altri ucraini, russi, moldavi ed ex cittadini sovietici dopo il crollo dell’Urss. Lui stesso, all’epoca in cui era un comico e un attore di successo, si è spesso esibito in Israele, in russo e in ucraino, per la diaspora, diciamo così, sovietica. L’approdo di Zelens’kyj alla grande politica è avvenuto sotto l’egida dei rapporti (poi ridimensionati) con l’oligarca Ihor Kolomoiskyj, ebreo, titolare di passaporto di Israele, già presidente del Parlamento ebraico europeo e proprietario del canale televisivo Jewish News One, tuttora uno degli uomini più potenti d’Ucraina nonostante una serie di scandali finanziari e vicissitudini giudiziarie che l’hanno portato, per esempio, a essere ricercato negli Stati Uniti dov’è accusato di riciclaggio. Diversi dei più stretti collaboratori di Zelens’kyj sono ebrei o hanno radici ebraiche, a cominciare da Andriy Yermak, il capo dello staff presidenziale, per arrivare a Serhiy Shefir, primo consigliere del presidente e suo “inviato speciale” presso gli oligarchi. E poi c’è, ovviamente, tutto il tema del rapporto di Israele con la Russia e l’Ucraina e del tentativo finora mancato di far decollare a Gerusalemme una mediazione politica tra le parti in guerra.
Detto questo, torniamo a chiederci che cosa potesse intendere Zelens’kyj nell’immaginare la futura Ucraina come un “grosso Israele”. È piuttosto chiaro che, a meno di un tracollo politico, economico e militare totale della Russia, anche in un eventuale dopoguerra il problema della sicurezza sarà cruciale per l’Ucraina. Ma qui bisogna intendersi. Se si parla di sicurezza rispetto alla Russia, Zelens’kyj ha già più volte chiarito di immaginare un gruppo ristretto di Paesi decisi a schierarsi militarmente accanto a Kiev in caso di ulteriore aggressione. Quando parla di soldati nei cinema e di gente armata per strada, cosa piuttosto comune in Israele, Zelens’kyj forse pensa alla sicurezza contro eventuali azioni terroristiche dal Donbass, come in Israele avviene per il terrorismo di marca palestinese.
Se si tratta di questo, il parallelo si apre a sviluppi di certo interessanti e in parte inquietanti. A dispetto delle dichiarazioni ufficiali, forse Zelens’kyj non crede davvero di poter recuperare il Donbass, che magari vede nel futuro come una specie di Autorità palestinese subordinata alla Russia. Chissà, forse Zelens’kyj proietta anche nel futuro dell’Ucraina un “muro di separazione” per proteggere i suoi cittadini in caso Kiev non riesca a recuperare il controllo sul 100% del territorio. O, nel caso contrario, uno status differenziato e diritti di cittadinanza ridotti per la popolazione russofona che dovesse rimanere in Ucraina, proprio come accade per gli arabi cittadini di Israele?
Stiamo immaginando, se volete anche in parte giocando. È certo, però, che l’immagine del grosso Israele ucraino piantato nel cuore dell’Europa dell’Est ha una suggestione fortissima e in qualche modo rimanda esattamente al progetto di Mosca, che le mosse dei comandi russi rendono di giorno in giorno più evidente: non tentare nemmeno la conquista dell’intera Ucraina ma piuttosto avviare quella complessiva del fianco Est, da Nord a Sud, dalla Bielorussia alla Moldavia (forse inclusa), in un grande semicerchio che, davvero, farebbe sentire l’Ucraina circondata. O almeno trasformata in una perenne prima linea, con la necessità di adeguare a tale realtà anche l’economia, la politica e le regole della vita sociale.
E a questo proposito, meriteranno di essere monitorate anche le affermazioni sul fatto che l’Ucraina non potrà “essere come la Svizzera”, come un qualunque Paese liberale di stampo europeo. Perché va bene l’eroe della resistenza ai russi, però Zelens’kyj è anche il presidente che assai prima della guerra aveva un rating assai basso presso i suoi concittadini e che, con la scusa dell’emergenza, stava processando per tradimento i leader dei due principali partiti di opposizione, il filo-russo Medvedchuk (messo agli arresti domiciliari, fuggito e riarrestato dai servizi segreti) e il nazionalista ed ex presidente Poroshenko. In Israele, quello vero, sotto processo di solito finiscono i premier e i presidenti.
Fulvio Scaglione