Gli eventi dello scorso gennaio hanno dato il via a una nuova fase della storia del Kazakistan. Per comprendere la complessità di quanto accaduto, abbiamo intervistato Fabio Indeo, analista e ricercatore esperto di Asia Centrale. Membro sia di ASIAC (Associazione per lo studio in Italia dell’Asia centrale e del Caucaso) che di OACC (Osservatorio Asia Centrale e Caspio), è inoltre autore di numerose pubblicazioni, tra cui il libro “Kazakhstan. Centro dell’Eurasia”.
L’intervista fa parte del Dossier: KAZAKISTAN, L’INSTABILITÀ CHE MUOVE LA STEPPA
- Gli eventi passati hanno messo in luce la complessità del tessuto sociale kazako. Cosa differenzia quanto accaduto dalle altre rivoluzioni che hanno avuto luogo in altri Paesi dello spazio post sovietico? Ha senso parlare di una rivoluzione colorata in Kazakistan?
Quella che viene definita come la “rivolta kazaka” si configura come un processo innescato da manifestazioni pacifiche di protesta contro l’aumento dei prezzi del GPL – carburante molto più economico della benzina e molto utilizzato nella regione occidentale del Mangistau – le quali hanno successivamente assunto una connotazione economico-sociale (richieste per una maggiore redistribuzione economica, un maggiore equilibrio sociale) e politica (porre fine all’influenza dell’ex presidente Nazarbayev e del suo inner circle), e sono progressivamente dilagate verso Almaty e altre grandi città: tuttavia, l’infiltrazione di frange violente ha sostanzialmente mutato la natura delle proteste provocando la repressione violenta delle forze di sicurezza nazionali, supportate dalle forze di peacekeeping sotto l’egida dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, che avevano il compito di proteggere le infrastrutture e gli edifici sensibili.
La definizione “rivoluzione colorata” rappresenta una semplicistica etichetta di comodo adottata dalle due superpotenze regionali (Russia e Cina) per descrivere gli eventi kazaki, minimizzando le radici economico-sociali che sono alla base delle proteste: l’utilizzo del termine “rivoluzione” sottende implicitamente la necessità di ribaltare l’ordine costituito anche con l’uso della forza, mentre il termine “colorata” indica una presunta interferenza occidentale (Stati Uniti in primis) finalizzata ad estendere la propria influenza geopolitica e proiezione strategica nello spazio post sovietico.
Nonostante diversi aspetti siano ancora da chiarire, personalmente non ritengo che la rivolta in Kazakistan sia riconducibile alle cosiddette “rivoluzioni colorate”, per il suo carattere di spontaneità, per la mancanza di una guida politica, di una leadership riconosciuta (i partiti e i movimenti politici di opposizione hanno partecipato alle proteste senza elaborare o fornire un indirizzo preciso alle stesse), mentre si rileva come le condizioni economiche (aumento dei prezzi e della povertà) rappresentino un detonatore sociale che accomuna gli eventi kazaki ai sommovimenti verificatisi in altri Stati dello spazio post sovietico e definiti come “rivoluzioni colorate”.
- Quanto successo può influenzare le altre repubbliche centroasiatiche? Gli eventi di gennaio avranno ripercussioni a livello geopolitico all’interno della regione?
Le leadership politiche delle repubbliche centroasiatiche hanno guardato con estrema preoccupazione e attenzione agli eventi in Kazakistan, in quanto temono una condizione di instabilità diffusa nella regione, aggravata dalla presa del potere dei Taliban in Afghanistan e dalla minaccia rappresentata dai jihadisti legati allo Stato Islamico sulla sicurezza nazionale. Questi timori sono rafforzati dalla consapevolezza che all’interno di queste nazioni sussistono gli stessi problemi, le stesse cause (disparità economico-sociali, gestione autoritaria del potere) che hanno scatenato la rivolta in Kazakistan.
In concomitanza con gli eventi kazaki, si è registrato un interventismo statale per cercare di depotenziare le possibili cause di conflittualità, ad esempio il congelamento del previsto aumento dei prezzi energetici e l’interruzione delle esportazioni di gas naturale in Uzbekistan, da destinare ai consumi nazionali ed evitando le tradizionali interruzioni nelle forniture durante il periodo invernale.
È difficile al momento prevedere l’impatto della rivolta kazaka sull’assetto geopolitico regionale, anche se lo scenario appare in profonda trasformazione se consideriamo ad esempio le elezioni presidenziali anticipate in Turkmenistan (che hanno portato al potere Serdar, il figlio dell’ex presidente Berdymuhammeddow). Indubbiamente, il ruolo della Russia come security provider e garante della stabilità regionale è stato rafforzato, aumentando anche il potenziale attrattivo dei progetti d’integrazione in ambito politico-economico (Unione Economica Euroasiatica) e securitario (OTSC) promossi da Mosca.
- Tokayev è sempre stato considerato un fedele alleato del suo predecessore. Come sono cambiati i rapporti tra lui e Nazarbayev negli ultimi mesi?
Di fronte alla potenziale erosione del proprio potere, Tokayev ha deciso di estromettere progressivamente l’ex presidente Nazarbayev e i suoi fedelissimi dai loro incarichi negli apparati di sicurezza e nel governo. Questo scenario destabilizzante derivava da quella sorta di diarchia venutasi a creare dal 2019, ovvero durante la transizione politica che portò al potere Tokayev: come segno di riconoscenza, venne garantita a Nazarbayev la presidenza del potente Consiglio di Sicurezza Nazionale, che di fatto gli garantiva una forte influenza e controllo sui servizi di sicurezza. Inoltre, diversi fedelissimi dell’ex presidente continuavano a ricoprire delle cariche importanti sia nel settore della sicurezza (ad esempio Karim Masimov, il potente capo del Comitato di Sicurezza Nazionale) che politiche (ad esempio il Primo Ministro Mamin). Subito dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, Tokayev ha destituito Nazarbayev – prendendo il suo posto al Comitato di Sicurezza – per poi arrestare Masimov, uno dei fedelissimi dell’ex presidente, e lanciare un epurazione che ha colpito tutti gli altri uomini vicini a Nazarbayev.
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